IL VENTO E' CALATO

                                                                       

- Mauro, e tira quella scotta! - sbottò con rabbia Padron Bacì. Il fiocco è troppo allascato! Per la miseria, possibile sia sempre io a darti l'imbeccata! Tu non t'accorgi mai se qualcosa non va. E tu, Battistin,  non ridere: ce n'è anche per te! Corpo di Giuda, sistema quelle reti da un'altra parte. Lì danno fastidio.

- Marinai d'acqua dolce, padron Bacì  - ridacchiò  il Camoglino, reggendo con mano sicura il timone della paranza.

- Tu, Camogli, taci!- gli gridò di rimando Padron Bacì. - Bada piuttosto di stringere con quel timone e di guadagnare all'orza se non vogliamo perdere velocità. Ma porco mondo, a tutto devo pensare io?

- Altrimenti che ci staresti a fare? - borbottò tra i denti a bassa voce Mauro che già aveva teso il fiocco e stava finendo di avvolgere una scotta attorno ad una galloccia di rame. Gli altri non si presero nemmeno la briga di brontolare perché Padron Bacì lo conoscevano da tempo e le sue urla e i suoi avvertimenti, per quanto giusti, non facevano più né caldo né fresco a nessuno. Si limitavano ad ubbidire e basta.

Sin dall'età di sei anni Padron Bacì aveva imparato a camminare a gambe larghe sul legno dei ponti e ad adattare i suoi passi al beccheggio sempre diseguale delle navi. A terra, dove si soffermava il minimo indispensabile, si trovava a disagio a meno di non camminare per le ripide straducole a saliscendi del suo paese dove la conformazione stessa del terreno gli dava quel senso di instabilità che, per lui, era la sola sicurezza di rimanere in piedi.

Nato e cresciuto in un paesotto dell'imperiese, divenuto marinaio parte in ossequio ad una tradizione familiare, parte ad una servitù che da sempre aveva legato la sua gente al mare e parte perché‚ senza il mare non avrebbe saputo cos’altro fare, si era subito adattato al lavoro di pescatore, dapprima sotto padrone e poi, in proprio quando, dopo la guerra,  era riuscito a mettere da parte il gruzzolo necessario per comprare una paranza con motore. Quello gli era parso l'atto più avveduto di tutta la sua vita.

- Da mozzo a capitano! - aveva scherzosamente brindato il giorno in cui era uscito in mare con quella imbarcazione di seconda mano dallo scafo non troppo vecchio, ma già abbisognevole qua e là di qualche rabberciatina.

Per l'occasione s'era comprato un berretto con la visiera sormontata da due ancore intrecciate, dorate e luccicanti sotto i raggi del sole. Quel berretto ce l'aveva ancora dopo tanti anni; unto, lercio, puzzolente di pesce e di  sudore e sformato non tanto per l'uso ma per le innumerevoli volte che Padron Bacì l'aveva sbattuto sulla coperta allorquando le reti venivano su con tanto pesce che non sarebbe bastato a pagare il carburante consumato per raggiungere la zona di pesca. E Padron Bacì, da buon marinaio, usava quasi sempre le vele, difendendosi, contro chi l'accusava di taccagneria, col dire che gli dava troppo fastidio il brontolio del motore sotto i piedi e il puzzo della nafta.

Al berretto ora mancavano solo le ancore dorate; le aveva strappate in un impeto di rabbia il giorno in cui un suo marinaio, scherzando, gli aveva detto:

- Bacì, quando vedo quelle due cose lucenti sul berretto, mi sembra di scorgere la "gallina"  portata dai gerarchi fascisti sull'orbace.

- Va' all'inferno tu e loro! - era stata la secca risposta. Con furia Padron Bacì aveva strappato le due ancore e le aveva scaraventate in mare.

- Ehi, Padron Bacì, il vento sta calando! - gli gridò il Camoglino. - Arriveremo in ritardo all'appuntamento.

- Non sarà la prima volta. Non so che farci se il vento cala. Prova tu a metterti a soffiare, se ne hai voglia! - aggiunse. E mentre il Camoglino sbottava a ridere, il vecchio andò a sedersi a prua vicino ad un gavitello, tirando furiose boccate di fumo dalla sua pipa intartarita e dal cannello rosicchiato.

Ogni volta, quanto più si avvicinava il momento dell'appuntamento, tanto più lo assaliva una sorda preoccupazione e uno strano non so che lo attanagliava allo stomaco e alla testa. Forse era paura, ma non l'aveva mai voluto ammettere. Preferiva definirlo un vago malessere che lo coglieva sempre all'imbarco e allo sbarco della merce di contrabbando. Dopo passava e non ci pensava più.... almeno fino alla volta successiva.

- Ormai, - diceva ad ogni operazione conclusa, - 'la messa è finita' e siamo giunti all’ite missa est'.

Padron Bacì avvertì di nuovo la presenza di quel malessere e, tirando un buffo di fumo subito disperso dal vento, pensò :  "Perché mai mi metto sempre in questi imbrogli? Chi me lo fa fare? I soldi?  Già, i soldi, ecco la ragione! Maledetti i soldi, anche se fan sempre comodo. Oh, ma questa‚ è l'ultima volta che accetto.

"L'ultima  volta che accetto", parole  ripetute spesso; una promessa da marinaio mai mantenuta.

Arrivava il Milanese, lindo, pulito, in doppio petto, perfettamente rasato e con uno stereotipato sorriso sempre pronto.

- Padron Bacì, ci sarebbe il solito lavoretto. Si tratta di un carico. Sigarette e liquori. Martedì, stesso posto, stesso prezzo. - Una pausa e poi: - Be', forse qualcosina in più, - aggiungeva il Milanese nel vedere il volto del marinaio contrarsi in una smorfia.

E Padron Bacì partiva.

- Maledetti i soldi! - borbottò e poi, rivolto al Camoglino, gridò: - Ehi, Camogli, accidenti a te! Raddrizza, non vedi che sbanda!

Una improvvisa scarrocciata della paranza aveva distolto per un attimo Padron Bacì dai suoi pensieri.

- So io quello che faccio, - gli aveva risposto irosamente il Camoglino, raddrizzando la grossa imbarcazione con un giro di timone.

Padron Bacì riprese il filo dei suoi pensieri. "Ma sì, ma sì, basta!  Basta con questi patemi d'animo! Lo lascio agli altri il contrabbando. Se il Milanese viene ancora a propormi un altro viaggio lo butto in mare quant'è vero Dio che mi chiamo Bacì. Madonna mia!  Se in paese si sapesse che Bacì, proprio Padron Bacì, l’uomo che dice di essere tutto d’un pezzo,  è un contrabbandiere, chissà le chiacchiere e pettegolezzi! Senza poi pensare a qualche anima buona e pia sempre pronta a  fare una soffiata alla Finanza; non per cattiveria, ma solo per il piacere di giocare uno scherzetto a Padron Bacì. Ma a pensarci bene, che faccio di male? Mica contrabbando droga o armi, no? Qualche cassa di liquori e  di sigarette non fa male a nessuno. Tutti bevono e a tutti piace una tiratina. Semmai a rimetterci è lo Stato: ma chi se ne frega dello Stato! Per quello che fa per noi marinai!

- Eccolo laggiù?

Il grido di Mauro lo distolse completamente dai suoi pensieri. Si alzò  e, preso un cannocchiale verdastro e mezzo arrugginito, lo puntò sulla macchiolina che gli occhi più acuti del giovane marinaio avevano avvistato.

Sì, non c'era dubbio: si trattava dell' “Argiropulos”, un vecchio residuato bellico battente bandiera greca e destinato al trasporto di merci di dubbia provenienza. Anche dal bastimento dovevano averli avvistati perché subito la prora aveva puntato su di loro.

- Speriamo  bene e che nessuno ci capiti addosso proprio ora, - borbottò  Padron Bacì senza pensare che in quel momento si trovava al di là   delle acque territoriali, lontano dalla costa e fuori dalla rotta usuale delle altre navi. Ma tant'è, quel certo tremore interno lo faceva sempre pensare storto.        

Andò, invece, tutto bene, come al solito e come al solito il capitano dell ' “Argiropulos”, prima di allontanarsi, gli gridò col megafono:

- Alla prossima volta, vecchia balena!

- Va' in malora! - gli aveva urlato di rimando Padron Bacì, facendo virare di bordo la paranza che, pescando un poco di più per tutte quelle casse di sigarette e di liquori nella stiva, s'era allontanata scricchiolando in tutte le sue giunture.

In breve l'”Argiropulos” era sparito all'orizzonte, inghiottito dalle onde sollevate da un vento di grecale, levatosi improvvisamente. Sembrava quasi che il tempo, concesso  il  minimo indispensabile per il  trasbordo  della  merce,  volesse  adesso rifarsi di quell'ora perduta

Il giorno volgeva  al tramonto e il mare,  tutt'attorno  alla paranza, s'era fatto di pece tranne la cresta di qualche onda che, increspandosi,  si innevava tutta.  Il cielo, illividito,  gravava come  una cappa  di piombo  sul piccolo  guscio  che  beccheggiava paurosamente  e  nubi  nere, minacciose,  s'andavano addensando a poppa della paranza che sembrava volesse sfuggirle per non esserne inghiottita.

A tratti, a qualche improvviso mutamento di vento,  lo  scafo si  inclinava paurosamente a sfiorare la cresta delle onde mentre l’ampia vela triangolare, sbattendo con secchi schiocchi simili a frustate, pareva l’ala penzolante di un gabbiano ferito. Quando poi la barca si raddrizzava, allora il vento si divertiva a far vibrare le sartie improvvisamente tese, quasi fossero corde di  una immensa arpa.

 - Tieni  sempre il  timone a  grecale, Camoglino!  - ordinò   Padron Bacì.  -  E  fa attenzione al vento. Tra poco comincerà a  girare come una banderuola.

- Perché non navighiamo a motore? - intervenne Mauro.

 - No, si naviga a vela. Mi sento più sicuro. Non c'erano motori ad  appestare  le barche col loro puzzo quando avevo dieci anni. E poi le tempeste non hanno mai fatto paura a nessuno.

 -  E chi parla di  paura? - sbottò Mauro  punto sul vivo. -  Io mi  riferivo  alla sicurezza   della paranza  e del  carico. Se  entra acqua nella stiva, addio sigarette!

 -  Tu pensa a controllare le vele e a tenerti in equilibrio perché‚  se il vento aumenta, vedrai che ballo!

Quasi a dargli  ragione un'alta ondata si abbatté‚  in quell'istante sulla imbarcazione, prendendola d'infilata da prora e rovesciando  su tutta la coperta un mare di schiuma biancastra che rifluì poi dagli ombrinali.

 -  Battistin, - urlò Padron  Bacì in mezzo a  tutto quel ribollire biancastro, - assicurati che il boccaporto sia ben chiuso!  

Il giovane si mosse subito, traballando, e s'accucciò il più possibile per sottrarsi alla forza del vento.

Il tempo cominciò a passare. Interminabile. Il vento non era minimamente scemato e le ombre, calate di colpo, s’erano andate via via addensando e facendosi sempre più scure. Non ci si vedeva ad un palmo dal naso. Solo gli ordini di Padron Bacì erano l’unico legame a tener tutti uniti.

Padron Bacì in quei momenti - e quello non era certo il primo nella  sua lunga pratica del  mare - non cercava  di ragionare: si affidava  all'istinto  affinatosi  in  tanti  anni  di  mestiere e lasciava che fosse lui, l’istinto, a dirigere la barca. “Per ragionare - era solito dire - occorre tempo, occorrono istanti e il vento, soffiando all’impazzata, raramente te li concede. E allora, s’arrangi l’istinto.”

Anche in quell’occasione padron Bacì si affidò all’istinto e, avvicinatosi al Camoglino, gli tolse il timone dalle mani.

- Da' a me! - ordinò . - Tu sta attento alle vele e  tieni  d'occhio Mauro.  Quel ragazzo deve avere  una fifa terribile; non  credo si sia  mai trovato  in mezzo  ad una  tempesta simile  a quella  che prevedo.

Il Camoglino si allontanò piegato in due e Padron Bacì con la barra  tra le  mani dovette  subito far  deviare  lateralmente  la paranza  per  evitare  allo  scafo,  superata  l'alta cresta di un'onda, di tuffarsi di prora a guisa di un gabbiano a caccia di pesci.

- Maledetta notte! – mormorò-

All'improvviso il ricordo di un'altra notte simile, legata ad  un  episodio  di guerra  in  cui  era stato  coinvolto durante l'ultimo  conflitto,  una  notte da dimenticare, affiorò in tutta la sua nitidezza.

Un lampo  azzurrastro illividì il cielo e gli fece  balenare  davanti agli occhi  il ricordo dell'arco sbrecciato di quel ponte che, nonostante tutto l'esplosivo usato, era rimasto in piedi,  in  precario  equilibrio, simile ad  una enorme  bocca spalancata, ghignante, pronta ad inghiottire chiunque.

 - No! - si lamentò Padron Bacì cercando di ricacciare il ricordo. - No, non adesso!

Ma quanto più cercava di non pensarci, tanto più il  ricordo continuava a formarsi, chiaro, nitido.

In quei momenti lo  assaliva un  misto di  sorda paura, di impotenza  e di rimorso. Ma quale fosse la sensazione a prevalere Padron Bacì non  lo sapeva e non si curava nemmeno di stabilirlo. Quando il  ricordo riaffiorava, si affannava a tracannar  più vino  possibile   finché  i  fumi  dell'alcool   non   lo  inebetivano completamente, oscurando il passato.

Purtroppo,  in quel momento non c'era tempo per bere vino.

- No, - si lamentò di nuovo, - no, non adesso!....

 

 

            .....sì, questa notte: ho deciso. Se non approfittiamo del temporale che imminente, non ci si presenterà presto un’altra occasione. Domani notte il cielo sarà forse sereno e siamo in periodo di luna piena. Sarebbe un suicidio tentare al chiar di luna . Gli ordini sono precisi: bisogna far saltare il ponte il più presto possibile e per me questo significa  subito.  Qualcuno  ha  qualcosa  da  obiettare? - concluse Greco guardandosi attorno. Nessuno fece eco alla sua domanda.

Seduti  nel  casolare abbandonato,  attorno  ad un  fuoco che stava  languendo,  i cinque  uomini,  ascoltando  i  progetti  del loro capo,  continuavano  a pulire  e a lubrificare  le armi. La vita all'aperto le faceva rapidamente arrugginire.

 - Bene, allora piantatela di cincischiare e prestatemi un poco di attenzione. Non mi va di ripetere due volte la stessa cosa, specie  quando  il tempo stringe.  Dunque, - continuò   non appena li  vide fissare  la  carta topografica   stesa su un tavolo,  illuminata  da una torcia elettrica  - il  nostro  obiettivo  é questo  ponte, proprio  questo qui, - precisò battendo con l'indice sulla carta. L'ho  ispezionato  ieri con  i  binocoli, dall'alto,  durante una  ricognizione.  Si tratta di una  sola arcata molto alta  sul greto del fiume. Tra l'arcata e la sede stradale ci sono dei pilastri di sostegno. Ce n'é una fila da ogni lato; non so però   dirvi  quanti siano,  due,  tre,  forse quattro.  Vi  ripeto,  non lo  so ma non importa. Abbiamo abbastanza esplosivo per fare un bel botto.

- I pilastri sono tre per parte, Greco.

- E tu, come lo sai?

Greco  si era voltato verso  un ragazzo, uno degli  ultimi ad essersi  volontariamente  aggregato  al gruppo  quando erano stati  richiesti dei volontari.

-  Lo so perché sono  cresciuto da queste parti  e il torrente  in quel tratto della valle lo conosco a palmo a palmo. E  così  pure il ponte.

- E perché‚ non l'hai detto subito?

-  Mica sapevo quale fosse l'obiettivo! Ce l'hai detto solo ora. E, se ti interessa, te lo posso dire io come é fatto quel ponte.

- Avanti, parla!

- Beh, ve lo dico subito: se intendete minare tutti i pilastri del ponte, ve lo potete togliere dalla testa perché quelli di destra sono irraggiungibili  partendo  dal basso.  L'unica possibilità  é calarsi con una scaletta a corda dalla spalletta del ponte...

- Nemmeno a pensarci! Sul ponte c'é sempre un soldato di guardia.

- Lo si potrebbe  far fuori -  intervenne un omone  tarchiato, intento a rimestare nella brace con una baionetta.

-  No,  Romeo, toglietelo  dalla testa. Il  nostro compito é  solo  quello  di far saltare il  ponte e l'impresa ci  porterà   via molto tempo.  Il cambio di guardia  avviene ogni ora, mi  dici che cosa  accadrebbe  se  la  sentinella che  viene  a  dare il  cambio non trovasse più il suo collega o lo trovasse morto?

- Se eliminiamo anche lui, non succederà  niente.

Greco  alzò le spalle  senza rispondergli e,  rivolgendosi di nuovo al ragazzo, riprese:

-  Sei proprio sicuro  che non sia  possibile raggiungere tutti  i  pilastri?

-  Certissimo. Vedi,  l'arcata poggia  da una  parte sulla  roccia viva,  ad una altezza  di circa trenta  metri dal  fondo valle, irraggiungibile  perché la parete rocciosa  strapiomba liscia come il  marmo. E' solo  possibile arrivare ai  piedi dell'altra parte dell'arcata  anche se, a  prima vista, per  uno che non  conosca il posto, questo possa sembrare impossibile. Ma io so di  riuscirci. Ci  sono salito tante di quelle volte sotto il ponte quando andavo a pascolare le capre sul greto del torrente!

- D'accordo: allora andrete tu e un altro a porre le cariche.

- Ma io non  so nemmeno da  quale parte si incomincia  a  minare  qualcosa!

- Ma, accidenti, a quale gruppo appartieni? Non ti hanno insegnato proprio nulla! - gridò Greco a cui già  l'idea di non  poter  minare tutti i pilastri andava poco a genio.

Il ragazzo arrossì e, quasi con l'aria di scusarsi, disse:

‑  Finora nessuno, forse per la mia età , mi ha insegnato o chiesto di  fare qualcosa. Quando ti ho sentito chiedere dei volontari per trasportare l'esplosivo, mi sono fatto avanti. Le spalle  le ho buone!

Bacì  (allora  il  suo nome  non  era  preceduto dal  pomposo sostantivo di 'padron') aveva quasi avvertito una nota  di  pianto nelle parole del ragazzo ed era intervenuto in  suo aiuto. Mancava proprio che qualcuno in quel momento si mettesse a piangere!

- Senti, ragazzo, sei proprio sicuro di poter salire sull'arco senza essere visto dalla sentinella?

- Sicurissimo - rispose quello, contento di rivolgersi ad un altro che non gridasse come Greco.

- E potresti portare con te anche un rotolo di corda?

Il  ragazzo ci pensò un  poco su,  poi fece  cenno di sì col  capo.

 -  Allora, Greco,  vado io  con lui.  Io non  mi ci  trovo con  le scalate sulla roccia: tutte queste montagne qua attorno  mi  danno il  mal  di  mare, cosa che, invece, non mi succede quando sono in mezzo  alle onde. Però con  una corda tra le  mani mi sento a  mio agio  e  sono ancora  capace di arrampicarmi  su di essa  fin dove voglio.  Basterà   che il ragazzo,  una volta sull'arco, mi  cali un capo della  fune.  Quando l'avrò raggiunto ci  penserò   io   a sistemare le cariche nei punti più importanti.

- Allora  é deciso:  andrete voi due. E ora  diamoci da  fare per preparare esplosivo, detonatori, miccia e corda. Vorrei sbagliarmi, ma  tra  poco  prevedo  un  bell'acquazzone,  quindi  badate  alle  capsule, devono essere ben protette, se no addio impresa!

Un’ora dopo, nel buio, si avviavano in fila indiana seguendo un sentiero ripido tagliato in mezzo ad un bosco di pini  misti a basse querce. Al passaggio gli alberi frusciavano, si lamentavano per le raffiche della tramontana che soffiava impetuosa. La visibilità era quasi nulla e a fatica si poteva seguire la traccia del sentiero.....

 

 

 

.....esattamente come adesso, - borbottò Padron Bacì guardando  la schiuma che ricopriva tutta la coperta e passandosi una  mano  sul viso per togliersi dagli occhi l'acqua gocciolante  dal berretto.

- Tempo da dannati! - imprecò.

Raffiche  violentissime  rovesciavano ondate  salmastre sulla malsicura  paranza. Un  diluvio incessante  si  abbatteva  sulle vele  facendole  grondare  come fontanelle  e  le appesantiva come spugne imbevute. Mare e cielo: non c'era più alcuna  distinzione;  era  tutta  una  massa  compatta  d'acqua  in  cui  l'imbarcazione scivolava  spinta  brutalmente  dal  vento.  A  tratti,  alla luce  bluastra  dei lampi  intravedeva ora Mauro, ora il Camoglino e Battistin.

Il  primo, immobile, si era abbrancicato all'albero maestro e lo teneva serrato come l'edera una quercia. Padron Bacì non ne era certo, ma avrebbe scommesso che stava pregando. Gli altri  due  li scorgeva  ora qua ora  là, intenti a  stringere nodi, ad  allentar sartie  secondo  la  bisogna.  Quei  due  non   lo  preoccupavano minimamente. All'occorrenza gli avrebbero dato l'aiuto necessario. Chi lo preoccupava era, invece, Mauro, così come in quella notte lo aveva preoccupato quell'altro....      

 

 

 

.....anche allora pioveva a dirotto. Greco aveva previsto il temporale e  non si era sbagliato. L’acqua veniva giù dai rami degli alberi, gocciolando nel collo, penetrando dappertutto, rendendo scivoloso il sentiero, quasi tramutato in un ruscelletto fangoso e viscido. Al tormento dell’acqua si aggiungeva la furia del vento. Agitando i rami nodosi delle bassa querce, li mandava a  sbattere violentemente contro i sei uomini. Carichi di pesanti zaini, con  le mani impacciate dalle  armi, incapaci di scansarli,  erano costretti  a  subire  passivamente quella  impietosa fustigazione. Unica reazione erano le imprecazioni colorite che  infioravano  il buio  profondo.

 Il ragazzo  si era messo  dietro Bacì e  quando il percorso lo permetteva, gli si affiancava senza dir nulla.

-  Come  ti chiami,  ragazzo? - gli  chiese ad un tratto Bacì per allentare  la  tensione.  Non la  poteva  leggere   sul volto  del compagno  a causa del buio pesto, purtuttavia la sentiva presente, quasi tangibile.

- Mi sono scelto il soprannome di Cobra.

Bacì  sorrise  tra  sé e sé‚  pensando a tutti  gli  strani soprannomi scelti dai partigiani  lassù, tra i monti.

- Ma il tuo vero nome?

- Alfio.

- Hai paura a  salire sul ponte di notte?

‑ Se vieni anche tu, no.

- E perché? Ci conosciamo solo da poche ore.

- Non te lo so spiegare, ma con te accanto mi sento più sicuro.

- Sei alla tua prima missione, vero?

- Sì, ma farò del mio meglio.

- Non lo chiedevo per questo.

Il vento soffiava feroce sospingendo le nubi basse e in terra sibilava  nelle macchie e ululava tra i rami. Il gruppo, raggiunto il  fondo valle, a poca  distanza dalla strada costruita   a mezza costa, proprio sopra il percorso tortuoso del torrente,  si  fermò in  un castagneto presso un  metato e, ad un  ordine di Greco,  vi penetrò compatto, felice di sottrarsi, almeno per un poco, al diluvio che il cielo rovesciava senza posa.

- Posso accendere una candela? - chiese uno, traendone di  tasca  un mozzicone.

‑ Fa'  pure,  - rispose Greco, - ma prima assicurati se la porta è ben  chiusa.  Anche se non si vede ad un metro di distanza, é  sempre meglio essere prudenti.

Un istante appresso un esile luce illuminava un gruppo di disperati, bagnati fino alle ossa, con i capelli appiccicati alla fronte, gli  abiti  incollati  alla pelle e  le scarpe  gonfie  d'acqua.

- Rivediamo ancora una volta la situazione assieme e poi ognun per sé e Dio per tutti.

Greco,  prima di riprendere  il discorso,  fece  circolare  un pacchetto  di sigarette  tratto da  una tasca impermeabile in  cui custodiva le cartine topografiche.

-  Dunque  tu,  Romeo, te  ne vai  con Furia  a mezza  costa sulla collina sovrastante il ponte. Sistemate il mitragliatore  in  modo da  tener  sotto  tiro il  maggior  tratto  di  strada  possibile. Rimanete in  attesa fin  che il  ponte non  salterà, dopo  continuerete  ad  attendere  per  dieci  minuti e  farete  fuoco  solo se  comparirà qualche auto o se qualcuno di noi si troverà nei guai. Diego e io accompagneremo Bacì e il ragazzo sino a duecento metri dal ponte e ci sistemeremo al di sopra della strada in modo da  proteggere  la loro  ritirata  in  caso di  bisogno.  Voi  due,  invece,  dovrete sobbarcarvi  il  compito più  difficile  e impegnativo,  ma  penso saprete  cosa fare. E ora via le sigarette e prepariamoci. Ah, ancora una cosa: una volta compiuta la missione, l’appuntamento è in località   Croce. Vi ho mostrato il posto venendo; si aspetterà   solo mezz'ora, perché dopo bisognerà   riprendere la via del  ritorno  ai monti. Di certo la reazione tedesca non si farà  aspettare.

Rimase  un poco in silenzio e poi a voce bassa aggiunse:

- Mi auguro di rivedervi tutti.

E  fatto un cenno  a Diego, uscì  per primo aggiustandosi  lo zaino in cui era sistemata una parte dell'esplosivo.

La notte li ingoiò di nuovo tutti.......

 

 

 

..........un rumore lacerante come di tela che si strappi violentemente, riportò   Padron Bacì alla realtà.  La paranza, dopo essere  andata giù  di prua, imbarcando una  enorme quantità d’acqua ed essersi poi impennata come un cavallo brado, perché sollevata da un’onda gigantesca, era stata investita da una raffica violenta. Il vento, prendendola di traverso, ne aveva gonfiato il fiocco e la tela, in buona parte già  rabberciata,  aveva  ceduto di  schianto.

- Camoglino, Battistin, tagliate! Tagliate subito il fiocco! - urlò  Padron Bacì.

I  due,  procedendo  curvi  sul  ponte  di  coperta,  rasenti all'impavesata ribollente di schiuma, col coltello tra i  denti  e le  mani artigliate al bordo  per non lasciarsi sballottare  dalla furlana  che l'imbarcazione  ballava in  quel momento  e  per  non  perdere  l'equilibrio sotto le  spinte brutali del  vento, s'erano portati  a prua, vicino al  bompresso e il Camoglino,  più lesto e anche più esperto, s'era abbrancicato ad esso con le  unghie  come  un  gatto. I due pezzi slabbrati del fiocco sbattevano rimbombando sordamente. L'uomo si sporse fuori bordo per lavorare meglio.

- Tienti forte! - gli gridò Padron Bacì, vedendolo alla luce di un lampo penzolare nel vuoto. - Bada a te, porcaccio mondo!

Le  onde  infuriate  ribollivano  fin  sotto  la  schiena del Camoglino  e pareva volessero  ingoiarlo da un  momento all'altro. Anche  Battistin dal  canto suo  andava tagliando  i  legacci  del fiocco che, d'un tratto, si abbatté di schianto sulla coperta.

Liberato  da  tutti  i legami,  il  fiocco  rimase un  attimo immobile come cosa senza vita, quasi a riposarsi un  istante  dopo l'immane  fatica sostenuta sino ad  allora, poi , prima  che i due marinai potessero in qualche modo legarlo, nuovamente gonfiato dal vento,  si innalzò, spaventoso aquilone, e sparì oltre il  bordo perdendosi nel mare infuriato. 

- Accidenti  a voi! - sbraitò Padron Bacì rivolto ai due, non appena  si accorse della perdita. - Perché non l'avete trattenuto?

- Trattenuto un corno! - gli rispose aspro Battistin. - Se volevi il  fiocco nella stiva e  noi due in mare dovevi   dirlo prima.

E  continuò a  brontolare  mentre aiutava  il  Camoglino a riavvolgere alcune sartie penzolanti.

La  paranza, intanto, aveva ripreso fiato e correva sulle onde saltando dall'una all'altra come un fringuello, spinta da un forte vento  che l'investiva da poppa.  Padron Bacì sembrava far  corpo unico  col timone. Se lo  sentiva agile tra le  mani, manovrabile,  cedevole,  pronto  ad  ubbidire a tutti i suoi voleri e a tutte le sue  fantasie. Ma non  pensava certo alle  fantasie quella  notte, così come non ci aveva pensato in quell'altra....

 

 

.....la  pioggia  li  colse  d'infilata  quando  vennero  fuori  dal precario  riparo degli alberi sgocciolanti e si addensò quanto più si avvicinavano al ponte.

Il  ragazzo  aveva  raggiunto  Greco  e  lo  aveva sorpassato mettendosi  in testa; era  lui a guidare  il gruppo  conoscendo a menadito  il sentiero che,  allontanandosi dalla strada, scendeva sino al greto del torrente gonfio di pioggia..

- Ecco, è laggiù! - disse ad un tratto, fermandosi al riparo di un grosso masso. - Ora Bacì ed io possiamo procedere da soli; conosco una scorciatoia;  passa in mezzo ad alcuni orti. Ci agevolerà   il  cammino.

Misero tutte le cariche in due capaci zaini da alpino; il ragazzo  in più si caricò  di un rotolo di  corda e poi,  lasciati Greco e Diego, si persero nel buio senza parlare. Alfio procedeva  sicuro  e Bacì, non conoscendo la strada, gli aveva messo una mano sulla spalla e camminava fiducioso.        

Un  lampo, squarciando improvviso  le tenebre, fece  apparire l'arco del ponte a brevissima distanza.

- L'hai visto? -  chiese il ragazzo  con voce gioiosa. - Te  lo dicevo che ti  avrei condotto senza sbagliare!

- Va bene, Alfio, o pardon, Cobra, - si corresse volontariamente Bacì per mettere il ragazzo completamente a suo agio. - L'ho visto e  ho  visto  pure i pilastri. Ora tu vai su con la sola corda; il tuo zaino lascialo a me.

- Ma dentro c'è l'esplosivo!

- Non preoccuparti per l'esplosivo.  Pensa solo ad andare  su e a sistemare la corda. Mi raccomando, sistemala bene.

- Ma  va,  scemo! Hai paura che ti faccia ammazzare? - rispose il ragazzo ridacchiando

- Tu  pensa solo  a legarla saldamente  e a buttarmi  giù l'altro capo, poi non preoccuparti d'altro. Quanto tempo ti ci vorrà?

- Dieci minuti, non di più.

- Allora, va!

Bacì attese alcuni minuti e poi si caricò sulle spalle entrambi gli zaini e, orientandosi alla luce di qualche lampo, si portò sotto il ponte, nel punto dove presumibilmente sarebbe calato il capo della corda e attese.

Il torrente, già gonfio, correva vorticoso tra i sassi, trascinando fango, rami spezzati, erba strappata dalle rive.  Alcune  macchie  di  oleandri, investite  dalla  corrente, avevano tutti  i  rami  inclinati  in  avanti  e  tentavano  vanamente  di resistere  alla forza dell'acqua  il cui livello  era in  continua crescita.  La pioggia, intanto, aveva raggiunto il  massimo  della sua intensità   e anche se dava fastidio, impediva  alla  sentinella di guardia al ponte di vedere alcunché.

" Quella se ne sta rintanata nella garitta, - pensò Bacì. - Chissà quanto gliene deve fregare del ponte con questo diluvio!  Purché Cobra faccia presto!

Quasi   ad   ubbidirlo,  la  corda   cadde  in  quell'istante sbattendogli addosso.

-  Bravo ragazzo! - mormorò e, toltosi uno zaino dalle spalle,  lo legò saldamente alla corda, poi, assicuratosi di avere l'altro ben saldo  sulla schiena  e sistemato  in modo  da non  impedirgli i movimenti, cominciò  ad arrampicarsi lentamente.  Gli pareva di essere ritornato ragazzino quando in compagnia di altri mozzi faceva a gara per salire sino in cima all'albero maestro.

Le  braccia ora risentivano  dello sforzo reso  più duro  dal  vento  che,  prendendo d'infilata  la  valle, lo  faceva dondolare pericolosamente,  ma le mani indurite  dai calli tenevan salda la presa  mentre le gambe, avvolgendosi  automaticamente intorno alla  corda,  alleggerivano le prime  dal peso di  tutto il corpo  e del carico.

Quando raggiunse l'arco, le due solide braccia del ragazzo lo afferrarono e lo issarono quasi di peso sul duro cemento.

- E io mio zaino? - chiese.‑

- Tira su la corda e lo riavrai.

- Ma dentro c’è dell'esplosivo !

- Non temere: non si tratta di nitroglicerina. E' solo  tritolo  e quello  non scoppia nemmeno se lo prendi a martellate.

Poco dopo anche il secondo zaino veniva issato.

Ancora  ansante per lo sforzo,  Bacì si sedette vicino  ad un pilastro,  puntellandosi  con  i piedi  contro  di  esso  per  non scivolare  sull'arcata  ricoperta  da un  sottilissimo  strato  di  muschio bagnato.

- Dove sistemiamo le cariche? - volle sapere Cobra.

-  Lasciami riflettere un istante. Dunque, direi di mettere alcuni candelotti  d'esplosivo alla base  di ogni pilastro.  Le  restanti cariche  le divideremo in due parti. Una la piazzeremo alla chiave del ponte e l'altra al piano di imposta dell'arco.

- E dove si trovano?

Bacì sorrise.  Anche  lui  aveva  posto  la  stessa  domanda all'ingegnere  che, prima della  loro partenza, in  una grotta  di Cima  Marta, aveva spiegato  a lui e  ad altri guastatori  come si mina un ponte.

-  La  chiave  - rispose con voce appena percettibile - é il punto dove la curva superiore dell'arcata tocca la sede stradale, mentre i  piani di imposta  sono i due punti in cui le due basi dell'arco si  appoggiano alle pareti  della montagna. Purtroppo  ne  dovremo minare uno solo perché l'altro é irraggiungibile, capito?  Ma  ora taci  e  seguimi sr0otolando  la miccia e  bada  a non farla  imbrogliare. Andiamo!

Il lavoro procedette abbastanza speditamente. Bacì provvide a sistemare  le  cariche,  le innescò   con  capsule  esplosive e  le avvolse   più volte  con  miccia  detonante. Lungo  i pilastri  si sbizzarrì  a sistemare i candelotti di tritolo disponendoli a chiocciola onde ottenere un effetto dirompente maggiore. Poi collegò tutte le cariche ad una sola miccia detonante affinché l’esplosione avvenisse simultaneamente.

Durante tutta l’operazione udirono una sola volta sopra le loro teste i passi cadenzati della sentinella. Doveva essere il solito giro di routine perché si allontanarono speditamente in direzione della garitta.

- Andiamo via, Cobra, - mormorò Bacì, dopo aver collegato l'ultimo tratto di miccia. - Qui non c'è più nulla da fare. Scendi lungo la corda,  farai più presto.

- Io  scendere  di lì! - bisbigliò il ragazzo con un fil di voce, affacciandosi  oltre l'arco del ponte  e guardando nel buio  nero, simile ad  un pozzo senza fondo. - No, no, non ci  penso  nemmeno! Preferisco rifare la strada per la quale sono venuto: é più sicura.

-  Come vuoi  tu, amico,  ma spicciati  perché il  primo pezzo  di miccia  normale  non  é molto  lungo:  sì  e no   brucerà   per un paio di minuti o poco più.   Comunque ci lascia il tempo necessario  per  scappare. Affrettati!

Il ragazzo si lasciò scivolare lungo l’arco e sparì nel buio. Bacì  gli diede un paio di minuti di vantaggio prima di dar fuoco alla miccia e poi, fregata l’estremità di questa sul ruvido cemento del pilastro per mettere a nudo il polverino, fece scattare l’accendino al riparo della giacca aperta e accostò la fiammella alla polvere nera. Non appena quella prese fuoco e la sentì sfrigolare, abbandonò la miccia e, afferrata la fune, si lasciò scivolare lungh’essa, incurante dell'attrito che gli  faceva bruciare dolorosamente le mani. Alcuni istanti appreso correva  sul greto ciottoloso alla volta delle macchie di oleandri intravviste quando erano venuti.......

 

 

 

......lo zigzagare azzurro chiaro di un lampo  squarciò il  cielo  e gli fece intravedere, almeno così gli parve, un'isola. “Che sia la Gallinara." pensò. "No, è impossibile! Non possiamo essere così vicini a terra!”

- Battistin, hai visto anche tu?

 - Visto che cosa, padron Bacì?

-  Ma la Gallinara, no!

-  Te  la  sei sognata  la  Gallinara, -  sbottò Battistin.  - Bada piuttosto al timone, le onde aumentano.

- Lo vedo anch'io che aumentano. Che fa Mauro?

- E che ne so! Sta sempre attaccato all’albero. Bell’aiuto ci dà quelli lì!

 -Lascialo in pace. Il Camoglino dov'é? Non lo vedo.

Padron  Bacì virò a  dritta  violentemente facendo  gemere lo scafo  che  si  impennò su  un  alto  cavallone, evitando  però di coricarsi a tribordo e di imbarcare acqua.

- C'è acqua nella  stiva! - prese  ad urlare in  quell'istante il Camoglino, mettendo fuori la testa dal boccaporto.

- Per la miseria, e da dove é entrata?

 - Non lo so.

-  E il carico?

-  Per ora solo le casse  situate più in basso, quelle dei liquori, sono  bagnate;  ma se  l'acqua aumenta e  raggiunge quelle più in alto, addio sigarette.

-  Mondo schifo,  scendete tutti e  due sotto coperta  e trovatemi  la falla! Datevi da fare; e tu, Mauro, svegliati! Non é questo il momento di fartela sotto, porco Giuda ! Ma che razza di marinaio sei?

Il  giovane mugolò qualcosa. La sua voce  si perse nel vento, ma lui non si  mosse.

-  Buon per te che ho le mani occupate, - lo minacciò Padron Bacì - Ma almeno prega, se sai pregare!....

 

 

 

......” prega, Bacì, prega che tutto vada bene e  nessuno  ci  lasci  la pelle, - diceva una voce dentro di lui  mentre,  allontanandosi  dalla macchia degli oleandri, correva sotto le  violente  raffiche di  pioggia. Appena  salta il ponte,  quelli si  svegliano  e  allora sentirai che concerti! Ma dove s'è cacciato il ragazzo, accidenti a lui! Doveva aspettarmi qui. Forse è già   andato avanti?”

Padron Bacì  continuò a correre ancora un poco e poi si fermò dietro  ad un muretto a secco per riprendere fiato.

"Tra  poco  salta!"  pensò e si  voltò dalla parte  del ponte per guardare.  In fondo quello spettacolo l'aveva organizzato lui e se lo voleva anche godere.

Un  bagliore  enorme arrossò  la valle, accompagnato da  un potente boato la cui eco si ripercosse a lungo nella vallata e per le  cime dei monti circostanti. Una fitta pioggia  di sassi si  abbatté tutto attorno  all'uomo  gettatosi  a  terra  per  ripararsi  istintivamente.

- Bacì, dove vi siete cacciati?

La  voce  proveniente  dalla  soprastante  scarpata  lo  fece sobbalzare.

- Sei tu, Greco?

- Sì, venite via, presto!

- Il ragazzo é già con te?

Una  pausa in cui si  udì solo lo scrosciare  della pioggia e poi la voce allarmata di Greco riprese:

- Ma come, non siete assieme?

- No, l'ho mandato avanti: pensavo vi avesse già raggiunti .

- Qui non è arrivato.

-Accidenti a lui: torno indietro a cercarlo.

- Vieni via, Bacì! Quello conosce la strada meglio di te. Avrà preso qualche scorciatoia.

- Quello non ha preso un bel niente, - rispose avviandosi.

- Torna indietro, Bacì, te l’ordino!

- Non ci penso nemmeno ad abbandonarlo.

Bacì ritornò sui suoi passi, scivolando sui sassi bagnati  e imprecando  in  cuor suo  contro se stesso  per aver accettato  un ragazzo in una impresa così rischiosa.

- Mamma!

Il  lamento  era  venuto  da  dietro  una  macchia  di  canne cresciuta a ridosso del muro di una fascia.

- Alfio, sei ferito?

- Mamma! - mormorò il ragazzo con voce arrantolata. - Mamma! - ripeté.

Bacì  si fece strada tra  le canne e inciampò   nel corpo di Alfio steso a terra.

- Che ti é successo?

- Le pietre... mi hanno investito le pietre mentre  correvo...  sento male, qui al petto....

Nel  buio Bacì toccò  il corpo. Le  vesti erano in  più punti lacerate  e  vicino alla spalla destra,  da  un  ampio  squarcio,  l'uomo avvertì con la mano lo scorrere di  un  fiotto  caldo, appiccicoso. Tastò  la ferita;  le sue dita incontrarono la pelle lacerata da cui il sangue fluiva copiosamente.

-  Non é niente,  vero Bacì? -  chiese il ragazzo  con un filo  di voce.

-  No,  non  é niente.  E'  solo  una ferita  superficiale,  -  lo rincuorò, ma sapeva di mentire. -  Te la senti di camminare?

-  Tenterò.

‑ Aspetta: prima cerco di fasciarti.

Alla  bell'e  meglio Bacì tamponò la ferita con la sciarpa  di lana  tolta dal collo e poi aiutò il ragazzo ad alzarsi.

-  Su, fatti forza.  Ti aiuto io  e facciamo presto  perché quelli stanno arrivando e tra poco qui farà molto caldo.

Lungo la strada si vedevano in lontananza i fari di alcune auto attirate dall’esplosione. Dalla garitta la sentinella, rimasta Dio sa come illesa, s’era messa a sparare raffiche di mitra nel buio senza saper dove.

Fatti pochi passi, il ragazzo si accasciò a terra gemendo

-Dio,  che  male!...  Bacì, non ce  la  faccio  a camminare...  Non lasciarmi...Mamma,   aiutami!...  Non  lasciarmi  qui   solo,  non  lasciarmi...

‑ Calmati, non ti lascio!

Interrompendo a metà una imprecazione, Bacì afferrò il corpo del ragazzo quasi fosse stato un sacco di patate, se lo  caricò   sulle spalle  e  si avviò   verso la scarpata  in direzione della  strada asfaltata.

Ruscelletti  d'acqua avevano impregnato  l'erba e l'uomo  non  riusciva a far presa con l'unica mano libera. Scivolò  più volte. Il  ragazzo non diceva nulla;  dopo alcuni gemiti s'era  chetato e Bacì non si era più preoccupato di chiedergli come stesse, né gli  aveva  più  dato  fastidio  il  sangue  che,   gocciolando   dalla fasciatura  andata fuori posto, gli imbrattava i calzoni.  Pensava solo  a portare quel  corpo il più  lontano possibile e  a lottare contro  il viscido, fangoso terreno che lo ostacolava nell'ascesa. Quando riuscì ad  oltrepassare la  strada e  a gettarsi  nel bosco  di castagni, ritenne di  essere fuori pericolo e  si lasciò cadere a terra per riprendere fiato. Il ragazzo rimase silenzioso.

-         È svenuto: meglio per lui, - mormorò Bacì.

L'acqua  intanto continuava implacabile e sferzare ogni cosa. I  lampi si andavano diradando, ma non tanto; e  alla luce di essi  l'uomo  vide  formarsi  a  terra  una  piccola pozzanghera fangosa e rossastra.

 "Questo si dissangua - pensò Bacì. Chissà   quanto potrà   durare." Girò attorno la testa senza vedere nulla in quel buio di pece e mormorò , rivolgendo una domanda a se stesso: - “Quanti  litri  di sangue abbiamo?”

Con la mano andava intanto accarezzando la fronte del ragazzo  e  scostando  i  capelli bagnati.  La sentiva  fredda al tatto, sempre  più fredda, ma non  poteva farci nulla.

- Bacì, Bacì, dove sei? E' con te il ragazzo? - La  voce di Greco gli  giunse ovattata in mezzo  a tutto quel fruscìo della pioggia insistente. ‑ Presto, fate presto! Stanno arrivando!

  Quasi  a  conferma  di  quelle  parole  si  sentì  il  rapido crepitìo di un mitragliatore.

- Bacì,  Cobra, per la miseria, muovetevi.....

 

 

...... Padron Bacì scosse il capo per allontanare il ricordo importuno e si voltò verso il boccaporto da cui Battistin era spuntato con metà del corpo. La paranza, investita da alte ondate e spinta di traverso dal vento, scarrocciava violentemente.

-  L'acqua  sale!  -  gridò   il  marinaio   tenendosi   saldamente aggrappato  all'orlo del boccaporto. - La falla non si trova. Deve essere  sotto le casse.  Bisognerebbe spostarle tutte,  ma con  la tarantella che stiamo ballando é impossibile.

-  Mondaccio Giuda  boia! Vieni  qui e  prendi il  timone.  Voglio scendere  a vedere. Spicciati! E  fa attenzione!

Si  aggrappò ad una sartia  penzolante dal boma e,  incurante dell'acqua,  si affrettò verso  il boccaporto lasciato  aperto  da  Battistin. Vi si introdusse e lo richiuse poi sopra la testa

Alla  luce  di  una  torcia  elettrica  tenuta  in  mano  dal Camoglino,  vide in  fondo alla  stiva due  buoni palmi  di  acqua nerastra  su  cui  galleggiavano  pezzi  di  legno, stracci, una bottiglia vuota e  molti sugheri. Le casse poggiate sul fondo erano semisommerse e una di quelle poste in cima era caduta sfasciandosi  e  riversando  nell'acqua le stecche di sigarette.

- C’è qualche fessura nella chiglia, Padron  Bacì, ma con  tutta quest'acqua e questo ingombro  non si riesce  a vedere dove.  Il guaio é che continua a crescere. Che si fa?

Padron  Bacì  non  rispose subito.  Aggrappato  alla scaletta guardava  lo scempio della  sua barca e  ascoltava i gemiti  dello scafo  quando  veniva  investito  dalle  ondate  che  rimbombavano sordamente contro le fiancate.

- Dobbiamo puntare subito verso terra! - sbottò d'un tratto.

- E il carico?

-  In malora il carico! Adesso bisogna pensare a noi e alla barca. Risali, dobbiamo manovrare e cambiar rotta. Ho bisogno di te, di Battistin e  di  Mauro. Loro due alla pompa; tu mi darai una mano nelle manovre.

Risalì  la scaletta e aprì il boccaporto proprio nell'istante in  cui una enorme  ondata prendeva d'infilata  l'imbarcazione  da prua  e  rovesciava la  sua massa d'acqua  in coperta.  Un  fiotto enorme lo investì e lo accecò per un poco, soffocandolo quasi.

-  Battistin,  attenzione!  -  urlò   istericamente  non  appena si  riprese  e  vide alla  luce di un  lampo un'altra ondata  più alta della precedente correre velocemente incontro alla paranza.

Il marinaio l'aveva vista pure lui in mezzo  allo  scrosciare della  pioggia,  ma  non abituato  a reggere  il timone  con un tempo simile,  si  impaurì  e quando  si  accorse  che l'imbarcazione  si arrampicava  su per l'onda gigantesca, invece di prevenire con una  violenta  deviazione laterale il tuffo  della prua verso il basso, si lasciò sfuggire il controllo del timone. La paranza si coricò su un fianco mentre la vela, sotto la forza del vento passò da un bordo all'altro. Lo straglio di prora,  sottoposto  ad uno sforzo violento, insostenibile, si spezzò netto con  un  secco rumore di frustata all'altezza dell'arridatoio e l'albero, non più tenuto fermo dalla tensione del cavetto metallico, fu  troncato a metà e cadde di schianto in coperta mentre la vela si afflosciava.

- Taglia! Taglia! Tagliate tutto e gettatelo in mare - prese a urlare Padron Bacì. Anche lui, armato di un coltellaccio, s’era buttato a troncare le sartie che ancora trattenevano l’albero.

Battistin, inebetito, era rimasto vicino al timone e non si muoveva. Il  Camoglino, saltando a destra e a sinistra, scioglieva, strappava, tagliava tutto quello che poteva.

Quando  l'albero,  vela  compresa, venne  scaraventato  fuori bordo,  la paranza si raddrizzò di colpo, quasi liberatasi  da un peso enorme  e continuò la sua folle corsa.

-  Avvio  il   motore? -  chiese  ansando  il Camoglino.  - Adesso potremo usarlo, no? - aggiunse con ira rivolto a Padron Bacì.   Questi non gli diede retta.

- Mauro, dov'é Mauro?

Il Camoglino si allontanò senza rispondere, deciso a fare di  testa sua.

Padron Bacì si mosse e, brancolando a tentoni, urtò contro il corpo del giovane afflosciato ai piedi dell'albero smozzicato.  Se  ne stava rattrappito  come un sacco  di cenci, con  un braccio attorno alla base dell'albero e l'altro abbandonato sulla coperta. Tutto  attorno gli ribolliva la  schiuma che il mare  continuava a riversare senza posa.

- Mauro, - lo chiamò Padron Bacì, - Mauro, ti senti male?

Il  giovane non rispose.  Allora il vecchio, tratta di  tasca la  torcia elettrica,  l'accese, gliela puntò sul  viso e quello che  vide lo fece gemere. Mauro teneva gli occhi chiusi e la  bocca  spalancata da  cui usciva un  sottile filo rossastro.  La guancia destra  era  tutta  imbrattata di sangue,  mentre dall'attaccatura del  braccio fin  sotto il seno il giubbotto strappato era inzuppato dal sangue che  usciva  da un'ampia  ferita.  Il troncone  dell'albero, quasi  fosse  stato  tranciato  diagonalmente da  un gigantesco fendente, cadendo,  doveva averlo colpito di striscio e le schegge appuntite  del  legno  avevano lacerato  la  pelle, penetrando  in profondità    nella carne.

-  Oh  no!  - mugolò Padron Bacì, spegnendo di colpo la torcia per non vedere e appoggiandosi all'albero spezzato. - Oh no! - ripeté.

Poi,  ripreso coraggio,  riaccese la torcia e la puntò sulla ferita. La vide enorme, aperta in mezzo al giubbotto stracciato i cui lembi inzuppati si mescolavano a brani di carne martoriata.

- Battistin, presto! - chiamò. - Lascia il timone al Camoglino e portami la cassetta del pronto soccorso! Fa’ presto, porco mondo!

-  Che è successo?

- Non fare domande e sbrigati!

- Oh Madonna  santissima! -  farfugliò poco  dopo  Battistin  nel vedere il  sangue uscire  copioso dalla ferita.

- Passami l'alcool,  presto !  - lo  investì Padron  Bacì.  Aveva stracciato  completamente il giubbotto e  messo a nudo la  ferita. Gli sembrò  molto più  grave di quanto  non avesse temuto  in un primo momento.

Di lavarla non c'era bisogno perché le onde, continuando a rovesciarsi  sull'imbarcazione,  e  la pioggia, cadendo  incessante, provvedevano  a  pulirla.  Padron  Bacì  vi  versò sopra l’intero bottiglino  d'alcool  al  cui  contatto  Mauro  mugolò   di dolore, aprendo improvvisamente gli occhi,

-  Mamma... - mormorò il  giovane. - Mamma... -  e poi reclinò il capo da una parte.

- Vattene, - fece Padron Bacì rivolto a Battistin. - Va a dare una mano  al Camoglino e cercate di avviare il motore al più presto se no questo se ne va. Digli di  puntare subito verso terra.

- Ma ne siamo ancora molto lontani.

-  E va, perdio! - lo aggredì il vecchio con  la voce soffocata da un singhiozzo. - Non stare lì intorno senza far nulla.

Rimasto solo, tenendo la torcia tra i denti per avere le mani libere,  Padron Bacì si  diede a tamponare  la ferita alla  bell'e meglio. Cercò di accostarne i lembi, la ricoprì con del  cotone  e poi la legò come meglio poté. Dopo si accosciò e, appoggiata  la  schiena alla  base dell'albero, prese delicatamente il corpo del giovane e lo  tenne tra le braccia per impedire che gli sbalzi della paranza lo sballottassero qua e là.

Spenta la torcia, nell’impossibilità di fare altro, se ne stette al buio in ascolto della tempesta che rugliava e delle ondate che investivano lo scafo senza posa....

 

 

...... anche allora aveva tenuto così Alfio, il piccolo Cobra che non aveva saputo mordere bene, e anche allora aveva sentito il peso di  quel  corpo diventare sempre più greve quanto più il tempo passava e quanto più il sangue rifluiva.

-  Bacì, non t'accorgi  che questo se  ne va? -  gli  aveva  detto Greco. - Vieni via, lascialo, lasciamolo; non possiamo  far  più nulla per lui. Vieni, i tedeschi si avvicinano.

- Ma come possiamo lasciarlo lì?

-  Venendo, conosceva pure lui  i rischi da correre  e  questo era uno dei tanti.

- Non lo posso lasciare, non lo posso lasciare!

- Vieni via, ti  dico! - aveva  urlato Greco e  in un  impeto  di rabbia  lo aveva afferrato per il bavero costringendolo a lasciare il ragazzo. Poi, a furia di spintoni, l'aveva  allontanato  mentre sulle  loro  teste  cadevano  alcuni  ramoscelli  troncati  da una raffica  di mitra sparata da un soldato nella loro direzione.......

 

 

 

....... a tratti Padron Bacì accendeva la torcia elettrica per scrutare qualche segno sul volto del marinaio. ma questo rimaneva immobile e diveniva sempre più esangue. Dalla  ferita,  nonostante  la  fasciatura, il sangue continuava  a sgorgare, si mescolava  ai  piedi dell'albero con l'acqua salmastra e poi veniva spazzato via. L'uomo,  col  pensiero fisso  al ragazzo del  ponte e col  peso di  Mauro che gli gravava addosso, se ne stava immobile,  incapace  di concludere  alcunché. Pareva che la  vita rifluisse anche da  lui, come  un  tempo   era rifluita  da  Alfio.  Sentiva calde  lacrime  colargli  per  le  guance e  mescolarsi  a  spruzzi di  salmastro.

Dentro  di  lui  Padron Bacì lo sapeva.  Mauro non  sarebbe arrivato vivo a terra.

L’aveva capito subito, quando  aveva posato le mani sull'orrenda ferita aperta come un immenso fiore purpureo. Era uguale all'altra, a quella di Alfio, e come quella mortale.

Padron Bacì non seppe mai quanto tempo rimase col giovane tra le  braccia. Si accorse ad un tratto che a oriente il cielo si era leggermente  schiarito e la paranza, silenziosa, non subiva più la violenza delle onde.

Il  Camoglino e Battistin  non erano riusciti  ad avviare  il motore.

- Padron Bacì, - lo avvertì il Camoglino cercando di scuoterlo dal suo torpore, - il vento sta calando.

L'uomo  lo guardò  in volto, poi posò   lo sguardo  su  Mauro e a bassa voce, quasi un sussurro, disse:

­- Sì, lo so. Il vento é calato.