Ho letto con piacere la “tesina” con cui Martina conclude il ciclo dei suoi studi liceali, prima di accedere a quelli universitari. E’ il piacere dell’amico ed è anche i il piacere che deriva dal fascino che l’argomento (presente in una molteplicità di libri di fantascienza) ha sempre in me suscitato. Nelle mie letture giovanili mi sono imbattuto in una frase in cui un autore sosteneva: “ Un uomo vale tanti uomini quante lingue conosce”. In seguito la ampliai con un corollario, aggiungendo “... occorre, però, che egli comprenda il giusto significato di ogni parola”. La frase mi è tornata alla memoria leggendo il lavoro di Martina.
La prima parte della tesi si basa su due punti essenziali: “la reazione di Montag” e il concetto di anfibologia. Il Montag di Ray Bradbury (autore di Fahrenheit 451) parte dal presupposto che “i libri [parole e storie] rendono l’uomo asociale”., Per quanto concerne l’anfibologia Quintilliano osserva che molte sono le parole che presentano significati ambigui e diversi («nullum videatur esse verbum quod non plura significet», Inst. or. VII, 9, 1). E nella tesina viene evidenziato come un regime totalitario si avvale dell’anfibologia, del controllo del linguaggio, usando di ogni parola un solo significato, quello che permette di governare: gli altri sono vietati per legge.
Per esprimere con un esempio visivo il concetto basta immaginare una palla di gomma piena d’aria, scagliata con violenza (come in una gara di pelota basca)contro un muro scabro, irregolare, bugnato. Quando la palla (la parola) colpisce una parete si deforma (primo significato) e rimbalza riprendendo subito la forma rotonda. Ma quando colpisce nuovamente la parete la deformazione non è più quella di prima è diversa è modificata (come avviene in una parola anfibologica).
Su questi parametri è costruita la seconda parte della tesi: l’esempio storico di un uso corrotto del linguaggio legato al fascismo e al suo leader carismatico.
Un minisaggio che prende l’avvio da un mondo di finzione, quello della fantascienza per confluire in una realtà ancora oggi presente..

La parola che inganna: un esempio letterario ed un esempio storico di uso corrotto del linguaggio   (Martina Penso, liceo scientifico G.D. Cassini, A.S. 2013/14, classe VC)

 

Introduzione

Quando è arrivato il momento di scegliere l'argomento della tesina, mi sono chiesta quale potesse essere l'oggetto di questo "mini studio". Dopo alcune indecisioni, sono arrivata alla conclusione che l'argomento dovesse essere qualcosa che mi interessasse ma di cui non mi ero mai occupata in modo approfondito. A quel punto, la mia scelta è ricaduta sul linguaggio e quando ho chiesto consiglio a parenti e professori mi è stato consigliato di circoscrivere l'argomento e analizzare solo  qualche aspetto. Inizialmente, facendo alcune ricerche, mi sono imbattuta nell' appendice di "1984" di George Orwell sulla Neolingua. Leggendola, mi sono accorta, parola dopo parola, che era esattamente ciò che volevo analizzare approfonditamente nella mia tesina. Il linguaggio, l' uso delle parole, è ciò che rende l'uomo diverso dagli animali. La possibilità di esprimere i propri punti di vista e i propri sentimenti, di confrontarsi, sono fondamentali per un essere umano. La privazione di questo comporterebbe una privazione di parte dell' essenza dell' uomo. Ciò che più mi ha colpito in "1984" è stato il provvedimento da parte del regime di insinuarsi addirittura nel linguaggio. La parola "totalitarismo" indica che chi detiene il potere ha voce in capitolo su tutti gli aspetti della vita dei cittadini. Quello che mi sono chiesta è stato: al di là del controllo sull' economia, sulla cultura e sulla politica, è ammissibile arrivare a controllare addirittura il linguaggio? Inoltre, Orwell ha un'immaginazione assolutamente straordinaria: i caratteri da lui delineati sono perfettamente coincidenti con l'idea di annichilire la possibilità di espressione.

Successivamente, ho deciso di trattare una situazione più reale per una possibilità di confronto. Di solito, a scuola, il Fascismo è analizzato solo da un punto di vista storico per evidenti motivi. L'interesse a voler trattare questo argomento è sorto durante la lettura del Discorso del 3 gennaio sul delitto Matteotti di Mussolini. Ciò che mi ha affascinato è stata la capacità di quest'uomo di ammaliare la folla con le sue parole, le sue metafore, i suoi gesti. La folla era incantata. L' ascesa di Mussolini fu determinata quindi non solo dalle circostanze storiche ma anche da questa sua capacità incredibile di farsi acclamare dal popolo.

In conclusione, il mio "mini studio" mi ha permesso di scoprire ulteriori aspetti di questi regimi oltre quelli prettamente storici e letterari. L' argomentazione non è stata semplice, ma l'analisi è stata sicuramente interessante. Attraverso questa tesina volevo affrontare un argomento che mi potesse tornare utile e soprattutto che mi aprisse gli occhi su una situazione così drammatica di cui gran parte del Novecento è stato spettatore.

Democrazia e parole

"Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo di una democrazia e dell'uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica " scrive Gustavo Zagrebelsky.

A partire da questa considerazione, possono essere fatte alcune osservazioni. Innanzi tutto lademocrazia è così definita: un sistema politico in cui la sovranità è esercitata direttamente o indirettamente dal popolo. E' quindi garantita la partecipazione di ogni cittadino, su base di uguaglianza, all'esercizio del potere pubblico e la discussione politica è essenziale dato che è un sistema politico formato da plurime personalità. Ma affinché avvengano dei confronti tra diverse idee politiche, è richiesta da parte dei cittadini una certa conoscenza per formulare le diverse proposte. Un' altra osservazione riguarda le parole. Secondo Zagrebelsky, le parole e le idee sono in rapporto tra loro in modo direttamente proporzionale. L' abbondanza di parole e la molteplicità di significati sono strumenti del pensiero, ne accrescono la potenza e la capacità critica. Dato che le parole rappresentano una condizione del dominio sul reale, diventano, inevitabilmente, strumento del potere politico. Di conseguenza, più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica in una democrazia, ma soprattutto le parole non devono essere ingannatrici, affinché il confronto delle posizioni sia onesto. Parole precise, specifiche, dirette; basso tenore emotivo, poche metafore; lasciar parlar le cose attraverso le parole, non far crescere parole con e su altre parole. Oltre, quindi, a esserci uno stretto rapporto tra le parole e le idee, è presente anche una relazione tra le idee e il grado di sviluppo di una democrazia. Più sono le idee, più la democrazia è libera e le possibilità di creare un sistema efficace sono maggiori. Invece, la povertà e l'inadeguatezza della comunicazione si traducono in povertà dell'intelligenza e di conseguenza inefficacia del sistema politico.

A proposito del carattere arretrato o comunque inadeguato di un linguaggio, Orwell muove una critica in un saggio su La politica e la lingua inglese quando scrive che "L'inglese moderno, soprattutto l'inglese scritto, è pieno di cattive abitudini che si diffondono per imitazione e possono essere evitate se ci si prende il disturbo di farlo. Se ci si libera di queste abitudini si può pensare con più chiarezza e pensare con chiarezza è un primo necessario passo verso il rinnovamento della politica: perciò la lotta contro il cattivo inglese non è una frivolezza né preoccupazione esclusiva di chi scrive per professione."

Il linguaggio dei totalitarismi

Tuttavia, la situazione così descritta da Orwell non è il caso più grave: può accadere un fenomeno più inquietante e pericoloso, ossia un processo di conversione del linguaggio all' ideologia dominante, il quale, si realizza attraverso l'occupazione della lingua, la manipolazione e l'abusivo impossessamento di parole chiave del lessico politico e civile. Nella prima metà del '900 si ha un fallimento dell' idea di democrazia quando viene messo in discussione il dibattito tra i partiti e gli stessi partiti tradizionali non riescono a trovare un rapporto di fiducia con le masse. Si prefigura, quindi, una situazione in cui un leader coglie l'occasione di mettersi a capo di un popolo e le parole ricoprono un ruolo decisivo in questo processo. Il capo vuole imporre un'ideologia articolata e precisamente definita, finalizzata alla legittimazione del regime ed alla sua preservazione come unico orizzonte possibile per la società oltre che alla mobilitazione («dall’alto») delle masse a sostegno del regime stesso in modo da mutare

radicalmente il modo di pensare e di vivere della società stessa. Il linguaggio che verrà utilizzato sarà, quindi, un linguaggio corrotto, che non ha una funzione costruttiva. Toni Morrison parlava di lingua morta per la lingua del potere poiché non si limita a rappresentare i confini della conoscenza ma confina la conoscenza e soprattutto non consente nuova conoscenza, né promuove lo scambio reciproco di idee, un vero e proprio "impoverimento psichico".

Analisi

Ora verranno analizzate due situazioni: la prima riguarda una situazione letteraria, cioè il caso in cui Orwell immagina che il partito di "1984" imponga ai cittadini una lingua per ridurli ad un'unica massa non pensante in modo da preservare il potere. In questo caso, Orwell con tutta la sua straordinaria capacità di rappresentazione ci propone una situazione in cui il linguaggio viene radicalmente modificato e privato delle sue caratteristiche principali (come ad esempio la possibilità di interpretazione e la ricchezza espressiva) e assimilato direttamente dai cittadini.

Nella seconda situazione andremo ad analizzare una situazione più realistica, che ha come protagonista Mussolini. Il leader Mussolini, non può imporre l'assimilazione di un'ideologia attraverso il cambiamento del linguaggio della comunità, ma piuttosto attraverso il suo linguaggio.

Avviene un'alterazione delle parole, infatti come scriveva Milosz: Chiunque detenga il potere può controllare anche il linguaggio, e non solo con le proibizioni della censura, ma cambiando il significato delle parole. Cambiando i significati - o, più semplicemente, confondendoli e cancellandoli - si attua un processo di corruzione della parola; in questo modo il leader avrà la possibilità di corrompere il pensiero delle persone che lo ascoltano. Mussolini è riuscito a conquistare e mantenere il potere anche grazie a questa sua attitudine che potrebbe essere definita quasi magica: egli scatena la violenza nei cittadini e li muove verso obiettivi che apparirebbero facilmente irrazionali, se solo non li avvolgesse in parole grondanti di retorica. Come diceva Socrate a Critone: Tu sai bene che il parlare scorretto non solo è cosa per sé sconveniente, ma fa male anche alle anime, le anime, i cittadini sono ammaliati da questo linguaggio che li fa sentire così vivi e partecipi, pronti all' azione. Ad esempio, Klemperer diceva sulla lingua usata dal nazismo: la lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale.

Orwell "1984"

In "1984" Orwell dipinge un mondo distopico, postnucleare, dove il continente è diviso in Oceania, Eurasia, Estasia. In Oceania il Partito Socialista Inglese (Socing) detiene il potere e qualsiasi comportamento contro il regime è punito con la morte. Ogni aspetto della vita degli individui è controllato. Per evitare qualsiasi pensiero eretico che possa contaminare il pensiero del Socing e di conseguenza provocare un ribaltamento della società, bisogna quindi precludere la possibilità degli individui di pensare. Il Socing si propone quindi di realizzare questo progetto attuando diverse misure: alterando la verità della storia e intervenendo direttamente sul linguaggio.

 

Alterare la verità della Storia

Per completare lo stato di ignoranza in cui versano gli abitanti di Oceania è essenziale il controllo del passato: l'alterazione della memoria del passato è fondamentale per il mantenimento del potere del Socing perché impedisce al presente qualunque confronto coi tempi andati e soprattutto consente di far aderire il passato al dogma dell'infallibilità del Partito. Poiché il Partito non è, nella realtà infallibile, si modifica la memoria del passato affinché esso coincida con l'ideologia del Socing. In questo modo, l'individuo è un ignorante, da qui una delle frasi slogan del partito: l'ignoranza è forza. Maggiore è la conoscenza di un individuo, tanto più esso è preda di dubbi e contraddizioni del pensiero. Tanto meno esso sa, quanto più egli sarà in grado di agire secondo i dettami del Partito. Inoltre, per evitare che gli individui leggano i testi di Storia occorre eliminare l'archelingua in modo da recidere ogni legame col passato.

La Storia era stata riscritta, ma qua e là ancora sopravvivevano purgati alla meglio, frammenti della letteratura trascorsa e, finché si riusciva a conservare la propria conoscenza dell'archelingua, era possibile leggerli. In futuro questi frammenti sarebbero stati intraducibili. Nessun libro scritto prima del 1960 poteva essere tradotto. La letteratura del periodo antecedente la Rivoluzione poteva essere soggetta solo a una traduzione ideologica, che è come dire a un'alterazione completa del senso e dellinguaggio.

Invenzione della Neolingua

Viene quindi inventata la Neolingua messa a punto per sostituire l'archelingua.

Fine specifico della Neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli adepti del Socing, un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. In questo modo, ogni pensiero eretico sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole.

La Neolingua ha quindi il compito di cancellare un modo di pensare che possiamo definire "archetipico", (richiamando proprio la parola "archelingua"), per evitare confronti con il mondo passato. Infatti, nel momento in cui gli abitanti della società distopica di "1984" si confrontano con la società precedente, possono accorgersi di quanto sia in realtà infernale il presente. Tuttavia, il carattere fondamentale della Neolingua è quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Le persone non possono pensare. O meglio, possono pensare ma la loro mente può produrre solo i pensieri voluti dal Socing.

Le Neolingua ha due caratteri fondamentali: la referenzialità e la restrizione del campo verbale.

Referenzialità

Il lessico della Neolingua era articolato in modo da fornire un'espressione precisa e spesso molto sottile per ogni significato che un membro del Partito volesse correttamente esprimere, escludendo al tempo stesso ogni altro significato, compresa la possibilità di giungervi in maniera indiretta. Di fronte a questa definizione di Neolingua ci si accorge che la definizione di linguaggio referenziale è, pressoché, la stessa. Infatti, come scrive Umberto Eco, in "Opera Aperta" messaggio referenziale può essere inteso come un messaggio a funzione denotativa. Di fronte a un' espressione come "Quell'uomo viene da Milano" si attua nella nostra mente un rapporto univoco tra significante e significato: aggettivo, nome, verbo e complemento di moto da luogo, rappresentato dalla particella "da" e dal nome proprio di città, si riferiscono ciascuno a qualcosa di ben preciso o a una azione

inequivocabile. Il linguaggio referenziale risponde, quindi, alle esigenze del Socing. La caratteristica connotativa del linguaggio è assolutamente assente: i membri della società sono ridotti ad una massa uniforme, tutti ugualmente capaci di cogliere un unico significato di una frase e tutti ugualmente incapaci di interpretazioni diverse.

Restrizione del campo verbale

In che modo si vuole creare il vocabolario della Neolingua? Creando nuovi vocaboli, ma soprattutto eliminando le parole indesiderate e sopprimendo i significati eterodossi e, possibilmente, tutti i significati secondari nelle parole superstiti.

Si era compreso che nell'abbreviare una parola se ne restringeva e alterava sottilmente il significato, eliminando gran parte delle associazioni mentali a essa connesse. L'intento era quello di rendere il discorso - specialmente quello relativo a oggetti non neutri da un punti di vista ideologico -il più possibile indipendente dall'autocoscienza.

La mancanza di parole ha come necessaria conseguenza la mancanza di pensiero perché la persona non può attivare i processi mentali per elaborare un discorso e una tesi. Il cittadino di "1984" non è una persona intelligente e quindi tutte le parole che potevano permettere un qualsiasi ribaltamento della società sono per lui ascrivibili alla categoria della parola psicoreato che racchiude un vasto insieme di parole: onore, giustizia, morale, internazionalismo, democrazia, scienza, religione. Non vi è bisogno di enumerarli uno per uno, poiché tutti indicano un reato e sono tutti punibili, in linea di principio, con la morte.

Considerazioni sulla Neolingua

Scopo del partito è quindi abolire i pensieri oppure far esprimere i propri pensieri in maniera corretta secondo le esigenze del Socing. In ogni caso, si vuole far fluire un discorso articolato direttamente dalla laringe, senza alcuna implicazione dei centri cerebrali superiori. Se ragioniamo su questa ultima affermazione, ne emerge che quindi il popolo deve essere una massa senza pensiero, senza capacità di ragionare, ugualmente indirizzata verso un preciso luogo comune. Le parole devono uscire dalla bocca in modo meccanico, senza essere elaborate dalla mente. Come scrive Orwell: per le finalità della vita quotidiana era necessario riflettere prima di parlare, ma un membro del Partito, quando veniva sollecitato a emettere un giudizio etico o politico, doveva essere in grado di sputar fuori le opinioni corrette con lo stesso automatismo con cui una mitragliatrice spara i suoi proiettili.

A partire dalla parola "automatismo" ci si riconduce al carattere referenziale della Neolingua, infatti, Umberto Eco parlando della referenzialità scrive che nella frase "Il rapido per Roma parte alle 17,45 dalla Stazione Centrale, binario 7" sussiste uno schema di comprensione unitario: entro le 17,45 ciascuno dei passeggeri è pervenuto per vie diverse a prendere posto sul treno designato. La reazione pragmatica nei passeggeri stabilisce una base di referenzialità comune, la stessa che sarebbe percepita da un cervello elettronico opportunamente istruito.

Un cervello elettronico o un computer devono produrre automatismi, un essere umano no. Le persone dovrebbero avere la possibilità di elaborare le informazioni da un punto di vista personale e soggettivo per poi produrre non automatismi bensì, coscienti giudizi.

Conclusioni

Vengono quindi attuate queste manovre in modo da rendere la parole non più un mezzo per distinguersi esponendo le proprie idee, ma un mezzo di omologazione, come potrebbe essere una divisa a scuola.

A questo punto si può fare una considerazione sulla parola uguale. In una democrazia, i cittadini sono tutti uguali e a dare conferma di ciò è quello che si legge in tutti i  tribunali: "La legge è uguale per tutti". I cittadini hanno tutti ugual diritto di manifestare le proprie idee.

Nel totalitarismo la massa deve essere tutta uguale per essere conforme ai principi del partito o del dittatore e il dittatore è proprio colui che invece è al di sopra degli altri. In questo caso, nasce spontaneo il riferimento a Orwell e la "Fattoria degli Animali": All animals are equals but some are more equals than others.

 

Fascismo: la creazione del consenso

Introduzione

Durante gli anni '20, Mussolini si impone come guida indiscussa dello Stato approfittando della situazione di insoddisfazione e caos che si era creata in Italia nel primo dopoguerra italiano. In quel periodo si respirava un clima di malcontento per l'esito dei trattati di pace dai quali l'Italia non era stata favorita. I nazionalisti, tra i quali spiccava il poeta e scrittore Gabriele D' Annunzio, alimentavano un'accesa campagna di opinione, sostenendo che la vittoria dell'Italia era una "vittoria mutilata". Inoltre, vi era una gravissima crisi economica dovuta soprattutto ai debiti contratti per le grandi spese militari. La disoccupazione aumentava vertiginosamente e aumentavano anche le lotte sociali di contadini e operai con la formazione di alcune associazioni sindacali. La figura di Mussolini si innesca principalmente su questo ultimo punto: siamo nel Biennio Rosso e l'azione del Fascismo di matrice violenta è rivolta a contrastare l'ondata di scioperi socialisti. Per questo, esso riscuote simpatia tra gente di orientamento molto diverso: nazionalisti, piccoli borghesi spaventati dai disordini, liberali moderati, ex combattenti, capitalisti industriali e agrari. Infatti, le stesse forze liberali, pur non condividendone la violenza, pensano di servirsi temporaneamente dei fascisti come un utile freno contro il dilagare delle proteste delle classi lavoratrici e contro le forze socialiste, contando di poterli controllare facilmente appena conseguito lo scopo. I deboli governi liberali lasciano quindi via libera agli scontri politici nel paese, nell'illusione che gli opposti estremismi - ossia i fascisti e la sinistra rivoluzionaria - si eliminino a vicenda, consentendo infine la restaurazione dello Stato liberale.

Il consenso

Il fascismo non ha mirato tanto a governare l'Italia quanto a monopolizzare il controllo delle coscienze italiane. Non gli basta il possesso del potere: vuole il possesso della coscienza privata di tutti i cittadini, vuole la "conversione" degli italiani (...) il fascismo ha le pretese di una religione (...) le supreme ambizioni e le inumane intransigenze di una crociata religiosa. Non promette la felicità a chi non si converte, non concede scampo a chi non si lasci battezzare (Giovanni Gentile).

Il regime fascista fu una dittatura totalitaria "fondata sul consenso di massa": ciò significa che, al di là degli atti di violenza con cui si impose, ebbe la costante necessità di mostrare a se stesso e alla nazione che il popolo nella sua totalità si identificava con l'ideologia e le direttive del regime (celebre proclama mussoliniano: bisogna "andare al popolo"). Il fascismo riteneva, infatti, che la massa costituisse una fondamentale forza politica e che non fosse in grado di autogovernarsi perché, come scrive Lederer, non può mai essere unita dalla ragione ma piuttosto dall' emozione. La ragione non potrebbe avere alcun effetto sulle masse, anche quando fosse ben fondata psicologicamente. Ciascuno nella folla si comporta come Otello ed è gonfio di quel' euforia data dall'agire emozionale; nessuno è, per usare le parole di Shakesperare: sicklied o er with the pale cast of thought (reso lindo dalla pallida impronta del pensiero). Ciascuno nella folla ha dentro di sé un universo psicologico di potenzialità emotive che possono essere risvegliate: amore, nazione, paese, razza. E' proprio in questo punto che si innesta la figura di Mussolini. Lederer lo rappresenterebbe come il Leader, uomo emotivo e passionale in grado di accordare la folla e sentire le emozioni che la uniscono e in grado di ammaliarla; questo processo avviene proprio puntando sul carattere emotivo delle folle: facendo appello ai sentimenti e alle emozioni, è possibile per il Leader incanalare l'energia delle masse ai propri fini, suscitando un'adesione di fede e non una partecipazione libera e critica e il dato decisivo è l'impiego da parte del leader di argomenti adattati allo scopo specifico piuttosto che all'accertamento della verità. Lederer parla di uomo carismatico che etimologicamente significa: colui che porta la parola di Dio. E infatti il nuovo Stato assumeva gli aspetti di un nuovo idolo, di un dio terreno, cui tutto doveva essere sacrificato o subordinato e questo concetto rappresentava proprio l'ideologia del fascismo: la dottrina gentiliana dello stato etico (tratta da Hegel) che consisteva nel subordinare la libertà e gli interessi dell'individuo a quelli dello stato in modo da creare un fondamento ideologico forte e capace di mettere d'accordo se non tutti, molti.

La folla – disse una volta Mussolini – non ha bisogno di conoscere. Deve credere. E deve piegarsi a essere forgiata. Tutto il popolo vecchi, bambini, contadini, operai, armati e inermi, sarà una massa umana e più che una massa umana, un bolide che potrà essere scagliato contro chiunque e dovunque (discorso del 5 maggio 1930).

Ne derivava il tipo di oratoria del duce, nella quale egli eccelse: un'oratoria fatta, non per convincere con argomentazioni, ma per suscitare entusiasmo e fede, con affermazioni inconfutabili e domande retoriche rivolte alla folla, cui egli chiedeva risposte corali dalla piazza. Tale consenso in parte fu sollecitato, grazie all'esaltazione dello spirito nazionalistico e alla realizzazione di riforme ed opere pubbliche; in parte fu obbligato, ottenuto annientando le altre forze politiche e perseguitando gli oppositori, ma soprattutto controllando vasti settori della vita sociale e anche privata del cittadino.

La parola pare usata come uno strumento magico, incantatore e la prevalenza del rilievo sonoro del discorso, rispetto alla sostanza argomentativa e alla semantica, è netta. D'altro canto è stato notato come la caduta del regime non abbia prodotto, non immediatamente almeno, l'abbandono di molti di questi stereotipi linguistico-stilistici, presenti ad esempio in molti dei volantini stampati dalla Resistenza, che spesso paiono scritti anch'essi, appunto, in lingua fascista (Battistini).

Mussolini è stato un grandissimo oratore. Aveva tutte le qualità necessarie: la voce, innanzitutto,

grave e inconfondibile; la gesticolazione; lo sguardo magnetico. Sapeva sempre elaborare una battuta efficace e lapidaria. Coniava slogans, frasi facili in grado di rimanere ben impressi nella mente. Era consapevole di quanto la parola fosse importante in politica: La potenza della parola - confidò a Ludwig - ha un valore inestimabile per chi governa. Occorre solo variarla continuamente. Alla massa bisogna parlare imperioso, ragionevole avanti a un’assemblea, in modo familiare a un piccolo gruppo. E l’errore di molti uomini politici di avere sempre il medesimo tono. Naturalmente parlo al Senato diversamente che sulla piazza.

Giovanni Zibordi, socialista riformista, scrivendo sull'Avanti!, a proposito del Congresso socialista di Ancona (aprile 1914) si mostrava avvinto dall'eloquenza di Mussolini che aveva trionfato sulla destra del partito: «Benito Mussolini, l'agitatore degli animi, l'oratore-catapulta, diverso da tutti gli altri, perché, a differenza di molti (e in certo senso si potrebbe dire di tutti) non parla agli uditori, ma parla con sé stesso; ad alta voce. Dice forte – in altri termini – quello che sta pensando: non dice quello che convien dire in quel momento, a quel dato fine... o peggio, non dice quello che non pensa, non afferma forte quello che nega piano, fra sè. Eppoi, l'eloquenza sua è tutt'una cosa, starei per dire tutt'un pezzo, col suo aspetto. Non è possibile contraffazione in lui, equivoco in altri. I suoi occhi e la sua bocca dicono le stesse parole. Le mani afferrano e stringono il parapetto della tribuna, in perfetto accordo col suo pensiero. Pare che guardi l'assemblea, ma guarda dentro di sè. Si può discutere quel che dice, ma non si può dubitare della sincerità. Il Congresso, il popolo plaude, sorride, si esalta, con trasporto immediato, fervido, impetuoso, al suo apparire, al suo discorso. I superficiali possono credere che ciò avvenga perché è originale, perchè quel suo furore è gustoso, perché la sua eloquenza a scatti, lenta o precipite, tutta lampi di pensiero e folgori di parola, ha anche un lato estetico e divertente, per tutti,indipendentemente da quel che dice. Io penso che, anche a sua insaputa, il pubblico – la parte più ingenua e primitiva di pubblico – obbedisca a un senso più profondo: all'impressione, alla intuizione sicura, che sotto quella ferocia di uomo del '93 c'è una infinita «bontà» socialista: cioè un dolore acuto dell'universo dolore, una volontà ferma di lotta per la giustizia: la capacità di mandar sulla ghigliottina il fratello, se stesso, se ciò è necessario all'Idea! Il popolo, noi tutti, rivoluzionari o no, sentiamo che se Benito Mussolini crederà a un certo momento utile la barricata, sarà il primo a salirla (G. Zibordi, Attorno al Congresso. Tipi ed episodi in Avanti! del I maggio 1914). I suoi occhi e le sue mani: ecco ciò che ha colpito e affascinato uno dei suoi antagonisti. In una intervista di Mussolini all'anarchico Armando Borghi si legge: «Egli mi squadrò con una di quelle levate di palpebre che scoprono tutto il bianco dell'occhio, come a voler abbracciare una fuggente visione lontana, e che danno al suo sguardo e alla sua fisionomia un'aria pensosa di apostolo...».

Propaganda

Uno degli elementi che contribuì alla formazione del consenso del fascismo fu l'uso della propaganda. Tale strumento permise la diffusione di quei miti ed ideali che il regime adottò per far presa specialmente sulle nuove generazioni, grazie anche al contributo di alcuni intellettuali che fornirono al fascismo i sistemi ideologici e culturali di cui aveva bisogno. Si comprende l'importanza dei nuovi mezzi di comunicazione di massa la radio (EIAR) e il cinema (Istituto Luce) al fine della propaganda della formazione di una cultura fascista di massa. Inoltre, viene creata una rete di scrittori, pubblicisti, conferenzieri stipendiati dal Partito: il compito di questa organizzazione è la diffusione di scritti sulla romanità, sull'italianità, sui successi, veri e presunti, realizzati dal regime. Fra i temi portanti vanno ricordati la mitizzazione della figura del Duce e l'idea di una nuova Italia fascista magicamente trasformata dall'avvento della rivoluzione fascista, un'Italia in cui tutto funziona alla perfezione. La propaganda è compito del Ministro della Cultura Popolare.

Il nazionalismo

Prendendo spunto dalle riflessioni fatte precedentemente su Orwell, andiamo ad analizzare alcuni punti della politica fascista. In "1984", il partito aveva preso alcune iniziative per dare un'immagine di sé perfetta; una di queste era l'alterazione della verità della storia. In questo modo, gli individui non avevano alcun modello con cui confrontarsi e soprattutto accoglievano ogni cambiamento come se fosse qualcosa di straordinario, partorito dalla magnanime mente del partito. Con lo stesso scopo, Mussolini voleva dare un'immagine perfetta di Stato, vediamo come.

Controllo e orientamento della stampa

Lo strumento tra i più importanti ed efficaci negli anni Trenta fu il controllo e l'orientamento della stampa, che si manifestò oltre che mediante la nomina nei posti direttivi di persone vicine al regime, anche tramite le "veline", gli ordini del giorno che stabilivano quotidianamente che cosa dovesse e che cosa non dovesse essere pubblicato (foto, argomenti, frasi, ecc..). Le tematiche affrontate dalle veline erano le più svariate, toccavano questioni di politica interna ed estera, di costume e di cronaca, di lingua e di cultura e rivelavano non solo gli orientamenti ideologici, ma talora anche le manie di Mussolini. Ad esempio: per divulgare un'immagine positiva dell'Italia fascista, ci fu una campagna contro la cronaca nera, bisognava dare l'impressione di un'Italia sana e immune da fatti delittuosi, allo scopo di indurre la convinzione che il fascismo avesse realmente compiuto una rivoluzione sociale moralizzando i costumi, ordinando la vita privata e pubblica, eliminando le cause stesse che portavano ai delitti. In campo editoriale, più tardi, una direttiva del Minculpop avrebbe stabilito, ad esempio, che nella produzione giallistica l'assassino non dovesse mai essere italiano. Mussolini sembra seguire la direzione del partito di 1984. Non vuole cambiare la Storia perché la Storia è difficile o addirittura impossibile da cambiare, tuttavia vuole cambiare non tanto la Storia del passato, ma piuttosto il presente, per dare un'immagine di un' Italia perfetta resa tale proprio grazie al Fascismo.

La lingua

Un altro punto interessante della politica di Mussolini riguarda i provvedimenti concernenti la lingua. Mussolini attraverso il processo di omogeneizzazione della lingua voleva omogeneizzare il popolo. Questo suo desiderio era principalmente dovuto al profondo nazionalismo che caratterizzava la sua ideologia. Concretamente questo orientamento si manifestò in una difesa della lingua nazionale italiana e nella scelta di due obiettivi polemici: l'uso dei dialetti (dialettologia) e l'influsso delle lingue straniera sull'italiano (esterofobia).

Dialettologia

Mussolini mirava a combattere la diffusione dei dialetti, che erano le parlate in cui la maggiora parte degli italiani ancora si esprimeva. Ma proprio in questo caso fu grave la concomitanza di un'ostilità nei confronti dei dialetti e della sostanziale incapacità di promuovere una crescita culturale di tutti gli strati della popolazione. Genni sottolinea il fatto che l'ostracismo nei confronti dei dialetti in una scuola fortemente selettiva come era quella nata dalla forma Gentile costituiva un forte fattore discriminante. Un effetto di portata altrettanto vasta è quello di provocare in masse di cittadini italiani la vergogna della propria condizione di parlanti dialetto. Sia l'uno che l'altro effetto si sono protratti ben oltre i limiti cronologici del fascismo, ed è solo in anni relativamente recenti che una rivalutazione sociale e culturale dei dialetti ha trovato adeguata diffusione sia nel mondo della cultura, sia in parte, in quello della scuola.

Esterofobia

Inoltre fu preso di mira l'uso linguistico pubblico e privato delle lingue straniere. A partire dal 1935, con l'inasprirsi delle relazioni diplomatiche internazionali, la campagna contro gli esotismi giunse al suo culmine. Si previdero pene severe per i locali pubblici che mantenessero nomi stranieri, si istituirono commissioni deputate al vaglio degli esotismi e alla formulazione di proposte di sostituzione, si copiarono elenchi, si diffusero scritti teorici e volantini propagandistici. Fra gli esempi di sostituzioni non sempre fortunate ricordiamo: Festivale o festone per festival, pellicola per film, chiatta o ferribotto per ferry-boat, tranvai per tram-way, parchetto per parquet, gineprella per gin, ratafià per cognac o brandy, arlecchino per cocktail, autista per chauffeur, bittero per cowboy, bomerango per boomerang, ecc. Per sostituire una parola diffusissima come bar si proposero vanamente via via barra, barro, bara, bettolino, quisibeve, taverna potoria, mescita, liquoreria, taverna e altri ancora. Qualcuno, come autista, ebbe successo. La maggioranza non durò oltre gli anni del fascismo; molti in quei medesimi anni vissero stentatamente negli usi pubblici ufficiali, ma non attecchirono in quelli quotidiani e nella conversazione, o nelle strutture private, come sempre necessariamente accade quando si vogliono imporre dall'alto, per decreto, abitudini che non trovano adeguato riscontro negli usi e costumi. Condannò anche l'arte occidentale considerata come immorale e antipatriottica e scelse l'autarchia anche in campo letterario, promuovendo un'arte nazionale e tradizionale, ma il risultato fu in parte proprio quello opposto, cioè di far nascere negli intellettuali e nel pubblico l'esterofilia (Gramsci, Quaderni del carcere).

Conclusioni

In conclusione, da questa tesina si evidenzia quanto sia importante la parola quale mezzo di comunicazione. I regimi totalitari trovano nella parola il più grande strumento per la sottomissione di una nazione, ancor più forse di una sommossa militare. La parola entra nella coscienza, cambia il pensiero. Mentre per un colpo di stato, gli individui vivono nella paura ma nella consapevolezza che ciò che sta accadendo è qualcosa di negativo, da ribaltare assolutamente, la parola, utilizzata così come nei totalitarismi, non permette ad un individuo di pensare, o meglio, permette all' individuo di pensare, ma il pensiero non sarà un pensiero autentico, ma piuttosto sarà un pensiero influenzato, tumorato. Il pensiero è malato e quindi l'uomo accetta la situazione così com' è perché l'ha deciso il regime e il regime è perfetto. Se pensiamo alla parola "pensiero" esso deriva da "pendere" e quindi soppesare. Attraverso il pensiero si prendono in considerazione diverse argomentazioni e si soppesano, ma in questo caso i pensieri non sono soppesati, sono automatici. Il perfetto fascista o il perfetto "oceanico", non pensa secondo una logica umana, ma secondo una logica influenzata, malata: è la caduta dell'uomo.

 

Bibliografia

E. Lederer, Masse e Leadership dal libro Nuovi profili storici, Editori Laterza (lettura)

Gianrico Carofiglio, La manomissione delle parole, Editore Rizzoli (letture)

George Orwell 1984, Editore Mondadori (letture sulla Neolingua)

Herman Grosser, Il canone letterario: Il Novecento, Editore Principato (libro scolastico)

Umberto Eco, Opera Aperta, Editore Bompiani (letture sul linguaggio referenziale)

Enciclopedia Treccani

         

 

 

Giugno 2014