La fenice risorta
E’ opinione comune che pittori, scrittori, scultori, scienziati, gli artisti tout court, siano persone strane, estrose, imprevedibili. Ricordo di aver letto che Balzac amava sfoggiare cavalli, carrozze, domestici in livrea; che aveva la mania di arredare sfarzosamente la sua casa in Rue Cassini; di lavorare di notte avvolto in una casacca bianca di cachemire, con la caffettiera di porcellana sempre a portata di mano. Ricordo Oscar Wilde che si fece conoscere per le sue stravaganze: era solito passeggiare in Piccadilly tenendo in mano ora un giglio ora un girasole, finendo in tal modo tra le caricature del giornale ‘Punch’. Ricordo pure parte di una lettera che Machiavelli scrisse all’amico Francesco Vettori: “Venuta la sera, mi ritorno in case, et entro nel mio scrittoio; et in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango et di loto, et mi metto panni reali et curiali; et rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolemente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che io nacqui per lui”. Forse per una sorta di mimesi, ma lungi dal paragonarmi a loro, anch’io non di rado seguo simili orme. Ad esempio, adesso, mentre scrivo, la notte è nel suo pieno vigore (sono le quattro del mattino) e tutto è silente. Davanti a me ci sono due quadri, un libro dalla copertina cartonata in color marroncino chiaro, anonima, e un catalogo edito a cura del Comune di Albisola. Da uno dei due quadri il volto grazioso di una giovane india della fiera tribù dei Tupinambà mi sorride. Gli occhi vivi, scuri, i capelli color ebano, le spalle nude e la pelle di un color bronzeo, la bocca socchiusa che mostra denti bianchissimi che splendono su quel volto sorridente e una collana di perline attorno al collo dona un tocco civettuolo alla sua figura di adolescente. In fondo al quadro una firma: M.Trucco. L’altro quadro è totalmente diverso. Un paesaggio: alberi e vegetazione mediterranea contornano una casetta bianca. Non c’è firma ma so di chi è perché fu il pittore Manlio Trucco a donarmela. “E’ un abbozzo, - mi disse - una prova che ho fatto su un una tavoletta di legno. Forse in seguito riprenderò il soggetto”. Per questo non l’aveva firmata. Non si firmano gli “appunti” o gli “abbozzi” ma solo l’opera finale. I libro dalla copertina marroncino in similpelle, non presenta titolo alcuno. E’ solo accuratamente rilegato. Aprendolo, ci si accorge che manca anche il frontespizio. C’è solo una dedica scritta a penna: “Ai cari amici Ida e Ernesto Ziller con affetto. M.Trucco). Me lo ha consegnato per una lettura il figlio degli Ziller, che da bambino fu il pupillo dei coniugi Trucco i quali, non avendo figli, riversarono su di lui le loro attenzioni e al quale il pittore-ceramista insegnò a costruire minuscole figurine in coccio, rappresentanti personaggi da presepio. Le pagine sono tutte dattiloscritte accuratamente e corrette qua e là da Trucco. Voltata la pagina con dedica, si entra subito in argomento. Una breve introduzione inizia con: ”Mi accingo a scrivere per voi, cari amici, il racconto della mia lunga, tumultuosa vita.” E che termina con la frase “”Mi limiterò, quindi, a raccontarvi semplicemente, ma con sincerità, cosa ho visto e cosa ho fatto nel mio passato”. Una autobiografia quindi, un genere che nell’editoria dei primi del Novecento era molto in voga specie tra gli artisti (scrittori, pittori, scultori, poeti, drammaturghi...) ed nel quale il lettore entra in punta di piedi, e, col permesso dell’autore, si trova di fronte ad una privacy che viene volutamente aperta a tutti. Ipotizzo che in Manlio, quando, nel 1967, cominciò a scriverlo, ci fosse la speranza di sopravvivere dopo la morte non solo per i suoi quadri, ma anche attraverso le vicende della sua vita. Parafrasava in tal modo una frase di Foscolo: “Sol chi non lascia traccia di sé poca gioia avrà nell’urna”. L’ultimo oggetto è un catalogo dal titolo MANLIO TRUCCO. 1884-1974. Ceramiche, mobili, dipinti, disegni, a cura di Liliana Ughetto cui si devono gli interventi più interessanti rivolti a tutta l’opera del pittore ligure, in particolar modo alla sua biografia. Solo nel suo lungo, accurato, documentato e puntiglioso intervento della curatrice ho potuto conoscere il titolo che Trucco diede alla sua autobiografia. In una fotografia a pagina 9 è riprodotta la foto di un manoscritto che reca la scritta: Manlio Trucco: Vita di un mangianuvole diventato poi Memorie di un mangianuvole. A mio avviso il saggio della Ughetto è la più documentata e interessante analisi della vita di Manlio Trucco, intessuta da brani tratti dal mss., inseriti in capitoli che comprendono : Tempo d’infanzia; Genova; Il viaggio; Parigi; Le arti decorative: La ceramica; L’interesse per il primitivo; Fortuna diseguale. Un nuovo clima per le arti applicate; Manlio Trucco progettista di mobili; L’esperienza della ceramica, Manlio Trucco pittore; Compagni di strada. Le raccolte del “Museo Trucco” e gli artisti della Fenice. Un saggio completo su un autore e su tutta la sua opera. Manca però qualcosa, non nel saggio della Ughetto: manca la possibilità al visitatore del” Museo Trucco” di poter leggere nella sala sottostante, dove è ubicata la Biblioteca Civica, le pagine autobiografiche del pittore. Il manoscritto Vita di un mangianuvole o Memorie di un mangianuvole non ha mai avuto la fortuna di passare sotto i torchi di una tipografia;
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Le memorie nacquero “ inizialmente dattiloscritte – scrive Liliana Ughetto - , quindi sottoposte a una prima revisione, furono riscritte con l’aiuto della pittrice [ceramista] Ida Ziller e poi di nuovo dattiloscritte. Dovevano intitolarsi Vita di un mangianuvole , quindi Avventure e disavventure di un mangianuvole, sottotitolate da ‘Libro per i giovani e per gli adulti’. L’ultima versione - Memorie di un mangianuvole è senz’altro la più fedele all’importante ruolo giocato dalla memoria nella sua vita”. Purtroppo il dattiloscritto è rimasto tale, noto in pochissime copie, che solamente alcuni privilegiati hanno avuto la fortuna di leggere nella sua interezza eseguendo passo dopo passo, il percorso che dalla natia Genova portò Manlio Trucco a Belem, nello stato brasiliano del Parà, lungo il Rio delle Amazzoni, nel Messico, a New York, a Parigi dove conobbe Modigliani, Arturo Martini, i fratelli Cominetti Apollinaire, Max Jacob, Gino Severini e il famoso Paul Poiret, gran maestro della “haute couture” per il quale creò motivi per la stampa di seterie e arredamento e dove, nel 1915, in una mostra da Goupil espose alcune sue opere a fianco di quelle di Modigliani e di Matisse ..., per ritornare poi a Genova e , infine, stabilirsi ad Albisola dove creò la sua ultima creatura: il laboratorio di ceramica artistica la “Fenice”. Manlio Trucco morì il 15 novembre del 1974 a distanza di undici mesi dalla conclusione della sua autobiografia. E’ sepolto nel Cimitero della Pace di Albisola Superiore, in una tomba a fianco di quella della moglie Cornelia Pesse, che lo aveva preceduto dieci mesi prima. Su entrambe le lapidi c’è solo il nome e la data di nascita e di morte di entrambi. Su quella di Manlio c’è in più anche la scritta “Pittore”. Nessun’altra aggiunta: la grande livella rende tutti uguali. Durante la vita e anche dopo la morte, a differenza di Balzac, di Wilde e di molti altri, Trucco non cercò mai di “esibirsi” per attirare su di sé l’attenzione del pubblico, come gli consigliava l’amico Arturo Martini in una lettera spedita da Parigi, nel 1927: “Non basta saper dipingere , caro Trucco, per acquistare notorietà e fama devi scendere in piazza travestito da clown col viso impiastricciato di bianco e di rosso e gridare a tutto fiato che la più bella pittura è la tua e serviti del megafono che la tua voce sia udita anche dai sordi, So che non sei capace di fare questo e finirai tranquillamente, senza notorietà e senza gloria, nel folto delle tue belle foreste amazzoniche tra i tuoi indi e le vaste distese d’acqua, ove, sta pur certo, nessuno verrà mai a interrompere il tuo sogno e ben pochi sapranno che sei esistito”. Per sfatare quest’ultima affermazione di Martini, ho pensato di pubblicare su Internet la sua autobiografia della quale, come detto in precedenza, esistono pochissime copie dattiloscritte, gelosamente custodite dai proprietari. Perché lasciarla nell’oblio “delle foreste amazzoniche”, come dice Arturo Martini? Oggi, nel secolo dell’informatica, si dibatte spesso un problema di capitale importanza per la cultura, e cioè se Internet sostituirà la carta stampata. Le biblioteche, previdenti, già hanno posto a fianco dei libri qualche computer a disposizione del pubblico per ricerche in rete. Ecco perché ho pensato di inserire on line, nel SALOTTO LETTERARIO del mio sito, anche le Memorie di un mangianuvole, raggiungibili così da chiunque. Un sistema cui Arturo Martini non poteva (e non avrebbe potuto!) pensare .
L’ autobiografia di un pittore non può essere conclusa solo con parole. Ho, pertanto, ritenuto opportuno accompagnare quella di Trucco con album iconografici: - uno in b.e n., che comprende fotografie tratte da un album di famiglia; - altri con riproduzioni di quadri (ora a colori, ora in b.e n., ricavate dal vero o da cataloghi), suddividendoli in due settori: figure e paesaggi di Liguria; e figure e paesaggi di luoghi esotici. Il giudizio sulle opere di Manlio Trucco lo lascio a Luigi Pennone, che nella prefazione ad un catalogo per una mostra tenutasi a Milano dal 16 al 29 maggio 1959, comprendente 63 dipinti e 14 ceramiche, tutti di soggetti brasiliani, così scriveva: “ ...il ceramista non ha mai soffocato in lui il pittore nativo. E’ una lunga, costante, infinita devozione ad un sogno che gli aveva acceso il cuore nella fanciullezza: e lo ha portato a dipingere per tutta la vita, i grandi quadri nostalgici della natura, dei paesi, degli uomini d’oltreoceano. Foreste, laghi fiumi, grandi alberi, uccelli: e gli indios nativi dei luoghi ch’egli deve sognare ancora nelle sue notti serene di vecchio signore malato di nostalgia”.
(Marino Cassini)
Dipinti legati a luoghi esotici
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