PALAU

 

1992       (496/519 BF)  Bibbia. La Genesi.

« In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» Così inizia la Bibbia.

Il Libro della Genesi è il primo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. È scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Nei primi 11 dei suoi 50 capitoli descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente (soprattutto Palestina) del II millennio a.C. (la datazione dei patriarchi, tradizionale ma ipotetica, è attorno al 1800-1700 a.C.

 

 

 

1993  (589/613)  Bibbia:  Giona e la balena.

Il Libro di Giona  è un testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana. È scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la redazione definitiva del libro è avvenuta in Giudea dopo l'Esilio di Babilonia (circa 530-500 a.C.). È composto da soli 4 capitoli e descrive la predicazione del profeta Giona a Ninive ambientata nell'VIII secolo a.C. sottolineando l'invito alla conversione per tutti i popoli, non solo gli Ebrei.

Nel capitolo I il Signore chiede  a Giona, figlio di Amittai, di andare a predicare a Ninive, la Grande Città. Giona, invece, si dirige a Tarsis via nave. Ma la nave è investita da un temporale e rischia di essere colata a picco dalla violenza delle onde. Giona allora ritrova improvvisamente il proprio coraggio e svela ai compagni di viaggio che la colpa dell'ira divina è sua, poiché ha rifiutato di disubbidito a Jehovah. Per poter, quindi, salvare la nave egli deve essere gettato in mare. Così avviene ma un "grande pesce" (da nessuna parte è precisato che si tratti di una balena) lo inghiotte. Dal ventre del pesce, dove rimane tre giorni e tre notti, Giona rivolge a Dio un'intensa preghiera, che ricorda uno dei Salmi. Allora, dietro comando divino, il pesce vomita Giona sulla spiaggia. E per ubbidire a Dio il profeta si reca  a Ninive.

 

 

 

1997  (BF) Leggende: Vulcani, dee del Pacifico.  Darago. Fuji. Pele. Pare. Dzalarhons. Cuginadak.

I sei valori sono legati rispettivamente a località dove sono situati i vulcani (Filippine, Giappone, Haway, Maori, Haida, Aleutine) e alle rispettive leggende legate a divinità femminili.

Fuji (Giappone).Tra  le leggende più suggestive e note vi sono quelle legate al  monte giapponese Fuji.  A luglio di ogni anno molti fedeli in Giappone compiono una vera e propria scalata del monte Fuji con l’obiettivo di rendere omaggio alla dea Sengen-Sama. Legata a questa dea c’è una particolare leggenda, secondo la quale la dea avrebbe ucciso i seguaci dell’eroe Nitta Tadatsune, che avevano invaso il suo territorio, e avrebbe costretto lo stesso eroe ad allontanarsi, minacciandolo di morte. Ecco perché tutti si rivolgono alla dea con il massimo rispetto. Ma i fatti leggendari e misteriosi correlati al monte Fuji non si limitano a questo. Esiste, infatti, anche un mito che intende spiegarne l’origine. Secondo questo mito molto tempo fa un vecchio trovò presso le pendici del monte una bambina molto bella, che, una volta diventata adulta, sposò l’imperatore. Passarono alcuni anni e la moglie gli rivelò la sua natura immortale e il fatto che sarebbe dovuta tornare in cielo. Per consolarlo, decise di donargli uno specchio, nel quale l’imperatore avrebbe potuto vederla ogni volta che ne avesse avuto il desiderio. L’imperatore era sconvolto e tentò inutilmente di seguire in cielo la sua bella moglie. Ma ad un certo punto lo specchio si ruppe, andando in fiamme. Ecco spiegato, secondo, il mito il motivo per cui dal monte in questione di tanto in tanto si vede spuntare il fumo, essendo esso un vulcano dormiente.

Pele (Hawai). Narra una leggenda che Pele, la grande dea del fuoco e dei vulcani era una dea avvenente ma anche capricciosa e vendicativa, un giorno si invaghì del giovane capo di un villaggio di pescatori posto sulla riva dell’oceano. Tuttavia egli, essendo molto devoto alla sua giovane sposa, rifiutò le profferte d’amore della dea. Sentendosi rifiutata, Pele si accese d’ira per l’offesa subita e per vendicarsi radunò tutti i suoi collaboratori, Lonomakua custode dei sacri bastoni del fuoco, Kopohioka lo spirito delle esplosioni di lava e Kehakepo lo spirito della pioggia di fuoco, ed ordinò loro di scatenare i vulcani ed incenerire con la lava il giovane capo.  Il giovane per salvarsi si gettò in mare e per sfuggire alla lava incandescente che avanzava salì su una tavola di legno con cui cavalcò le onde dell’oceano in modo da sottrarsi all’ira della divinità.

Da allora ogni volta che la dea Pele è adirata si ricorda dello smacco subito e dal grande vulcano Mauna Loa fa scendere ancora fiumi di lava incandescente che però vengono fermati dalle onde del mare.

Cuginadak (Aleutine). I nativi pensano che il monte Cleveland, il cui primo nome era Cuginadak, fosse la dimora della dea del fuoco e che vi risiedesse in permanenza per scatenare e dirigere le numerose  e grandi colate che discendono dai fianchi scoscesi del vulcano.

Dzelarhons (Haida). Era una principessa che a bordo di sei canoe che trasportavano esseri umani, sbarcò in America. Nessuno seppe da dove  provenissero le canoe, ma quel gruppo di uomini e donne diede vita al popolo Haida.  Dzelarhons è anche conosciuta come la dea dei vulcani, moglie del dio-orso degli indiani Haida.

  

 

 

1998 (1147/58)  La leggenda di Orachel.

Orachel è una figura leggendaria  nella  Isole di Palau ed è considerato l’architetto che diede vita alle caratteristiche costruzioni presenti nell’isola, i bai.

Un giorno, mentre tornava da un viaggio a Angaur con la madre-serpente, Orachel avvertì rumori insoliti provenienti da sotto il Mekaeb, l'area dell’oceano situata tra Anguar e Peleliu. Chiese il  permesso di sua madre per indagare sulla causa del rumore.

Fu allora che scoprì l’esistenza delle divinità del mondo sottomarino. Stavano costruendo un  bai, o un luogo di raduno per i capi. Gli dei di questo mondo sotterraneo decisero di far visitare ad Orachel il bai, spiegandogliene la necessità di costruirne anche nel suo mondo. Ecco perché i Palauani credono che Orachel sia stato il primo uomo a costruire  il primo bai in The Island Palau, introducendo  lo stile architettonico  bai che continua ancora oggi.

 

 

PAPUA E NUOVA GUINEA

 

In un articolo su Internet, a cura di Pasquale Arciuolo, l’autore chiarisce in modo particolare il mondo culturale di Papua e Nuova Guinea, legato ai miti e alle leggende ancor oggi presenti nell’immaginario collettivo di un popolo che solo di recente è entrato in contatto col mondo che lo circonda.

Così scrive: “Discutendo... della Nuova Guinea non possiamo fare a meno di dire che strani riti e leggende ancora più misteriose potrebbero ispirarsi ad eventi dimenticati, come ad esempio visite da parte di esseri più progrediti, ma alcuni studiosi ipotizzano incontri tra indigeni ed extraterrestri. Anche le popolazioni dell’Amazzonia durante i loro riti indossano maschere con volti mostruosi e si cospargono di penne imitando il volo degli uccelli accompagnati dai ritmi tribali. C’è chi vuole vedere in questa rievocazione con volti mostruosi o il ricordo di astronauti preistorici o semplicemente di uomini con becchi d’uccelli e ali, che fecero loro visita e portarono la civiltà. In questo caso il rapporto che si instaurò tra questi signori celesti, forse provenienti da altri pianeti, forse già residenti sulla Terra da numerosi secoli, e i Papua fu talmente profondo che ancora oggi le case sono modellate a forma di astronavi, le stesse con le quali giunsero questi esseri. Alcune hanno forma di mezza luna, accanto a delle altre dalla forma di fauci di coccodrillo. Gli indigeni, non capendo di cosa si trattasse, realizzarono le loro abitazioni sulla base di quel che ricordavano di aver visto. Non soltanto esseri con becchi, ali e corpi da uomo, ma anche probabilmente giganti ebbero a che fare con loro. Vi sarebbero delle testimonianze.

Il ritrovamento di Dolmen e Menhir così connessi col culto dei giganti da risultare una cosa sola; si pensa per esempio che i Menhir siano giganti tramutatisi in pietra in seguito all’attacco di altri esseri simili, ma più cattivi. La leggenda può farci sospettare che ad Atlantide vi fossero dei giganti (che poi erano alti circa due metri) provenienti da altri mondi, dal colorito chiaro, che lottarono con altri giganti decisi a contendersi l’Impero. Tuttavia, in Nuova Guinea troviamo altri racconti: i dolmen in questo caso rappresenterebbero le tavole sulle quali i giganti della Nuova Guinea si sarebbero nutriti. Scomparsi questi signori, gli indigeni avrebbero continuato ad innalzarli, pare per una sorta di timore nei loro confronti. Non si sa se la leggenda abbia un fondamento reale, tuttavia il mito dei giganti è planetario è fa veramente sospettare che questi esseri, in un tempo imprecisato abbiano dominato sulla Terra. Infine, potremmo prendere ad esempio la giungla neoguineana, come del resto la giungla americana, quella indiana e quella africana, dove strade lastricate, templi abbandonati, splendidi palazzi ricchi di colmi tesori, mura, bassorilievi e strutture architettoniche scolpite con un preciso stile sono stati già rinvenuti in passato e altri se ne troveranno in futuro. Segni di un passato troppo lontano nel tempo per essere ricordato. Resti archeologici che potrebbero essere ciò che rimane di quella evoluta civiltà planetaria più volte ipotizzata. Ma non lo possiamo sapere. E nei riti degli indigeni ora sopravvive il ricordo di quel mondo dimenticato... nelle loro maschere grottesche, nelle loro lunghe dita artificiali, nelle loro danze rituali, nelle loro case dalla forma così strana. Le leggende, confuse e arcaiche, pongono davvero molti dubbi sui segreti dei Paupasiani, tanto arcaici quanto sapienti e riservati”. 

 

1969   (153/6) Mitologia: Divinità indigene. Tito. Iko Luvuapo. Miro.

1977  (332-5) Mitologia: Divinità indigene. Oa-Kari-Marupi. Savoripi. Oa-Iria-Rapo. Oa-Miri-Mirou.

 

2008    (1199/1202)  Leggenda  dei guerrieri Asaro  Mudmen, gli uomini di fango.

Gi Asaro Mudmen provengono dal villaggio di Goroka nella Eastern Highlands Province della Papua Nuova Guinea. La leggenda narra che, sconfitti da una tribù nemica e costretti a fuggire verso il fiume Asaro, aspettarono fino al tramonto prima di tentare la fuga. Il nemico li vide salire dalle rive fangose ​​coperti di fango e tutti pensarono che fossero degli spiriti. Terrorizzati corsero al loro villaggio e tennero una cerimonia speciale per allontanarli. Da quel momento i Mudmen pensarono di utilizzare lo  strattagemma per altre battaglie ma non potendo coprire col fango  i loro volti perché le leggende dicevano che il fango dal fiume Asaro fosse velenoso, pensarono di utilizzare maschere paurose fatte con con fango biancastro  aggiungendo anche accorgimenti particolari come occhi smisurati, orecchie lunghe, sopracciglia che  che arrivavano alle  orecchie,  con corna,  e altro.

 

PALESTINA

 

2001    (159/2)  Fiabe dalle “Mille e una notte”

 

 

PARAGUAY

 

Anno 2012 (3087/93+ BF 35) Serie UPAEP Miti e leggende I 7 figli di Tau e Kerana. Teiu jagua. Monai. Jasy  Jaterei. Luison. Kurupi. Ao Ao.  Mboi Tu’i.

Tau. Il dio Tau,  amato dalla sua tribù, era solito  trascorrere la giornata a letto, tanto che lo chiamavano l’Assonnato.  Innamoratosi delle bella  Kerana, per conquistarla si trasformò in un giovane avvenente e la rapì.  Ma prima di rapirla dovette combattere contro  Angatupyry (spirito buono) che intervenne per impedirlo. La lotta durò sette giorni. Infine, utilizzando l'inganno, Tau riuscì a battere Angatupyry.

Tau,  quindi, rapì Kerana con la forza. Ma la sua azione violenta provocò tristezza e indignazione presso la sua tribù che chiese una  punizione esemplare. Angatupyry si  occupò della questione e gettò su Tau e Kerana una terribile maledizione: i figli  da loro generati sarebbero sempre nati  prematuri e di aspetto deforme e mostruoso.

Teju Yagua, il primo figlio di Tau e Kerana, è il primo dei  sette mostri leggendari nella mitologia GuaraníTeju Yagua letteralmente significa "cane-lucertola" ed è il più grande e spaventoso. È una lucertola con sette teste a forma di cane, dotato di una  grande forza e può mangiare solo frutta e miele che uno dei fratelli gli procurava. Il suo aspetto era il più orribile dei sette fratelli. Tuttavia, la sua ferocia fu spazzata via per desiderio del dio Tupa che lo rese docile e innocuo. Anche se continuava ad essere temuto per il suo sguardo abbagliante. In alcune versioni ha solo una testa.  È stato considerato come il Signore delle caverne e protettore dei frutti e viene citato anche come un genio protettivo delle ricchezze sotterranee. La sua pelle ha acquisito luminosità sguazzando nell’oro e in mezzo a pietre preziose.  

Moñái,  il terzo figlio di Tau e Kerana aveva il corpo di un enorme serpente con due corni dritti e iridescenti che fungevano da antenne.  In altre versioni è descritto come un orco peloso di pelame marrone
Poteva arrampicarsi sugli alberi con facilità e volava  per cacciare gli uccelli, attirandoli a sé in virtù del suo potere ipnotico. La sua specialità era quella di rubare, di  depredare i villaggi e di nascondere il bottino in una grotta. Poiché il continui furti e saccheggi dei villaggi provocavano  grande discordia tra le persone che si accusavano reciprocamente per le rapine e le  misteriosi "sparizioni" dei loro averi, per difendersi decisero di porre fine ai suoi misfatti e di liberarsi di lui con  uno stratagemma: quello fornirgli in moglie.  Porasy,  una bella fanciulla si offrì per svolgere la missione. In breve  tempo riuscì a far innamorare di sé Monai e questi decise di sposarla ma  prima delle nozze volle  cercare i suoi fratelli.

Così, lasciata ogni cosa alle cure del dio Teju Yagua, Monai partì alla ricerca  dei  fratelli e con loro tornò per i rituali di matrimonio. Durante i preparativi tutti si ubriacarono e Porasy cercò di uscire dalla caverna, chiusa da un enorme masso, per avvertire il suo popolo che quello era il momento propizio per liberarsi di Monai.  Questi, accortosi  della manovra avvolse la ragazza con le sue spire e la attirò in fondo alla grotta, ma non prima che la ragazza desse l’allarme e ordinasse ai suoi di bruciare la grotta. Durante l’incendio morì.

In ricompensa del suo  sacrificio, gli dei trasformarono l’anima di Porasy  in un piccolo ma intenso punto luce che da allora splende nel cielo all’aurora.

Jasy Jateré, è una delle divinità più importanti tra i Guaraní. Jasy Jateré ( significa "piccolo pezzo della Luna") è l’unico tra i suoi fratelli, a non avere un aspetto mostruoso. Egli è solitamente descritto come un piccolo uomo o forse un bambino, con i capelli biondi e gli occhi blu. Egli è giusto in apparenza, a volte descritto come bello o affascinante e porta con sé una bacchetta magica.

Come la maggior parte dei suoi fratelli, è legato alla natura e considerato il protettore della pianta yerba mate e Signore della siesta.Viene pure citato come protettore di tesori nascosti.

Secondo una versione diffusa, Jasy Jaterè lascia la foresta e vaga per i villaggi in cerca di bambini che non riposano durante la siesta. Anche se è generalmente invisibile, si dice che si mostra a loro e li fa cadere in uno stato di trance. Egli può anche attirarli nel bosco con un fischio particolare.

Altre versioni su di lui sono meno benevole. Si racconta che prenda i bambini semisvegli, li porti nella foresta e li imprigioni per un lungo tempo, nutrendoli di  fiori e frutti selvatici, fino a  farli diventare come gli animali selvatici. Ancora più raccapriccianti racconti dicono che i bambini sono offerti al fratello Ao Ao, una creatura che si nutre la loro carne. Queste versioni del mito sono adoperate come  spauracchio per insegnare ai bambini ad essere obbedienti e ad abituarli a schiacciare un pisolino durante la siesta. I genitori paraguaiani sono noti per avvertire i  loro figli a non vagare fuori da soli durante la siesta per evitare di essere rapiti da Jasy Jateré.

Kurupi è un  essere simile nell'aspetto alla figura di un'altra  più popolare divinità della mitologia guaranyi: Pombero. Come Pombero, Kurupi è piccolo, brutto e peloso. Abita nelle foreste selvagge ed era considerato il Signore dei boschi e protettore degli animali selvatici. Caratteristica più distintiva di Kurupi, tuttavia, era quella di avere un enorme pene che teneva attorcigliato alla vita come una cintura. A causa di questa caratteristica, era un tempo venerato dai Guaraní come lo spirito della fertilità.

Come Pombero, Kurupi è spesso accusato di gravidanze inaspettate o indesiderate. Il suo pene è detto essere prensile, e a causa della sua lunghezza egli era in grado di estenderlo attraverso porte, finestre o altre aperture in una casa e ingravidare una donna addormentata senza nemmeno dover entrare nella casa. Insieme a Pombero, Kurupi era il capro espiatorio usato da donne adultere per evitare l'ira dei loro mariti o da donne single per spiegare le loro gravidanze. I bambini generati da Kurupi erano esseri molto piccoli, brutti e pelosi come il loro padre e, se maschi, dovevano ereditare qualcosa della virilità del loro padre. In alcuni casi  Kurupi era accusato della scomparsa di giovani donne, presumibilmente rapite e portate nella sua casa nella foresta per saziare i suoi desideri libidinosi.

Ao Ao, il sesto figlio di Tau e Kerana, è una specie di animale a quattro zampe simile ad una pecora ma con la testa di cinghiale; e con la differenza che è più grande e anche molto feroce. L’unica sua passione è quella di scorrazzare in grandi allevamenti e nelle aree più inospitali delle colline e delle montagne.

Ao Ao si alimenta con carne di pecore e carne umana. Pertanto è perseguito da guardiani delle  greggi. Ama inseguire le persone che si avventurano attraverso le colline e l’unico modo per sfuggirlo è quello di salire sugli alberi. Così  Ao Ao rimane  disorientato, perde traccia della vittima e abbandona l'inseguimento. Per la sua capacità di riprodursi è considerato come  una divinità della fertilità. È stato anche considerato come il dominatore delle colline e delle montagne.

Si  dice che abbia  molti figli, tutti i cannibali e viziosi come lui. Quando escono a frotte, perseguitano persone e se queste tentano di salvarsi arrampicandosi sugli alberi, gli Aó Aó li circondano in un cerchio, assordandoli con il grido di ao-ao-ao-ao! , e scavando le radici degli alberi per abbatterli e divorare i malcapitati.

L'unica salvezza contro questa mostruosità è salire su una palma l’albero sacro,  benedetto da Tupa  e ritenuto l'unica pianta di cui  si nutriva Gesù.

Mboi Tu,i .  Aveva la forma di un enorme serpente con la testa grande pappagallo e un enorme becco. Aveva una lingua biforcuta rossa come il sangue. La sua pelle era  squamosa e granulosa. La testa era piumata. Aveva  un aspetto malvagio che spaventava tutti coloro che avevano la sfortuna di incontrarlo.
Viveva presso le foci dei fiumi e proteggeva  gli anfibi. Amava i fiori e vivere nell’umidità. Lanciava urla potenti  e terribili che si udivano a distanza e causavano terrore in chi li ascoltava.

Era considerato il protettore degli animali acquatici e delle zone umide.

Luison  o Juicho (Lupo mannaro) è il settimo e ultimo figlio di Tau e Kerana.

I lupi mannari (conosciuti anche in altre regioni sud americane come luison, lubisonte e "lobison"), è un sinonimo equivalente del licantropo europeo.

La leggenda dice che Luison, nelle notti di luna piena del  venerdì o del martedì, si trasforma in un "animale" che unisce le caratteristiche di un grande cane e un uomo.

L'uomo-lobison, quando si trasforma, assume la forma di un enorme cane, colore scuro, che va dal nero al bruno marrone (a seconda del colore della pelle dell'uomo e della "maledizione" cui è soggetto), occhi rossi scintillanti come due braci, piedi molto grandi, che sono un misto di mani umane e zamoe di cane, i quali emanano un odorre nauseante.

Quando i cani avvertono la sua presenza cominciano ad ululare e abbaiare, ma senza avere la forza di attaccarli. Si nutre di feci dei polli  (si dice che quando un agricoltore vede il pollaio  pulito, è perché i lupi mannari sono passati di lì), di cadaveri rinvenuti nelle tombe.

Storie diverse descrivono Luison come un essere non aggressivo, piuttosto tranquillo anche se si deve stare sempre allerta per un possibile attacco. Non essendo una bestia amichevole, quando meno uno se lo aspetta, può essere attaccato per placare la sua sete di sangue. I mesi in cui si manifesta sono ottobre e novembre.

PERU'

2006  (1542) 

Mitologia.

I fratelli  Ayar    Uno dei principali miti sull’origine degli incas fu quello dei fratelli Ayar, Ayar Uchu, Ayar Cachi, Ayar Mango, e Ayar Auca. nati in una grotta denominata Pacaritambo (locanda/magazzino della produzione, locanda dell’alba, o casa de nascondiglio. Essi erano accompagnati dalle loro quattro sorelle, Mama Ocllo, Mama Huaco, Mama Ipacura, o Cura, e Mama Raua. I leggendari Ayar con le loro sorelle iniziarono un lento cammino attraverso gli altopiani e le gole della cordigliera, con il proposito di trovare un luogo adatto per stabilirsi. Secondo la narrazione dei cronisti, i fratelli non tardarono a disfarsi di Ayar Cachi per timore dei suoi poteri magici, poiché con un solo tiro della sua fionda riusciva ad abbattere una montagna e a far sorgere gole. Con l'inganno lo convinsero a ritornare a Pacaritambo per prendere il “napa”, insegna dei signori e alcuni vasi d’oro che si erano dimenticati, chiamati “topacusi”. Una volta che Ayar Cachi entrò nella grotta lo rinchiusero con dei blocchi di pietra e rimase intrappolato per sempre. Dopo questo episodio, gli Ayar continuarono la loro rotta verso le montagne.

 La leggenda degli Ayar, con le trasformazioni dei personaggi in sassi o “guanca” sacre, oltre al lungo pellegrinaggio del gruppo di Manco, sono tipici episodi andini, presenti anche nei miti delle altre etnie. La transumanza degli incas non fu quella di una banda primitiva di pastori e cacciatori, bensì di popoli essenzialmente agricoli, preoccupati soprattutto di trovare buone terre per le coltivazioni. Questi miti, che si riferiscono allo stanziamento degli incas, sono basilari perché rivelano la loro cosmovisione e le loro strutture sociopolitiche.

 

 

 

2008 ( BF 50)   Il dio Viracocha.

Viracocha è il dio principale nella mitologia inca.  Nome, cognome e alcune alternative ortografiche sono Apu Qun Tiqsi Wiraqutra e Con-Tici (scritto anche Kon-Tiki). Viracocha, una delle divinità più importanti del pantheon Inca, era considerato il creatore di tutte le cose, o la sostanza da cui vengono create tutte le cose. A lui si deve la creazione dell’universo, del sole, luna e stelle, del tempo  e della civiltà stessa. Viracocha era venerato come il dio delle tempeste. E' stato rappresentato come il portare del sole, con fulmini nelle sue mani e le lacrime scendere dai suoi occhi sotto forma di pioggia.

In una leggenda si racconta che aveva un figlio, Inti, e due figlie, la mamma Quilla e Pachamama. In questa leggenda, distrusse la sua famiglia intorno a Lago Titicaca, provocando un diluvio universale.  Risparmiò solo Manco Capac il cui nome significa "fondazione splendida", e Mama Ocllo, che significa  "fertilità madre". Questi due fondarono la civiltà Inca portando una verga d'oro, chiamata 'Tapac-Yauri'. In un'altra leggenda, egli generò i primi otto esseri umani civilizzati. In alcune storie, ha una moglie chiamata Mama Cocha.

  

POLINESIA

1989 (347/9) Leggende polinesiane. Maui  la nascita delle isole. La montagna bucata. Hina o l'anguilla del lago Vaihiria. 

All'inizio di tutte le cose, quando l'universo ed il tempo non esistevano vi era solo un'entità, Ta'aroa (l'Unico, il Creatore di se stesso) che viveva chiuso in una conchiglia in piena solitudine. Fu proprio questa solitudine che lo spinse a creare il mondo decidendo di trasformarsi lui stesso in tutte le cose. Spezzò la sua conchiglia ovale immersa nel nulla e creò con i suoi pezzi le rocce e la sabbia, poi con la sua colonna vertebrale generò le catene montuose, con le sue lacrime formò oceani, laghi e fiumi, con le sue unghie creò le squame dei pesci ed i carapaci delle tartarughe, le sue piume divennero vegetazione (escluso gli alberi) ed il suo sangue pitturò arcobaleni e crepuscoli. Poi chiamò gli artigiani generati da lui stesso e diede loro il compito di scolpire la prima divinità: Tane che creò il firmamento, la luna ed il sole. Seguirono divinità di rango minore come Ru, Maui, Rangi, Hina ed altri.
Ru si mise subito all'opera costruendo con un grande tronco una gigantesca canoa, fissò la vela e mise la sorella Hina sulla prua per aiutarlo nell'avvistare nuove terre e viaggiò per tutti gli oceani. A lui si deve la divisione dell'orizzonte in dodici parti che permise ai Polinesiani di navigare in lungo ed in largo senza perdersi.

Circa l’origine  delle  isole polinesiane si racconta  che un enorme banco di pesci colorati viveva negli abissi del Grande Oceano (Moana-Nui in tahitiano).Un giorno il potente dio Maui navigava per mare con i suoi fratelli e decise di pescare. Pescò così a lungo che alla fine i suoi fratelli si addormentarono. Mentre tutti dormivano, Maui intonò un canto sacro per darsi energia e all'improvviso sentì uno strattone alla sua lenza. Svegliò allora i suoi fratelli e, dopo una lunga lotta, riuscirono a portare in superficie quello che pensavano fosse un enorme pesce. Ma non era affatto un pesce, era l'isola più grande di tutte, Tahiti. Tutti gli altri pesci-isola, che erano rimasti impigliati, riuscirono allora a liberarsi e tornarono a nuotare liberi in mare. Secondo la leggenda proprio in quel momento ebbero origine le isole della Polinesia che si distribuirono in quella parte di Oceano Pacifico che i tahitiani continuano a chiamare Moana-Nui.

Maui, nella religione e nella mitologia della Polinesia, è un essere semidivino o eroe. Abortito e gettato in mare dalla madre stessa, fu salvato dall'antenato Tama-nui-ki-te-Rangi, che lo allevò restituendolo infine ai genitori. Secondo le leggende maori i feti abortiti divengono spiriti malvagi; anche Maui, crebbe ladro e imbroglione. Tra le altre imprese, trascinò in superficie dalla profondità del mare il pesce Te-Ika-a-Maui, che formò l'Isola del Nord, in Nuova Zelanda;  colpì il Sole con tale veemenza da costringerlo a zoppicare lungo tutto il cammino nel cielo, allungando così le ore di luce nell'arco della giornata. Rubò inoltre il fuoco alla sua antenata Mahuika, ma ne prese troppo e durante la fuga gliene cadde sugli alberi, appiccando grandi incendi: dovette perciò invocare il dio delle tempeste, Tawhiri-matea, per estinguere le fiamme. Cinque alberi decisero di conservare il fuoco, che da allora può essere sprigionato sfregando i loro legni. Viene considerato un eroe perché tentò di liberare l'umanità dalla morte, cercando di uccidere Hine-nui-te-po, Signora delle Tenebre. Sua madre gli aveva spiegato che bastava attraversare il corpo di Hine-nui-te-po, la Grande Signora delle Tenebre, entrando dal ventre e uscendo dalla bocca, per distruggerla e ottenere l'immortalità per tutto il genero umano. Maui discese quindi nel regno sotterraneo con i suoi amici uccelli e trovò Hine addormentata. Dopo avere ammonito gli uccelli a rimanere zitti, si trasformò in bruco e si avvicinò alla dea. Ma il piccione Tiwaiwaka, vedendo Maui diventato insetto, scoppiò a ridere, svegliando Hine: la dea del Male si accorse del bruco e lo uccise schiacciandolo fra le cosce.

Hina. Donna, semidivina che appare nella Luna e a volte rappresenta la dea della Luna stessa, è madre (o moglie) di Maui, figura semidivina. A Tahiti è considerata la moglie del dio Tiki, il dio che con Hina creò gli uomini. Hina è la dea "universale" dei Polinesiani e le vengono attribuite molti funzioni. E’ rappresentata con due teste, una per il giorno ed una per la notte.
e' la guardiana del mondo sotterraneo, protettrice delle arti e dei mestieri.

Esistono anche storie diverse sulla sua figura. In una leggenda viene presentata come una principessa, sposa del dio-anguilla. Si narra che Hina fu promessa in sposa al re del lago Vaihiria. Purtroppo, il giorno delle nozze la povera principessa scoprì che il suo promesso era una mostruosa anguilla che viveva nelle profondità del lago. Spaventata, Hina chiamò in soccorso il dio Maui, che uccise l'anguilla e le donò la sua testa, dicendole di piantarla nel suo giardino dopo aver fatto ritorno a casa sua. La ragazza seguì le istruzioni del dio e con suo enorme stupore, dopo aver piantato la testa d'anguilla, assistette alla sua trasformazione in pianta. Nasceva così la palma da cocco e a ben vedere, se si osserva una noce di cocco, si potranno notare facilmente tre macchie scure che tutt'oggi gli abitanti della Polinesia identificano con gli occhi e la bocca dello sposo di Hina.

 

 

1990  (368/70)  Leggende polinesiane. Uru o l'uomo che si trasformò in albero.    Pipiri-Ma o Pipiri  e Rehua,  Hiro, Hina e le  perle. Il cane di Haito 

Uru. In tempi remoti, una grande carestia si abbatté su Raiatea, l'isola sacra. Lì vivevano Ruata'ata, sua moglie Rumu'arii e i loro quattro figli piccoli, che non avevano speranza di sopravvivere a una così dura indigenza. Fu così che una sera Ruata'ata disse alla moglie: "Mia cara Rumu'arii, domattina quando ti sveglierai, recati fuori dalla nostra dimora e non ti stupire. Vedrai che le mie mani si saranno trasformate in foglie, il mio corpo in tronco, le mia braccia in rami nodosi e la mia testa in un frutto rotondo." La moglie non capì il discorso del povero Ruata'ata: fu solo al mattino seguente, scorgendo l'albero che gli aveva descritto il marito, che Rumu'arii comprese: egli si era tramutato in uru - l'albero del pane - per sfamare la sua F.A.I.A.T. così da quel giorno l'uru si diffuse in tutte le isole e divenne base dell'alimentazione dei polinesiani.

Hiro è uno degli eroi più ammirati dai Polinesiani nonostante la sua fama di ruba donne, ladro,  scavezzacollo e attaccabrighe. Di lui si narrano gesta come il tentativo di rubare una montagna o la formazione del lungo e stretto canale di mare che separa in due l'isola di Huahine ad opera della prua sua canoa o ancora dell'uccisione di un terribile e sanguinario cinghiale.

Aitu. Appartiene al gruppo delle divinità Polinesiane minori cui sono attribuiti ruoli relativamente marginali come la tutela della casa o del villaggio.

Un altro ruolo degli aitu è quello di apparire sotto le spoglie di una pianta o di un animale (cane) e di assumere caratteristiche più demoniache che divine. Sono conosciuti anche come atua presso le Isole Marchesi.   

 Rehua .E’ una delle molte stelle rappresentanti un dio Polinesiano. Vive nel te putahi nui o rehua

 (letteralmente il "grande incrocio di rehua") situato nella decima parte del paradiso chiamato rangi tuarea. Un giorno il figlio di Rehua (Kaitangata ), cadde ed il suo sangue colorò il cielo dando origine al tramonto. Rehua è il figlio di rangi e papa, nonché l'antenato di Maui e dei suoi quattro fratelli. Rehua creò l'uccello tui per sfamare i Polinesiani scuotendo la propria chioma folta di  capelli (un'altra leggenda attribuisce la creazione del tui al dio Tane ).

 

 

Anno 2012  (1011). Matari’ i ni’a.

Le stelle hanno sempre svolto un ruolo importante nella vita dei polinesiani. Hanno mostrato la via da seguire sugli oceani, ma erano anche i messaggeri del cielo per le colture.

Nella tradizione polinesiana, dall'aspetto di una particolare costellazione si aspettava l’annuncio di un ciclo di abbondanza.Si trattava delle Pleiadi in Tahitiano  conosciute col nome di Matari'i e Mataiki.

Infatti, la comparsa delle Pleiadi era l’annuncio della prosperità. Ad essa  subentrava la stagione della fame,chiamata "Tau O'e" che iniziava con la scomparsa del Pleiadi.

Il passaggio da una stagione all'altra era un periodo importante nel corso del quale venivano eseguiti i riti vari.  Oggi, i riti delle Pleiadi sono sono ancora celebrati dalla popolazione indigena. Si t5ratta di una  l'occasione per ristabilire il contatto con le tradizioni del passato.

La prima cerimonia che apre i festeggiamenti si svolge ogni anno alla foce del grande fiume Papeno'o.

 

Anno 2013 (1017/8). Tahiri Vahine era una regina guerriera che viveva nella valle Hamuta a Pirae dove oggi  esiste ancora una piattaforma di un grande marae  e di una enorme grotta. Un tempo si poteva ancora vedere  un trono di pietra dove si sedeva. In seguito fu distrutto e portato via dalle acque.

In un periodo remoto, viveva all’interno della valle  di Hamuta un piccolo gruppo di persone chiamato Nohovao. Erano intelligenti e ingegnosi, coltivavano la terra e allevavano anche dei suini da riproduzione. Avevano il potere di guarire e conoscevano l’arte del massaggio. Sapevano costruire utensili come gli umete (grandi recipienti),  arnesi per potare ed erano esperti nel costruire canoe e reti da pesca.

Tra di loro viveva una una giovane donna che, osservando il cielo, aveva il potere di interpretare l’arrivo e la forza del vento e della pioggia. Poiché, dovunque andasse portava con sé un ventaglio. le fu dato il nome di Tahiriri Vahine.

Il gallo col suo canto, la luna con le sue fasi, i grilli e altri animali erano tutti messaggeri di Tahiriri. Le bastava agitare il suo ventaglio per invocare i venti come l’Urufa, il Tuihana , il Rapatu  e la brezza serale con la sua dolce frescura. E tutti i venti le portavano notizie. Quando venivano dei nemici o quando spiravano venti di guerra, Tahiriri si metteva in testa alle sue truppe: la lancia nella destra e il ventaglio nella sinistra.

Tahiriri Vahine era una valente lottatrice e molti guerrieri la corteggiavano, ma nessuno poteva avvicinarsi a lei perché era protetta da una enorme anguilla che viveva nella valle Hamuta.

Quando un giovane, Pomaré, giunse per la prima volta a Pirae, rimase  sedotto dalla regina e, approfittando di un momento in cui l’anguilla-guardiano  che la custodiva si  era addormentata, l’afferrò per  i lunghi capelli, trascinandola via.

La leggenda racconta che si può vedere ancora oggi Tahiriri Vahine in alcune notti di luna piena, nella valle del Hamuta Mea Te Or, in un luogo chiamatoWalker, sul ponte dove la strada attraversa il fiume Hamuta oppure seduta sulla spiaggia con lo sguardo sognante rivolto verso l’orizzonte.

Una statua de Tahiri Vahine, realizzata da Tunui Salmon per iniziativa di Noël Taratua et di Olivier Babin, è stata posta nel 2005  sulla rotonda davanti  al municipio di Pirae.

 

Anno 2014 (1078). Pipiri Ma. Pipiri e Reha erano figli di Taua e Reua, pescatori. RUna notte, i genitori, dopo aver pescato alla luce di alcune torce formate da foglie secche  pressate dentro una noce di cocco, tornarono  a casa con un buon bottino di pesci. La moglie , dopo averne cotto una parte,  disse al marito; “Go, sveglia i bambini così mangiano con noi”.

"Non ne vale  la pena, lasciali  ancora dormire”.

Ma i bambini, che non erano  ancora addormentati, udirono la conversazione dei loro genitori e, disperati, pensarono che il padre non li volesse seduti a tavola, per cui decisero di lasciare immediatamente il letto e di  fuggire.  I due fratelli si diressero verso un’alta montagna. I genitori , accortisi della fuga, corsero dietro di loro. Ma già i  bimbi avevano raggiunto la sommità dove un gigantesco cervo volante li fece salire sulla sua schiena e li trasportò verso il cielo.  Invano i genitori gridarono “Pipiri, tornate da noi!”. 

“No , non torneremo da chi è ingrato e lascia che  i figli soffrano la fame. Andremo i cielo a chiedere asilo a Matari”. E così raggiunsero il cielo e, con il cervo volante, si trasformarono in tre lucenti stelle che si possono vedere di notte splendere nel cielo di Tahiti”.

In un’altra versione il finale è diverso: “I due bimbi si diressero verso il mare dove  un grosso pesce se li caricò sul dorse e li portò via con sè”.

POLONIA

1955  (812/4) Leggenda:  Laikonick

La festa popolare più famosa a Cracovia, in Polonia, Lajkonik (o il Festival Cavallo) ha perso il contatto con le sue radici medievali, ma  celebrandola i cittadini pensano di commemorare il cavaliere che portò la notizia della sconfitta dei Tartari durante le invasioni del 13 ° secolo.
 Il Lajkonik è uno dei simboli non ufficiali della città di Cracovia.
Viene rappresentato come un uomo barbuto che assomiglia ad un tartaro che indossa un caratteristico cappello a punta, vestito in abito mongolo, il quale cavalca un cavallo di legno intorno alla vita.

 L'origine del Lajkonik è incerta, ma esistono alcune storie comuni associati alla sua popolarità. Alcuni fanno risalire la sua origine ad un’epoca pre-cristiana, quando si credeva che in primavera il cavallo avrebbe portato fortuna e abbondanti racconti.

Altre storie sono associate al 13 ° secolo, quando la città fu attaccata durante l'invasione mongola della Polonia. Si afferma che la gente di Cracovia, dopo aver ucciso il comandante dei tartari,  respinse con successo l'invasione tartara. Per festeggiare l’avvenimento  i difensori vittoriosi vestirono gli abiti del Khan ucciso  e attraversarono trionfalmente la città.

Un'altra versione ricorda che i Tartari, arrivati nel 1287 ​​alle porte della città di notte, decisero di non attaccare la città fino al mattino e si accamparono  lungo la  Vistola.  Alcuni abitanti del luogo che trasportavano legno sul fiume, li videro e decisero di giocare uno scherzo ai loro concittadini. Penetrarono in città vestiti come Tartari a cavallo, spaventando la gente.  Ben presto lo scherzo, venne scoperto. Da quel giorno il sindaco della città decise di ricordarlo annualmente con una festa collettiva.

    

 

1981  (2552)

Mitologia. Ifigenia.  Ifigenia (chiamata anche Ifianassa) è un personaggio della mitologia greca. Era figlia di Agamennone e di Clitemnestra. Agamennone dovette immolare sua figlia alla dea Diana su consiglio dell'indovino Calcante, per placare le forti tempeste che la dea aveva provocato al mare che bagnava la città di Aulide, sulle coste della Beozia, per far si che Agamennone e tutti i Danai non partissero per Troia, dato che tempo prima l'Atride (Agamennone) aveva osato uccidere una cerva con un dardo e rivolgersi a Diana con arroganza.

 

 

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1986 (2862/7)  Personaggi fantastici delle leggende polacche: Il basilisco. Il duca Papiel. La gallina d’oro. Borda il demone. Janasik il brigante. Lajkonick l’eroe.

Miti e leggende polacche.

La tradizione culturale della Polonia è ricca di miti e di leggende che costituiscono parte integrante dell'identità nazionale.

Le leggende polacche sono state tramandate da generazione in generazione, inizialmente in forma orale e successivamente in forma scritta. Dai territori della Polonia e dai confini vicini sono arrivati ai giorni nostri miti e leggende che raccontano di eroi e prodi cavalieri, re e regine, draghi e aquile reali, e che ancora oggi sono legati a dei luoghi particolari del paese, luogo di visita e attrazione.

Nel folklore polacco troviamo il coraggioso re Boleslaw e i suoi cavalieri, un personaggio che ricorda il Re Artù inglese e che il popolo celebra come unificatore del Regno polacco. I cittadini di Cracovia narrano invece delle gesta di Krakus e del leggendario Drago di Cracovia, a cui fanno risalire le fondamenta della città.

In Polonia troviamo anche un personaggio simile a Robin Hood, che qui prende il nome di Janosik, un leggendario ladro di origine slovacca, tuttavia, che, come il suo simile inglese, rubava ai ricchi per dare ai poveri (la stessa leggendaria figura appare anche nella tradizione della Slovacchia e dell'Ungheria). Per i più romantici, la tradizione racconta anche della dama del castello, Lady Dorota e del suo amore per il violinista prussiano Boris. E c'è pure l'eroina di fede cristiana, Jadwiga (sposa del re Jagiello) e del suo grembiule di rose.

Una delle leggende più interessanti, ancora molto sentita in Polonia, è senza dubbio quella di Rusalka, uno spirito-ninfa femminile associato alla seduzione erotica, all'acqua, alla forza della natura e spesso definito inquieto e vendicativo. Si dice, infatti, che in primavera Rusalka (visibile nelle notti di luna piena) risieda negli alberi delle foreste, mentre in autunno si sposti a vivere nei laghi e nei torrenti della Polonia, in particolare nelle regioni della Pomerania Occidentale e di Lebus (Lubuskie).

Mostri, draghi e ninfe spiritose sono sempre ricordati con reale inquietudine in Polonia, un Paese dove la tradizione fokloristica è sempre stata piuttosto viva e sentita, come si nota anche dal mito dell'Aquila bianca, simbolo della nazione polacca.  

 

1993  (Foglietto 132)   Leggenda: L’aquila bianca.

Narra la leggenda che il primo re cristiano della Polonia, Mieszko I (962-992), volle stabilire la sua capitale nel luogo dove aveva visto una grande aquila bianca scendere sul nido. Quell’aquila sarebbe diventata nel 1228 l'emblema della Polonia.

Un’altra leggenda narra che nei primi secoli della nostra era, un numeroso gruppo di persone, chiamati slavi, avevano occupato vaste aree tra due fiumi, il Dnepr e l'Oder. Si raccontano le vicende  di tre fratelli che vagavano alla ricerca di un posto dove poter vivere. I fratelli si chiamavano Czech, Lech, e Rus. Ognuno di loro era stato un leader coraggioso per la sua tribù.

Una giorno si fermarono  sotto una quercia che ospitava il nido di un’aquila bianca. Lech decise di scegliere il luogo dove sorgeva la quercia come sede della sua tribù. Gli altri due fratelli proseguirono per il loro cammino.

La tribù rimasta iniziò fondò una città cui diede il nome di  Gniezno, e l'aquila bianca venne scelta dagli abitanti della città come emblema. Gniezno fu la prima capitale polacca, e l'aquila bianca tuttora è l'emblema nazionale.

 

 

 

1997  Leggende: Il fiore d’oro tra le felci. Varsavia.

Varsavia: leggenda della fondazione.  Il nome della città proviene dalla forma possessiva del nome Warsz (abbreviazione di Warcisław), ossia Warszowa o Warszewa. L'etimologia popolare vuole che Varsavia sia la fusione del nome del pescatore Wars e della sirena della Vistola Sawa.

Si racconta pure che due  sirene, figlie del Dio del mare Tritone, durante un viaggio negli Oceani si divisero. Una rimase a Copenhagen mentre l’altra risalì il fiume  Vistola e si riposò su una spiaggia vicino a Varsavia. Molti pescatori la videro e  rimasero affascinati dalla sua bellezza e dal suo canto melodioso. Un avido mercante la catturò. Intervennero i pescatori che la liberarono. La sirena, riconoscente, si armò di spada e di scudo  e decise di difendere sempre la città.

 

2003  (3812/5)  Fiabe: Krak. Lo stupido Matteo. La principessa trasformata in rana.  La culla riempita d’oro.

 

 

 

PORTOGALLO

1997  (2162) 

Leggenda:

I custodi del tesoro dei Mori.  Narra l’abate Bacal che quando i Mori, sconfitti dalle armi cristiane, furono costretti a ritornare nelle loro terre, prima di partire nascosero in luogo segreto tutti i loro tesori e vi posero a guardia due donne con poteri magici.  Avrebbero recuperato i tesori al loro ritorno. Ma trascorsero  anni e secoli e nel popolo prese vita una leggenda sulle ricchezze nascoste, forse a compensare le carenze e la povertà immergendole  in fantasie che potevano cancellare il presente creando illusioni.

 

 

 

 

ROMANIA

 

1965  (2132/7)

Il montanaro e il leone.  Ileana.  Il cavaliere e l’orso.   Il lupo moralista.   Il bue e il vitello.  L’orno e la volpe.

 

 

1969  (2503/6) 

Fiabe:

Capra. Sorcova. Bahajyl. Plugusorul.

 

 

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1994  (4146/51) Fiabe. Colin il matto.  Ileana Cosenzana. Agheran il saggio.  Ileana Cosenzana e il lupo magico.

Ileana Cosenzana è una figura della mitologia romena rappresentata come una bella e dolce principessa.  Nel folklore rumeno Ileana è il concetto originale della bellezza femminile, la più bella tra le fate: i suoi occhi sono come il sole, il suo corpo è come il mare e le sue vesti sono fatti di fiori. Quando canta dalla sua bocca escono perle e oro. Si è anche detto che usasse i suoi poteri magici per curare o rianimare.  Ileana Cosenzana significa l'immaginazione più poetica del genio romeno. Impersona la bellezza, la giovinezza, e l'anima angelica, in una parola la perfezione dell'umanità. E un personaggio mitico, con poteri soprannaturali e con caratteristiche simboliche. Ileana Cosenzana riesce a sconfiggere le forze del male solo perché lei è molto coraggiosa, intelligente, modesta e diligente. " In alcuni racconti Ileana Cosenzana è presente sotto le vesti di  fata dei fiori di primavera, una fata che mette il profumo in ogni fiore, ma ha la possibilità di riprenderselo. Gli elfi l’adorano, come pure i fiori e  anche il vento che non riesce mai a prenderla.  Nel mito, è una bellissima principessa che viene rapito dalla Zmeu, che la chiude nel suo castello e aspetta che lei gli proponga di sposarlo. Quasi sempre nelle fiabe vicino a lei c’è Fat Frumos, il Principe azzurro. Ed è Fat Frumos  che, dopo molte prove combatte con  Zmeu e libera Ileana Cosenzana divenendo il suo sposo.

 

 

 

Anno 2013 (dic).  Le poste rumene hanno emesso un francobollo con lo scopo di esplorare  significato delle rose nelle leggende.

A proposito di rose, ci sono innumerevoli leggende in tutte le culture del mondo.

In Grecia, una delle leggende legata agli dei dell’Olimpo racconta che Clori, la dea dei fiori, creò la rosa per una carissima ninfa, che era deceduta.

Poi, chiese a tutti gli altri dèi di  dare al nuovo fiore un po’ “dei loro doni”. Così, Zephyros, marito Clori, “il dio della primavera vento”, disperse le nuvole in modo che Apollo potesse gettare luce su di essa e farla fiorire. Dioniso offrì il suo profumo affascinante, le Tre Grazie il loro fascino, gioiosità e luminosità  e Ares, il dio della guerra, la dotò di spine in modo che la rosa potesse difendersi.

Un'altra leggenda greca rivela che la rosa è nata dalla risata di Cupido e le spine sono le frecce d'amore.

Un'altra leggenda dice che, proprio come Afrodite, la dea della bellezza, la rosa è venuta fuori dalla schiuma del mare, che circonda la dea come una ghirlanda.

Oggi, la rosa è considerata il simbolo di amore e passione, sofferenza o gelosia.

La bellezza e il profumo delle rose ispirato scrittori e pittori.

 

 

 

RUSSIA

 

1967 (1923), 1975  (4193), 1985  (2552)   

Il principe Igor.  È la più antica opera letteraria russa. Fu scoperta nel 1795 e pubblicato nel 1800. Il titolo completo è Il canto della schiera di Igor. Nel 1812 il manoscritto andò distrutto nell’incendio di Mosca.

Vi si canta un episodio della lotta russa contro la tribù di Polovcy del secolo XII. L’eroe è Igor le cui vicende, storicamente accertate, sono  leggermente alterate dal poeta. L’opera è divisa in quattro quadri. Il primo presenta Igor, la sua schiera e l’inizio dell’impresa a seguito di un presagio (una eclissi) che li convince ad attaccare le schiere nemiche. I guerrieri di Igor sconfiggono inizialmente i nemici, ma un contrattacco li respinge e Igor cade prigioniero. Nel secondo quadro il padre di Igor, invoca l’unità del popolo russo per vendicare l’onta subita.  Il terzo quadro è dominato dalla figura femminile di Jaroslavna, moglie di Igor,  che invoca tutti gli elementi affinché salvino il marito. L’ultimo quadro vede Igor fuggire dalla prigione e il suo ritorno a Kiev.

Borodin trasse dal poema l’opera lirica Il principe Igor in un prologo e 4 atti. La sua morte lasciò l’opera incompleta. Vi pose mano Glazunov che, amico di Borodin, avendola ascoltata mentre il compositore la suonava al piano, la trascrisse a memoria e la strumentò.  La prima rappresentazione dell’opera avvenne al teatro Marinskij di Pietroburgo il 4 novembre del 1890

 

 

 

2004  (6775/77)  Fiabe:  Il fiore di pietra. Il cofanetto di malachite. La treccia d’oro

Il fiore di Pietra. Nel villaggio viveva un orfano, Danìlo. Era piuttosto gracile e non adatto ai lavori pesanti, ma era pieno di sogni ed amava osservare la natura. Una gentile vecchia donna aveva accolto Danilo nella sua casa e lo aveva curato utilizzando erbe e fiori. Gli aveva anche insegnato tutti i segreti delle piante e un giorno gli aveva raccontato del Fiore di Pietra della Montagna di Malachite. Gli aveva detto che era il fiore più bello al mondo, ma l'aveva anche avvertito: "Chi trova quel fiore non sarà mai felice". Dopo che Danilo si fu ristabilito, lo inviò da Prokopjich a studiare l'intaglio delle gemme. Prokopjich era un artigiano famoso che lavorava la malachite ricavandone monili ed altri oggetti. Passarono gli anni e Danìlo diventò un giovane forte e bello.

Un giorno il sindaco del villaggio gli inviò l'ordinazione per un vaso di malachite, con uno schizzo di come lo avrebbe voluto. Danìlo cominciò il complicato lavoro, ma era insoddisfatto dello schizzo. Un giorno era nella foresta in cerca di una pietra di malachite adatta per quel lavoro, quando sentì un bisbiglio: "Artigiano Danìlo, cerca la pietra sulla Collina del Serpente." Lui si guardò intorno e vide un debole profilo di donna, che subito scomparve. Pensò: "Forse era la Signora della Montagna di Rame!", perciò si arrampicò sulla Collina del Serpente  dove incontrò la Signora della Montagna di Rame la quale gli fece vedere il Fiore di Pietra. La Signora della Montagna si innamorò di Danilo e per molto tempo lo tenne presso di sé. La contadina Katia che amava Danilo ed era da lui riamata, non vedendolo tornare andò alla sua ricerca. Quando la Signora della Montagna lo seppe, lasciò libero  il giovane dicendogli: "Va, Danìlo, ritorna pure a casa. E per la tua onestà e lealtà nei confronti della tua amata Katia, ti farò un regalo: non dimenticherai quello che hai imparato qui, ma in cambio mi devi promettere che non parlerai a nessuno della montagna magica. Se qualcuno te lo chiederа, dirai che ti sei allontanato per migliorare la tua esperienza". La generosità della Signora della Montagna di Rame lo lasciò libero di amare colei che il suo cuore aveva scelto.

 

 

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