DAHOMEY

 

1967 (54 P.A ) Edipo e la sfinge (Quadro di Ingrés) . Il mito racconta che Edipo, figlio di Laio re di Tebe e di Giocasta, fu abbandonato in un bosco. Trovato da un pastore, fu da questi trasportato in un’altra regione lontana da Tebe e venduto ad un ricco signore. Diventato adulto, senza mai conoscere il suo vero luogo di origine,  fu preso dalla frenesia di viaggiare per tutta la Grecia.  Venuto a conoscenza che la città di Tebe era caduta sotto il potere di una bestia mostruosa, la Sfinge, la quale non permetteva agli abitanti di uscire, con il conseguente scarseggiare delle provviste, né ai viaggiatori e ai mercanti di entrare dentro le mura,  decise di dirigersi verso quella città.. In molti avevano provato a liberare i tebani da quella situazione,  ma nessuno era mai riuscito nell'intento. Edipo decise di provarci. Sulla strada per Tebe incontrò un signore che viaggiava in portantina e per un diverbio sorto a seguito di una sciocca disputa sul diritto di precedenza lungo quella  strada, dovette combattersi e Edipo uccise il suo contendente.  Arrivato a Tebe, davanti all'entrata della città, si trovò di fronte alla Sfinge che  gli disse: “Potrai entrare solo dopo aver risposto al seguente indovinello. Se non ci riesci  morirai. Ora dimmi: Qual è l'animale che di mattina ha 4 zampe, di giorno ne ha 2 e la sera ne ha 3?" Edipo rispose "E’ l'uomo: da neonato cammina a 'gattoni', da adulto ha 2 gambe e da anziano si serve del bastone." La Sfinge, per la rabbia di essere stata sconfitta si uccise. Edipo, per volontà della regina Giocasta, rimasta vedova di recente, gli offrì la sua mano per la gratitudine di aver liberato la sua città. Edipo accettò e diventò così re di Tebe. Dalla loro unione nacquero diversi figli. 

Dopo molti anni accadde che i cittadini della città di Tebe venissero colpiti da una epidemia. L’indovino Tiresia  disse che la colpa di quel malanno era la presenza in Tebe di un uomo e di una donna che avevano commesso un grave peccato verso gli dei e finché costoro non fossero stati puniti l’epidemia sarebbe continuata. Il re e la regina ordinarono ai soldati di cercare i due colpevoli e, dopo lunghe ricerche, risultò che i colpevoli erano Edipo e Giocasta, il re e la regina. Edipo perché aveva ucciso l’uomo sconosciuto incontrato anni prima sulla via per Tebe, il quale era Laio, re di Tebe, marito di Giocasta, e al tempo stesso suo padre che lo aveva abbandonato da bambino. Giocasta era sua madre e al tempo stesso sua moglie con la quale aveva generato figli. Conosciuta la crudele verità Giocasta si impiccò e Edipo si trafisse gli occhi, rimanendo così cieco. I suoi figli Eteocle e Polinice lo cacciarono dalla città. Per pietà filiale lo segui solo la figlia Antigone.  Entrambi vagammo per la Grecia finché arrivarono  negli Attica nella città di Colono. Lì Edipo, riconciliatosi con le Erinni (le dee della vendetta) trovò la morte sospirata. (Il francobollo delle poste del Dahomey (da 100 Fs.) riproduce il quadro di Ingrés)

 

1974  (335/8)  Favole. L’elefante, la gallina e il cane. Lo sparviero e il cane. L’albero a vento. L’aquila la vipera e la gallina.

 

 

DANIMARCA

 

1984 (823) Ymir.  Nell’Edda, è il gigante primordiale con le cui membra Odino, Wili e We, i primi Asi, formarono il mondo: con il corpo la terra, con il sangue il mare, con le ossa le montagne, con i capelli le foreste, con il cranio il cielo.

  

 

1997 (115/6)  Le Tre Grazie. Le Grazie erano figure della mitologia romana, le quali erano tuttavia solamente una replica latina delle Cariti greche. Questi nomi fanno riferimento alle tre divinità della bellezza e, probabilmente sin dall'origine, alle forze legate al culto della natura e della vegetazione. Sono, infatti, queste fanciulle a infondere la gioia della Natura nel cuore degli dèi e dei mortali.

Queste divinità benefiche erano ritenute figlie di Zeus e di Eurinome e sorelle del dio Fluviale Asopo; secondo un'altra versione la madre sarebbe stata Era.

Anche queste leggende hanno finito col dare spazio ad altre interpretazioni: secondo alcuni autori, le Cariti erano nate dall'unione del dio Elio (il Sole) con l'Oceanina Egle. Ma è altrettanto accettata la versione che vede come madre delle Grazie proprio la dea della bellezza e fertilità, Afrodite la quale le avrebbe generate insieme a Dioniso, dio della vite.

Le versioni che riguardano il numero delle Grazie, secondo Esiodo,  sono tre:

 

 

2004 (1369/70) Heimdal. E  il guardiano degli dei e sorveglia il ponte Bifröst. Heimdal era fratello maggiore di Sif, sposa di Thorr, e uno dei principali fra gli Dei norreni. Egli era figlio di nove madri diverse, probabilmente le nove figlie di Ægir, identificabili con i cicli delle onde e cavalloni, ed era il custode del ponte Bifrost insieme al gallo Gullinkamb e il possessore del corno Gjallarhorn, che avrebbe trasmesso per l'intera Asgard e fino alle sale del Walhalla il segnale dell'arrivo del nemico per la battaglia finale di Ragnarok. Il suo battesimo è stato molto originale, in quanto il corpicino fu cosparso di gocce di acqua fredda proveniente dai mari del nord, di una manciata di terra, e di gocce di sangue di porco consacrato, allo scopo di infondergli forza e coraggio. Inoltre, per renderlo insensibile alle magie a distanza, fu sottoposto ad una serie di riti iniziatici.

 

Gefion. Gefion è un'antica dea germanica della Vegetazione e Della Fertilità, collegata in particolar modo all'aratura. Era considerata la protettrice delle vergini (anche se Loki la accusò di essersi venduta in cambio di una collana) e colei che recava buona fortuna e prosperità. E 'stata considerata la protettrice delle Vergini. Fu sposa Re Skjolden dalla cui unione nacque  Odino. Si ritiene che i re svedesi siano suoi discendenti. Si afferma per tradizione che Gefion creò l'isola di Zealand ("Sjaelland" in Danese) arando la terrra della regione centrale della Svezia con l'aiuto dei suoi figli (quattro giganteschi buoi svedesi), trascinando la terra lavorata fino alla costa e lasciandolo andare in mare.  A lei si deve l’origine dell’isola Zelanda  e della regione centrale della Svezia bonificata con l’aiuto dei suoi figli. Da lei furono creati i Grandi Laghi della Svezia. A Copenhagen, Danimarca, c'è una grande fontana che ritrae Gefion durante l'aratura. A Copenhagen c'e una grande Fontana che la ritrae intenta ad opere di aratura.

 

 

 

2006  (1434/5)   Collina con il re degli elfi in basso e tre elfi femmine in alto.    Due lupi mannari, un folletto, un cavallo fatato e un troll; in basso due cavalli.

Elfo.  E’  uno spirito simbolo delle forze dell'aria, del fuoco, della terra, dell'acqua e dei fenomeni atmosferici in generale. Sono  simili agli umani. Alti e magri ma forti e velocissimi, hanno il volto pulito, sereno, orecchie leggermente a punta. Sono descritti con una grande vista e un udito molto sensibile. Non hanno barba, hanno capelli per  biondi e occhi chiari che si dice penetrino la persona fino a conoscerne i pensieri, si dice che siano dotati di telepatia. Hanno voce splendida e chiara. Sono intelligenti ed armoniosi, con grande rispetto per i quattro elementi e per la natura. Le loro compagne sono esseri graziosi. Talvolta alcuni possono essere capricciosi e talvolta benevoli con l'uomo che li rispetta, possono donare oggetti magici a coloro che sono puri di cuore e spirito e che desiderano aiutare. Sanno forgiare spade e metalli, fino alla conoscenza della magia. In origine pare che gli elfi siano stati concepiti come anime di defunti, poi furono venerati anche come potenze che favorivano la fecondità. Di qui la distinzione, nella mitologia norrena, fra Døkkálfar, "elfi delle tenebre", e Liósálfar, "elfi della luce".

Abitano principalmente sugli alberi o in alcune foreste nascoste. Non danneggiano mai e in nessun modo la natura perché per loro è parte essenziale della loro vita ed esistenza. Nutrono una grande considerazione per la natura, concepita come una entità, un gran spirito eterico, madre di tutti gli esseri. Essi riescono a camminare senza lasciare tracce, sono immuni alle malattie e resistono alle temperature estreme. Gli elfi hanno vita lunga invecchiando senza che la loro bellezza venga intaccata dal tempo. Si dice che siano immortali ma non invulnerabili e che quindi possano essere uccisi.

Molteplici sono le leggende legate a questa figura fantastica, alcune delle quali parlano delle cattiverie che essi compiono nei confronti degli uomini e dei rapimenti dei bambini umani. Gli elfi hanno una forte gerarchia al capo della quale stanno le regine e i re delle colline delle fate, riconoscibili perché spesso ricoperti da un fresco manto di biancospini. Shakespeare nei suoi pezzi teatrali ha parlato molto spesso degli elfi, come nella commedia Sogno di una notte di mezza estate.

 

Lupi mannari. Secondo la leggenda, il licantropo è un essere umano condannato da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il bue (Erchitu) o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia dell'orrore sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si possa uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione fosse infranta.

 

Folletto. Il termine identifica una creatura leggendaria tipica della tradizione popolare raffigurata generalmente come un essere piccolo, burlone, agile e sfuggente, capace di volare e di rendersi invisibile.

La figura del folletto sembra aver avuto origine dai Lari, geni familiari della casa. Nel folclore europeo condivide caratteristiche simili con il lutin, il coboldo, il brownie, il puck, il goblin e il leprechaun.

Abita in tane nei boschi soprattutto nei tronchi delle piante di conifere o presso le case degli uomini, nei cortili e nei granai. Esce quasi sempre solo di notte per divertirsi a fare dispetti alle bestie delle stalle e a scompigliare i capelli delle belle donne, a disordinare gli utensili agricoli e gli oggetti delle case.

 

Cavalli fatati . Trattasi di animali immaginari che fanno parte di miti, fiabe e leggende. Alla categoria appartengono gli unicorni  e i cavalli con le ali.

 

Troll.  Nome di una figura presente in favole e miti  particolarmente diffusa nell'Europa settentrionale, e in particolare in Norvegia. I Troll sono personaggi immaginari le cui origini si perdono nelle tradizioni orali fiabesche e mitologiche scandinave. Pertanto hanno subito nel corso del tempo mutazioni dalla forma e dalle caratteristiche originarie. Si può dire che i Troll siano abitanti delle foreste e delle caverne e che vivano in luoghi bui e umidi. In certe storie hanno la peculiarità di dover vivere nell'ombra, in quanto se colti all'esterno dalla luce del sole, vengono tramutati per sempre in pietra. Sono esseri grotteschi, rozzi, in certe rappresentazioni sono visti anche come particolarmente irsuti, altre volte sono rappresentati come giganti, alti 3 metri e più, in altre storie essi possono esser visti soltanto dai bambini. Generalmente sono malvagi, mangiatori di persone, in alcune leggende rubano i bambini dal letto sostituendoli con dei piccoli Troll.

 

 

 

 

DDR

 

1972 (6v.-1487) Racconti per l'infanzia. Il gatto e la lepre. La volpe pazza. Il grande duc. I due ricci. Cane e topo. Il piccolo Paul

        

1973. (6v.-1586) Fiaba russa. Per ordine del luccio.    C’era una volta un boscaiolo che camminava in riva a un fiume, era triste perché era povero ed aveva molte bocche da sfamare. Dalle acque del fiume uscì un grande luccio che teneva tra i denti tre sassolini lucenti come perle.

- Sono sassolini fatati. - disse - Questo ha il potere di procurare tutti i cibi che si desiderano, quest’altro fornisce armi ed armature, quest’ultimo ha il potere di fornire oggetti preziosi e vesti.

- È fantastico! - esclamò il boscaiolo.

- Puoi sceglierne uno solo - disse il luccio. - Portali a casa e domani mi restituirai i due sassolini che non ti interessano.

Giunto a casa il boscaiolo raccontò quello che era accaduto e mostrò i tre sassolini.

- Voglio il primo - disse la moglie - così avremo di che sfamarci!

- Vogliamo il secondo - dissero i figli maschi - così saremo potenti e valorosi.

-Vogliamo il terzo - dissero le figlie femmine - così avremo bei vestiti e pietre preziose.

Passarono tutta la notte a litigare, allora l’indomani  mattina  il  boscaiolo  tornò  sulla  riva del fiume e disse al luccio: - Questi tre sassolini hanno creato discordia nella mia famiglia,  non  li  voglio.

A quel punto il luccio disse: - Sei molto saggio, per questo te li regalo tutti e tre.

Quando tornò a casa fece apparire subito roba da mangiare, elmi, armature, vestiti e pietre preziose. Le figlie sposarono due bei principi e i figli due belle principesse.

E finalmente vissero tutti felici e contenti

 

 

DOMINICA

 

2012 (1734)  La Ciguapa. La ciguapa è un personaggio mitico che vive nel cuore rurale della Repubblica Dominicana, soprattutto nelle regioni montuose.

Le ciguapas sono donne con gli occhi neri e capelli neri, morbidi e lucenti. I capelli sono così lunghi che le ricoprono come un indumento. Per alcuni sono minuscole, con il corpo sproporzionato, mentre per  altri hanno gambe lunghe e sottili. Alcuni addirittura dicono che la loro pelle sia blu.

Ma ciò che distingue veramente la ciguapa consiste nell’aver un  piede rivolto all'indietro, come gli indiani Guaranti, Curupí e Churel.

Vivono nei boschi e grotte delle montagne; emettono  gemiti  morbidi come un singhiozzo, che è il loro unico mezzo di comunicazione vocale. Sono innocue, molto timide e hanno paura degli esseri umani. Attraggono gli escursionisti di sesso maschile, che scompaiono  dopo essere stati sedotti. Esse possono essere catturate in una notte di luna con l'aiuto di un cane maculato (bianco e nero) una specie rara con cinque o sei dita, mentre i cani ne hanno solo quattro. Per queste condizioni, possiamo dire che è praticamente impossibile catturare le ciguapas.

Sebbene l'origine di questo personaggio sia sconosciuta, alcuni indizi indicano che non è molto vecchio. Il primo riferimento è di Guridi Francisco Javier Angulo, che nel 1866 scrisse sulla tradizione o leggenda "The Ciguapa", un’opera che ha definito "romanzo".

Le  ciguapas non appaiono nei miti e nelle leggende narrate da Taino Fray Ramon Pane e altri cronisti delle Indie, né sono raffigurati in petroglifi o ceramica Arawak.

È stata ipotizzata una origine africana. Il problema è nel tardo sviluppo della leggenda e la sua assenza in altre popolazioni afro-americane, tra cui Haiti.

Ma qualunque sia l'origine di questo personaggio mitico, le "ciguapitas" continuano a condurre una vita tranquilla tra le montagne e boschi della Dominica.

2012 (1735) Caracaracol.   In Dominica esiste la “Cueva (caverna) de Juan Chávez”. Il nome  è legato ad un famoso e controverso personaggio che nel secolo XIX diventò un bandito. Temuto in diverse regioni, a lui si attribuiscono una infinità di assalti e assassini commessi contro la popolazione. Attorno a questo bandito sono note molte leggende che fanno riferimento ai suoi tesori e ai nascondigli in cui sono nascosti.

 

 

ECUADOR

 

012   Il gallo della cattedrale.  Ayer.

La leggenda del Gallo della cattedrale è ambientata a Quito, nei giorni in cui era una città piena di avventure immaginarie, di angoli segreti, di corridoi bui e di uomini intraprendenti dall’aspetto rude, forte, dediti al gioco d'azzardo, amanti dei  combattimenti di galli, del buon cibo e soprattutto del buon bere. Tra questi c’era  Don Ramon Ayala, un uomo ricco, che viveva come un principe. Gli avevano affibbiato la nomea di “galletto più astuto del mondo” e lui ne era felice.

Al mattino si alzava molto presto. Faceva colazione. Poi  sonnecchiava per qualche ora.  Poi dopo aver pranzato e dopo aver fatto una breve siesta, passeggiava e, ogni volta , passando davanti alla cattedrale,  guardava il gallo di ferro che stava in cima al campanile. Lo invidiava perché stando così in alto, sembrava il dominatore della città. Per ripicca e si prendeva beffe del galletto di ferro e lo insultava ridendo e facendo ridere i presenti con battute mordaci e pungenti. Insomma si godeva la vita. Una sera passò per Piazza Grande  e guardando il galletto ripeté i suoi sberleffi nei confronti del pennuto, divertendo i passanti.  Poi si recò nella bottega della signora Mariana  dove si poteva trovare la migliore mistelas di tutta la città. Ci sapeva fare Donna Mariana nel miscelare uva e alcool per ottenere una bevanda dal sapore dolce e vellutato.  E quella sera Don Ramon alzò, come si suol dire, il gomito. Uscendo un po’ traballante si sentiva effettivamente il miglior galletto del mondo e, prima di rientrare in casa, pensò di ripassare davanti al duomo per dare una ennesima dimostrazione al suo rivale e per  sfidarlo.  Era una notte buia e alzando lo sguardo verso il campanile si accorse che il galletto non c’era, ma, improvvisamente avvertì una fitta alle gambe come se qualcosa lo avesse artigliato a sangue.  Si accorse che un gallo  lo teneva e gli impediva di camminare.  Pensò che stava per morire poi udì una voce dire: “Giura di non bere mai più mistelas! Giura che non mi insulterai mai più!  E povero te se non manterrai il giuramento!”.  Don Ramon Promise.  E il galletto ritornò in cima al campanile.

 

Uluru (chiamato in inglese Ayers Rock) è il più imponente massiccio roccioso dell'entroterra australiano. Circondato dalla superficie completamente piana del bush, Uluru è visibile da decine di chilometri di distanza ed è celebre per la sua intensa colorazione rossa, che muta in maniera spettacolare (dall'ocra, all'oro, al bronzo, al viola) in funzione dell'ora del giorno e della stagione; caratteristiche che ne fanno una delle icone dell'Australia. La superficie, che da lontano appare quasi completamente liscia, rivela, avvicinandosi, molte sorgenti, pozze, caverne, peculiari fenomeni erosivi e antichi dipinti.

L'Uluru si trova in Australia nel Territorio del Nord, nel Parco nazionale Uluru-Kata Tjuta, 450 km a sudovest della città di Alice Springs. Si tratta di un luogo sacro per gli aborigeni, formalmente riconsegnato dal governo australiano agli indigeni del luogo nel 1985.

Secondo il mito, Tatji, la Lucertola Rossa, che abitava nelle pianure, giunse a Uluru. Lanciò il suo kali (boomerang), che si piantò nella roccia. Tatji scavò la terra alla ricerca del suo kali, lasciando numerosi buchi rotondi sulla superficie della roccia. Questa parte della storia è volta a spiegare alcuni insoliti fenomeni di corrosione sulla superficie di Uluru. Non essendo riuscito a trovare il suo kali, Tatji morì in una caverna; i grossi macigni che vi si trovano oggi sono i resti del suo corpo.

Un altro mito riguarda due fratelli bellbird (un uccello australiano della famiglia dei passeri) che cacciavano un emù. L'emù fuggì verso Uluru e due uomini lucertola dalla lingua blu, Mita e Lungkata, lo uccisero e lo macellarono. (Alcuni grossi macigni nei pressi di Uluru sono interpretati come pezzi della carne dell'emù). Quando i fratelli bellbird giunsero sul posto, gli uomini lucertola diedero loro un misero pezzetto di carne, sostenendo che non c'era altro. Per vendetta, i fratelli bellbird diedero fuoco al riparo degli uomini lucertola. Questi cercarono di fuggire scalando le pareti della roccia, ma caddero e arsero vivi. Questa storia spiega i licheni grigi sulla superficie della roccia nella zona dove si sarebbe tenuto il pasto (che sono considerati traccia del fumo dell'incendio) e due macigni semi-sepolti (i resti dei due uomini lucertola).

Queste e altre storie del dreamtime sono rappresentate da numerosi dipinti rupestri lungo la superficie dell'Uluru. Secondo la tradizione aborigena, questi dipinti vengono frequentemente rinnovati; fra gli innumerevoli strati di pittura, i più antichi risalgono a migliaia di anni fa. Diversi luoghi lungo il perimetro dell'Uluru hanno valenza religiosa particolarmente forte e i turisti che li visitano sono soggetti a diversi livelli di proibizione (per esempio di non avvicinarsi a determinati luoghi o non scattare fotografie

 

EGITTO

Mille e una notte (Alf laila wa-laila) È la più grande raccolta di novelle  e fiabe scritte in arabo e fatta conoscere in occidente nel XVIII secolo ad opera di A. Galland che la tradusse in francese. Fu redatta probabilmente al Cairo intorno al 1400, ma esistono redazioni precedenti risalenti al pahlavico dal titolo Mille notti del IX secolo. L’opera, come altre di origine orientale, si inserisce entro un quadro-cornice che comprende racconti, novelle, fiabe ora a se stanti ora intrecciate  l’una nell’altra, talvolta senza alcun nesso con quella in cui sono comprese. L’intento delle Mille e una notte è puramente narrativo, di  divertimento e senza alcun carattere sentenzioso e moraleggiante come quello che caratterizza il Panciatantra (v.) La cornice è formata dalla vicenda del re Shahrivàr il quale scopre l’infedeltà della moglie. Anche suo fratello era passato attraverso una esperienza analoga per cui, ammaestrato da lui sull’astuzia e la perfidia femminile, fa strangolare la moglie e decide di passare ogni notte  con una fanciulla diversa, scelta tra le giovani figlie dei suoi sudditi, e di farla uccidere il mattino seguente. Ad interrompere il triste sistema è la principessa Shaharazad che si offre spontaneamente al re, chiedendo solo che  sua sorella Dinarzad possa passare la notte nella camera nuziale. Aiutata dalla sorella, la giovane donna inizia a raccontare al re un racconto fiabesco e a incatenare il suo interesse alla trama. Solo che la principessa ha l’astuzia di non concludere il racconto entro la notte, per cui il  re, curioso di conoscere la conclusione, procrastina da un giorno all’altro la morte di Shaharazad. Costei ogni notte conclude la storia ma ne inizia subito un’altra che, ovviamente. non conclude e così via. I racconti si susseguono per mille e una notte.    Durante questo periodo tra il re e la narratrice sboccia l’amore, nascono due figli e alla fine il re rinuncia alla sua vendetta sulle donne. La trovata di Shaharazad permette di inserire nella letteratura araba uno dei maggiori patrimoni narrativi orientali, comprendente racconti arabi, persiani, indiani. A questi nel Medioevo si aggiunse uno strato che ritrae la società degli Abassidi di Bagdad al tempo di Harun el Rascid (sec. VII-IX) e un terzo strato comprendente storie egiziane legate alla vita delle classi popolari dei Mammalucchi (sec. XIV e XV)  I racconti si presentano sotto diversi aspetti in cui prevale sempre il fantastico, il magico, il soprannaturale. Gli intrecci sono talvolta complicati, svolti senza intenti artistici, con qualche indulgenza al piccante e all’erotico, come nel caso della storia di Alì Zaybaq e di Dalila.  Ci si imbatte in geni, giganti, spiriti, folletti, come nel racconto ‘Il pescatore e il genio’. Nella presenza di oggetti magici, la lampada di Aladino, tappeti volanti. In straordinarie avventure di viaggi in luoghi immaginari, i sette viaggi di Sindibad il marinaio. Le avventure hanno sapore picaresco e si svolgono tra mercanti,  marioli, imbroglioni in cui sono trasmesse tracce della tradizione copta e del folklore dell’antico Egitto. Le Mille e una notte assumono grande importanza per gli studi comparativi del folklore e per la conoscenza degli usi e dei costumi arabi medievali.  Oltre alla già citata traduzione di Galland, peraltro alquanto libera, sono da ricordare le traduzioni inglesi complete di E.W.Lane (1838-40) e di F. Burton; quella tedesca di E.Littmann (1921-28) e quella italiana di F.Gabrieli (1949).   

  

FIABE

Aladino e la lampada Alla morte del padre Aladino piomba nella miseria. Un giorno arriva un estraneo che dice di  essere il fratello del defunto padre e viene così accettato in famiglia. Costui è un imbroglione e negromante in cerca di un tesoro che potrà essere trovato solo da un orfano. Il giovane portato nel luogo sotterraneo dove il tesoro è custodito, vi penetra calato dall’alto di una botola. Il presunto zio gli chiede di recuperare anche una lampada e mentre lo tira su gli chiede di porgergliela, ma Aladino temendo di essere imbrogliato,  rifiuta per cui  la botola viene chiusa e lui rimane prigioniero. Strofinando per caso la lampada, fuoriesce un  genio che esaudisce il suo desiderio di tornare a casa, dove il giovane vive agiatamente con le perle prese in mezzo al tesoro. Ma, finite le perle, la madre pensa di vendere la lampada e mentre la strofina per pulirla esce di nuovo il genio. Aladino che nel frattempo aveva conosciuto e si era innamorato della figlia del  sultano, offre a questi un immenso tesoro e la ottiene in sposa. Ritorna però il falso zio che con un inganno si impossessa della lampada e ottiene dal genio di trasferire il palazzo dove vive Aladino e la moglie in mezzo al deserto. La fiaba si conclude con la rivincita del giovane che riesce a recuperare la lampada e ad uccidere il falso zio.

Alibaba e i quaranta ladroni  È la storia di due fratelli, uno mercante ricco e l’altro un povero  boscaiolo. Ali Baba il boscaiolo scopre per caso il luogo dove una banda di ladroni ha nascosto un tesoro. Scopre pure il modo (una frase magica) per aprire il pesante macigno che chiude la caverna dove è custodito il bottino. Penetratovi, porta via tre sacchi pieni di monete d’oro. Con uno stratagemma il fratello riesce a  conoscere l’ubicazione della caverna, vi penetra ma non riesce più ad uscirne per aver dimenticato la frase magica. Viene scoperto e fatto a pezzi. Ali Baba, scoperto il cadavere mutilato del fratello, dà al corpo una degna sepoltura, ma senza volerlo mette i briganti sulle sue tracce.  Uno di loro, un falso mercante, segna col gesso la porta di casa di Ali Baba per indicare ai compagni dove devono colpire. Ma la schiava Morgiana, accortasi del segnale, riporta lo stesso segno sulla porta di tutte le case. I briganti ritentano inviando il mercante dal giovane per chiedere ospitalità per una notte per lui e per le sue numerose otri piene d’olio. Ma ancora la schiava scopre per caso che nelle otri non v’è olio ma vi sono nascosti i briganti. Usando olio bollente, li uccide tutti. Per il suo gesto viene liberata dalla schiavitù e sposa Aladino

Haroun al Rashid  Nella realtà fu il quinto califfo della dinastia abasside di Bagdad. Divenne popolare per le sue guerre contro i Bizantini e per i suoi numerosi pellegrinaggi. Ebbe relazioni diplomatiche con Carlo Magno al quale avrebbe inviato doni.  Morì mentre andava a domare una rivolta in Transoxiana.  Entrò come personaggio noto per la sua grande magnificenza in numerose novelle delle Mille e una notte. In realtà fu un sovrano egoista e crudele. Tra le varie storie presenti nell’opere spiccano quelle di  Harun   al Rashid con Mohammed ibn Alì e il gioielliere;  con Alì il persiano cui segue il racconto del sacco e del curdo; con Giàfar, una schiava e l’Imam Abu Yussuf;  con Zobeida; con una ragazza araba; con un giovane dell’Oman

Hasan l’astuto  Hasan con i fratelli  Aladino e Madijin era il più giovane dei figli del Califfo di Bagdad. Il califfo era gravemente ammalato e per guarire occorreva l’elisir della vita, lontano mille miglia su un’isola inaccessibile. Il più anziano dei fratelli partì. Durante il viaggio si imbatté in un enorme e feroce cane che gli chiese del cibo, ma il giovane tentò di ucciderlo. Dopo aver ripreso la strada finì in una città dove dimenticò la sua missione. Passarono mesi. Il secondo figlio dello sceriffo si mise sulle sue tracce con l’intento di ritrovarlo e di trovare anche l’elisir magico. Anche lui incontro l’enorme cane che gli chiese del cibo. Rifiutò e tentò di ucciderlo e gli capitò quanto era accaduto a suo fratello. Allora Hasan partì. Incontro il cane, gli diede del cibo e il cane lo trasportò sul suo dorso all’isola  dell’elisir. Gli insegnò pure come impadronirsi della boccetta con l’elisir, custodita da un essere mostruoso. Dopo varie peripezie, sempre aiutato dal cane, riuscì a ritornare con l’elisir e a ritrovare sulla via del ritorno i due fratelli. Il califfo guarito, lasciò ad Hasan il regno e gli procurò in moglie una bellissima principessa.

Il pescatore e il genio  Un pescatore trova e libera un genio rimasto per centinaia di anni chiuso in una bottiglia e il genio per ricompensa, lo trasporta in un luogo lontano, vicino a un lago in cui nuotano dei pesci multicolore. Il genio gli dice di  pescarne quattro al giorno e di portarli al sultano che glieli pagherà a peso d’oro. Così avviene. Mentre una schiava mette  i pesci sulla graticola, appare una giovane bellissima che dice ai pesci di non svelare il segreto e scompare. Quando la serva si volta i pesci sono carbonizzati. Così avviene per diverse volte finché il sultano non si mette a sorvegliare in cucina.  Vedendo i pesci abbrustoliti, si fa condurre al lago dal pescatore. Deciso a scoprire il mistero dei pesci multicolore, il sultano decide di fare il giro del lago da solo. Scopre così una città vuota e un palazzo deserto, tranne la presenza di un principe seduto di fronte ad una statua nera. Il principe racconta di aver subito un incantesimo e di essere  rimasto col corpo metà uomo e metà pietra, mentre tutto il suo popolo era stato trasformato in pesci che nuotavano nel lago antistante il palazzo. Con un inganno il sultano riesce a scoprire la strega malefica che aveva gettato il maleficio sul principe e sulla sua città. La uccide e con la sua morte l’incantesimo cessa e tutta la città ritorna all’antico splendore.

Sinbad o Sindibad il marinaio  Un giovane cresciuto a Bagdad, dilapidato il patrimonio paterno, col poco rimasto  divenne mercante e, girando il mondo, diventò ricco. Durante ogni viaggio - ne compì sette -  visse molteplici avventure in isole misteriose, in isole apparenti come quella formata dal dorso emergente di una balena immane su cui il vento aveva portato terra, sabbia e semi i quali erano germogliati dandole l’aspetto di un’isola.  Durante un viaggio venne rapito dall’uccello ruk, un enorme rapace, capace di portare elefanti quale cibo per i suoi piccoli. In altri viaggi affrontò animali strani come il  karkadam, una specie di gigantesco rinoceronte; scimmie giganti, cavalli marini, i serpenti che vivono in una valle disseminata di diamanti. Tutte avventure in cui il marinaio riuscì a sopravvivere grazie alla sua astuzia e a ritornare alla sua Bagdad, sano e salvo e per di più  onusto di gloria e di bottino, che immediatamente scialacquava per poi riprendere il mare.

Il tappeto volanteÈ un elemento magico che ricorre sovente nelle fiabe di Shaharazad. Lo troviamo. ad esempio, nella fiaba che ha fornito la trama al film Il ladro di Bagdad.. Vi si narrano le vicende fantastiche del giovane sultano Ahmed e del ladro di Bagdad Abu i quali, grazie all’aiuto di un genio trovato in una bottiglia, sconfiggono il perfido visir Jaffar che vuole uccidere il principe e poi sposare la bella figlia di un sultano. La favola contiene tutti gli ingredienti tipici dell’immaginario fantastico orientale: bottiglie che tengono geni prigionieri, cavalli con le ali, tappeti volanti, avventure, lotte, inganni.          

(vedi anche: ),  FUJERA 1967 (Catal. Michel 186/91+BF 192/7),  GRENADINES 1997 (2156),  GUYANA 1993 (3141/67+BF 148/51),  IRAQ 1968 ((25 P.A.),   JERSEY 1995 (720),  MALI 1971 (119/21),  MONACO 2004 (2465),  NEVIS 1996 (954),  SAINT VINCENT & GRANADINES 1993 (886/94+BF 114 e 116),  SIRIA 1980 (559/603), 

 

 

1976 (1003) 

Papiro con personaggi di fiabe

 

 

ESTONIA

1997 

Fiaba  Fili d’oro

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