BELGIO

 1932 (335) 

Cerere. Nella religione romana era una divinità materna della terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti, ma anche dea della nascita, poiché tutti i fiori, la frutta e gli esseri viventi erano ritenuti suoi doni, tant’è che si pensava avesse insegnato agli uomini la coltivazione dei campi. Per questo veniva solitamente rappresentata come una matrona severa e maestosa, nonché bella e affabile, con una corona di spighe sul capo, una fiaccola in una mano e un canestro ricolmo di grano e di frutta nell'altra.

Cerere è legata anche al mondo dei morti attraverso il Caereris mundus, una fossa che veniva aperta soltanto in tre giorni particolari, il 24 agosto, il 5 ottobre e l'8 novembre. Questi giorni sono dies religiosi, vale a dire che ogni attività pubblica veniva sospesa perché l'apertura della fossa metteva idealmente in comunicazione il mondo dei vivi con quello sotterraneo dei morti.

 

1941 (583)

San Martino.

Martino di Tours è stato uno tra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa. Era nativo di Sabaria Sicca (l'odierna Szombathely), in Pannonia (oggi Ungheria).
Ancora bambino, Martino si trasferì coi genitori a Pavia, dove suo padre era stato destinato, ed in quella città trascorse l'infanzia. A quindici anni, in quanto figlio di un militare, dovette entrare nell'esercito. Come figlio di veterano fu subito promosso al grado di circitor e venne inviato in Gallia, presso la città di Amiens. Il compito del "circitor" era la ronda di notte e l'ispezione dei posti di guardia, nonché la sorveglianza notturna delle guarnigioni. Durante una di queste ronde avvenne l'episodio che gli cambiò la vita. Martino incontrò un mendicante seminudo. Vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello militare. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il termine latino per "mantello corto", cappella, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all'oratorio reale (che non era una chiesa) chiamato cappella.

 

1944 (653/660) Leggende:

I figli di Aymon.
Numerose leggende sui quattro fratelli Aymon, raccontano le loro avventure eroiche, gli incantesimi del loro cugino, il mago Maugis D’Aigremont, e le straordinarie imprese del loro cavallo Baiardo. Una delle più note è la leggenda in cui i quattro fratelli, Rinaldo, Guicciardo, Alardo e Riccardo, recatisi a Parigi alla corte di Carlo Magno, furono da questi invitati a vendergli il cavallo. I quattro fratelli rifiutarono e dovettero fuggire a cavallo di Baiardo che, non conoscendo la strada per uscire da Parigi, si perse nelle strette vie e si trovò all’improvviso di fronte ad un muro. Riccardo invocò l’aiuto del mago Maugis che li portò in salvo


Brabo taglia la mano.

Silvius Brabo è il leggendario soldato romano che uccise il gigante Druon Antigon ad Anversa, il quale chiedeva grossi compensi per concedere il diritto di passaggio sul tratto del fiume Schelda da lui occupato. A chi si rifiutava, tagliava via la mano. Il legionario Brabo uccise il gigante, tranciandogli la mano e la gettandola nel fiume. Questo spiega il nome della città di Anversa "Antwerpen" che, in olandese significa "lancio della mano". Si tratta di una leggenda, che, probabilmente, nasconde una realtà storica: gli archeologi hanno scoperto nei pressi del castello di Steen tracce di un insediamento risalente al I secolo e resti di un accampamento romano. Sembra quindi che Anversa fosse abitata molto prima di quanto si sia pensato fino ad oggi. Una statua di Silvius Brabo si trova sulla piazza grande di Anversa.


Sant’Uberto.

Vescovo di Tongres, Maastricht e Liegi. Divenuto vescovo nel 703-705 evangelizzò il Belgio orientale durante i vent’anni in cui resse il pastorale. Per essere più vicino al popolo faceva il pescatore lungo la Mosa e i suoi affluenti. Durante una pesca un suo servitore gli fratturò involontariamente le dita con una martellata. Il Santo non se ne preoccupò anche perché era scoppiata una tempesta e la barca si era rovesciata. Si salvarono tutti, ma col passare dei giorni le dita andarono in suppurazione e per mesi Uberto soffrì finché non venne un angelo a predirgli la fine della sua vita. Morì l’anno successivo, dopo aver consacrato nel Bramante una nuova chiesa e pronunciato un discorso commovente sulla morte e sulla penitenza. Santo popolare, patrono dei cacciatori, è noto per la leggenda che si costruì attorno a lui. Da giovane Uberto era un valente cacciatore. Un giorno nella selva si vide davanti un maestoso cervo che aveva una croce lucente fra le corna. Si convertì e si diede alla vita monastica. Secondo alcuni apologeti la leggenda dovrebbe attribuirsi a S. Eustachio, martire del secondo secolo. Sant’Uberto visse nel Belgio dell’VIII secolo e non nella leggenda.

Eulenspiegel e Nelle.
Leggenda popolare tedesca, scritta in basso tedesco, attribuita, senza documenti storici, a Thomas Murner e pubblicata a Strasburgo nel 1515 e nel 1519 con il titolo Von Ulenspiegel. Le due edizioni recano nel frontespizio una civetta che si rimira in uno specchio e illustrano il nome del protagonista che significa “Specchio della civetta o Specchio degli allocchi”. Nella città di Mölin nello Schleswig-Hostein sembra sia effettivamente esistito un uomo dal nome Till Eulenspiegel, morto nel 1350, come recita un epitaffio. Si racconta che fosse estroso, sempre pronto a combinar burle ai danni degli abitanti della città, rei di schernire i contadini. Eulenspiegel è nella leggenda un contadinotto di cervello fino, che, scacciato dal padre per la sua fannullaggine, si rifugia in città. Serve diversi padroni e la sua malizia consiste nel fare alla lettera quello che gli viene ordinato, causando equivoci e guai, attraverso i quali dimostra la presunzione dei cittadini che si reputano più intelligenti dei contadini. Sin dalla nascita rivela le sue doti di gabbamondo. Appena nato la levatrice ubriaca lo lascia cadere in una pozzanghera. Da bambino gioca ogni sorta di tiri, prende in giro chi lo comanda e ripaga le azioni altrui con uguale moneta. Tra le sue burle si ricordano il suo incontro con un barbiere che gli dice di entrare in bottega passando dalla prima vetrata e lui esegue alla lettera frantumando il vetro; l’incontro con l’oste che gli chiede di pagare un arrosto da lui soltanto annusato, gli fa udire il tintinnio di una moneta sul tavolo e, dopo averla ripresa, corre via. Nelle edizioni posteriori i vari racconti assumono una tinta anticlericale e sono presi di mira gli ecclesiastici. Il libro ebbe vasta diffusione in Germania e poi in tutta Europa. Fu anche tradotto in latino.
Nel 1572 Johann Fischart riprese alcune avventure con l’intento di fornire precetti morali, riuscendo solo a scolorire sia il protagonista sia l’opera.
Più fortunata fu, in tempi moderni, la rielaborazione dell’opera fatta da Charles De Coster. Scrittore belga di lingua francese, nacque a Monaco di Baviera nel 1827 e morì a Ixelles, Bruxelles, nel 1979. Fu impiegato agli Archivi reali e nel 1870 divenne insegnante di letteratura in una scuola di guerra. Appassionato cultore del passato scrisse Leggende fiamminghe (1858) e La leggenda e le avventure di Ulenspiegel e di Lamme Goedzak nel paese delle Fiandre e altrove (1876). Impiegò dieci anni per comporre quest’ultima opera. Riprese il personaggio cui diede tratti picareschi e aria spavalda, lo immerse nel clima dell’Inquisizione spagnola nei Paesi Bassi e ne fece il simbolo di chi combatteva contro la tirannide. Racconta del padre, braccato come eretico dall’Inquisizione, e delle imprese del figlio che si mette a capo delle bande dei ‘Gueux’ per combattere gli spagnoli e per giocar loro ogni sorta di tiri mancini. Accanto a Till l’autore ha messo Lamme Goedzack e la bella Nelle che con la sua presenza dà un tocco romantico alla vicenda. L’evocazione storica, il soffio lirico, momenti tragici e comici hanno fatto dell’opera una vera epopea nazionale. Purtroppo, per l’uso di un linguaggio arcaicizzante, l’opera non ottenne allora largo successo. Solo più tardi venne rivalutata.
De Coster scrisse altre opere in francese moderno: Racconti del Brabante (1861), Viaggio di nozze (1872), La Zelanda (1874)
Anche la musica si è impadronita del personaggio. Famoso è il poema sinfonico op. 28 di Richard Straus dal titolo Tiri burloni di Till Eulenspiegel.
Altre emissioni: Belgio 1979 (1918); Germania 1977 (769)

Tchantcher combatte.

Tchantcher nacque a Liegi nel 760 e in modo meraviglioso perché, mentre nasceva, cantava. La madre gli diede subito da mangiare una aringa salata e da bere del peket con un biscotto dentro. Durante il battesimo l’ostetrica gli fece inavvertitamente battere il naso sulla fonte battesimale e questo crebbe a dismisura tanto da renderlo ridicolo. Colpito dal morbillo, bevve acqua ferruginosa con un ferro dentro che gli rimase di traverso nella gola, tanto da non poter più muovere il capo. Un giorno decise di girare il mondo e la sua partenza fu accompagnata dal popolo divertito dal fatto che il giovane si era mascherato, ricoprendosi di fuliggine. Durante le sue peregrinazioni incontrò il vescovo Turpino che lo presentò a Carlo Magno. L’imperatore lo accolse a corte e lo propose come paggio a suo nipote Rolando, al cui fianco prese parte alla spedizione in Spagna.
In battaglia affrontava il nemico senza armi; aveva solo un foulard al collo e un berretto in testa. A lui bastava semplicemente afferrare strettamente il nemico e colpirlo a colpi di testa nello sterno, rompendogli le costole. Nessuna armatura per quanto robusta fosse, riusciva a resistere alle sue testate. Durante la battaglia di Roncisvalle il suo amico Rolando lo aveva inviato in tenda a dormire, per cui non poté essere presente e salvarlo quando Rolando affrontò i Mori. Il suo dolore fu grande. Accompagnò Carlo Magno a Saragozza dove si svolse il processo, la condanna e l’esecuzione del traditore Gano di Maganza. Fu lui a decidere il metodo di esecuzione: propose di annegare Gano in un barile di acqua distillata per purificare la sua anima. Nonostante Carlo Magno volesse tenerlo a corte, preferì ritornare nella sua città natia, dove morì di febbre spagnola all’età di 40 anni. Nella piazza di Iyers gli fu eretto un monumento.

Santa Geltrude

(Landen, Brabante, 626 circa – Nivelle, Brabante, 659). Figlia di Pipino di Landen, maggiordomo del re di Austrasia, entrò giovanissima nel convento di Nivelle, fondato dalla madre, santa Itta o Iduberga, alla quale succedette come badessa nel 647. Il suo nome è presente in diverse leggende.

Genoveffa di Brabante.

Eroina di una leggenda popolare medievale. Sposa di Sigfrido, conte palatino di Treviri, fu accusata di adulterio dal siniscalco Golo che, invano, aveva tentato di sedurla. Condannata a morte, si salvò grazie alla compassione dei servitori incaricati di ucciderla. Condusse una vita miserrima nella foresta, cibandosi di radici. Quando il marito la ritrovò, ne riconobbe l’innocenza. Genoveffa morì per le sofferenze patite.

 

1957 (1039/45) Leggende e folklore:

 

Chinel des Fosses.  Un tempo vivevano a Fosses due gobbi, uno tenero e generoso; l’altro arido di cuore. Due buone streghe decisero di premiare il primo e un bel mattino questi si risvegliò privo di gobba. Si gridò al miracolo. Dispetto e gelosia assalirono l’altro che, roso dall’invidia, chiese alle due streghe lo stesso trattamento. Venne esaudito, ma il poveretto, da dromedario qual era, si risvegliò cammello con una gobba davanti e una di dietro. Da allora venne chiamato Doudou.

S.Remaclus e il lupo.   Vescovo e abate, nacque a Bourges Stavelot. Originario dell’Aquitania . entrò nel monastero di Luxeuil (Vosgi). Nel 632 Sant’Eligio lo pose a capo del monastero di Solignac. Evangelizzatore delle Ardenne,  fondò i monasteri di Malmédy e di Stavelot e nel 650 fu consacrato vescovo di Maastricht. Nel 660 si ritirò nel monastero di Stavelot dove rimase sino alla morte avvenuta dopo il 671.  Il suo nome è legato a leggende. È' festeggiato il 3 settembre.

 

Gilles de Binche. Festa di suoni e colori nella più pura tradizione vallona, dal 2003 il Festival di Binche è patrimonio mondiale dall’Unesco.

Binche, piccolo borgo vallone, a una sessantina di chilometri da Bruxelles, accoglie ormai da secoli il più famoso Carnevale del Belgio. Un festeggiamento che risale al 1549, quando Maria d’Ungheria, allora Signora di Binche, desiderosa di impressionare suo fratello Carlo V e il figlio Filippo II di Spagna, organizzò sette giorni di balli, banchetti, parate militari e fuochi d’artificio. La circostanza coincideva, inoltre, con il ritorno in patria dalle Americhe degli esploratori spagnoli. Per commemorare le recenti vittorie di questi “conquistadores”, si decise allora di far mascherare i cortigiani dei principi iberici... da Incas. Il popolo belga, affascinato dallo splendore di questi variopinti costumi, perpetuò questa tradizione, tanto da farla giungere sino ai giorni nostri.

Il “Gille” – nome che deriva dal pronome spagnolo “Gil”, assai comune nel Cinquecento – è il personaggio tradizionale, l’elemento essenziale di questo Carnevale. Celebra il ritorno della primavera e si distingue per la sua danza caratteristica, per il suo costume decorato con i colori nazionali, e il suo imponente copricapo di piume di struzzo. Ogni ornamento ha un particolare significato simbolico: leoni del Belgio, blasoni, corone, stelle… Il Gille indossa, inoltre, un «apertintaille», una cintura con un numero di campanelli che va da sette a nove, e porta un sonaglio sullo sparato della camicia. I Gille sono anche tenuti a rispettare alcune consuetudini: essere sempre accompagnati da almeno un suonatore di tamburo, non sedersi mai in pubblico ed essere un nativo di Binche. 

 

1958 (1083)  Leggende.

Jean de Nivelles è un personaggio simbolico della cità di Nivelles, ma è soprattutto il nome dell’orologio animato della Chiesa di Santa Gertrude.. E’ costruito su uno scheletro di oittone alto due metri e pesante 350 chili. Rapresenta un guerriero che tiene in mano un martello per suonare le ore. Fu offerto alla città dei Nivelles nel XV secolo da Carlo il Temerario. Inizialmente sistemato sopra il Municipio, fu in seguito trasferito (1617) sul Campanile della chiesa. La popolazione lo battezzò Jean de Nivelle, nome che divenne celebre a quell’epoca per una canzone.

Nella città si trova anche una statua di Jean de Nivelle in compagnia del suo cane, posta sulla facciata del Palazzo di Giustizia (1891). Una  statua del solo cane si trova all’ingresso ovest del Municipio, accanto alla sala dei matrimoni. Viene accarezzata da tutti coloro che si sposano in quanto considerato di buon augurio.

Gli abitanti di Nivelles hanno battezzato col none del protagonista e del suo cane confraternite gastronomiche, un tipo di birra, la società che organizza il carnevale, caffé, magazzini e imprese.

 

1971 (1593)

I giganti di Ath.

Il Ducasse è una tradizione popolare nella città di Ath (Hainaut, Belgio). Risale all’inizio Medioevo e si è sviluppata nel tempo fino a diventare una festa molto popolare che dura diversi giorni, caratterizzati dalla presenza di processioni giganti, carri allegorici e decorativi, accompagnati da gruppi storici.
Dal XVI secolo, il fenomeno del "gigante" è presente in Europa occidentale nei cortei e nelle sfilate, durante il carnevale o le feste pubbliche in generale. Il substrato politico, economico e culturale è cambiato, ma i giganti sono sopravvissuti dove la tradizione è saldamente radicata nel popolo. Questa processione ha conservato i suoi antichi giganti, è seguita da una popolazione locale che resta molto legata al passato. Ducasse è il principale evento della vita festosa regionale. Essa dà luogo a numerose feste ed eventi culturali.
La Ducasse di Ath fu inserita nel 2008 da parte dell'UNESCO nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale dell'umanità.

 

1992 (2465/7) Fiabe

La fiera Margherita.
In Belgio “Fière Margriet", liberamente tradotto suona come come "Nobile Margriet".Sul personaggio esistono due leggende assai simili. La più antica risale al 13 ° secolo e racconta la storia di Amandus e sua moglie i quali chiesero asilo in una un'abbazia vicinom a Leuven. Ma la notte del loro arrivo furono derubati e uccisi da una banda di ladri e quella stessa notte una ragazza di nome Margriet che viveva nel chiostro, fu rapita dai ladri e uccisa nei boschi vicini all’abbazia. Alcuni pescatori mentre si recavano a pesca trovarono il suo corpo e lo seppellirono vicino al fiume "Dijle". Si dice che nottetempo una luce brillasse sulla sua tomba, così gli abitanti di Lovanio riesumarono in corpo e lo seppellirono nel cimitero cittadino. Poco tempo dopo, vicino alla cappella costruita per Margriet, cominciarono a moltiplicarsi i miracoli.
La seconda storia è più recente e risale e al 16 ° secolo. Si dice che dopo essere stata uccisa e violentata dai ladri, Margriet fu gettata nel fiume Dijle. Il corpo poi è stato spinto sull'acqua dai pesci e, circondato da un bagliore di luce. Ovviamente la storia è stata rimaneggiata per renderla più spettacolare. Per secoli, Margriet, considerata un simbolo di innocenza e purezza, fu venerata dalla gente di Lovanio, che pregava perr lei e le chiedeva favori. Per lei fu eretta una statua nel punto in cui i fiumi "Muntstraat" e "Tiensestraat" si incontrano

 

Les Macrales (la streghe).

Macrale (parola di lingua vallone) si riferisce ad un particolare tipo di strega, responsabile di presagi che stanno per arrivare, in particolar modo durante i lunghi inverni.
Per tale ragione la sua effigie è bruciata in grandi roghi durante le feste di fine inverno cui partecipavano numerose persone. Questa pratica ricorda i roghi in cui nel Medioevo venivano bruciati eretici e streghe.
Nel folklore vallone, durante i festeggiamenti del 15 di agosto, a Outremeuse, Emerton-sur-Biert, Marche-en-Famennegi, non è raro vedere processioni formate da gruppi di gente che insegue le streghe in una specie di rito della « caccia alle streghe »
Le Macrales fanno pure parte del folklore Haccourt e Vielsalm .

 

Renart.

Il Roman de Renart (Romanzo di Renart) è una raccolta di racconti medievali in lingua francese del XII e XIII secolo, nei quali vediamo agire degli animali al posto degli esseri umani.
Si tratta di favole satiriche, tra i primi esempi di letteratura borghese medievale insieme ai fabliaux, brevi racconti indipendenti, scritti talvolta in prosa ma il più delle volte in versi ottosillabici in lingua d'oïl ossia antico francese. La loro natura anonima e aperta ha favorito lo sviluppo di rami diversi, redatti nel corso dei secoli da autori diversi: il protagonista rimane comunque Renart la volpe, affiancato dal lupo Ysengrin e dal re-leone, e volta a volta da numerosi altri personaggi e animali. In totale il romanzo conta 30 000 versi in rima baciata.

 

1997 (2693/4) Leggende:

De Bokkennrijders.

Il termine bokkennrijder (letteralmente tradotto significa ‘cavaliere-capra’) nella credenza popolare nata nel Limburgo meridionale nel 18° secolo, fu attribuito ad una congrega di malfattori che cavalcavano enormi caproni e riuscivano a spostarsi da un punto ad un altro addirittura volando. Le popolazioni che abitvano i paesi di Overmaas, Voerstreek, Herve, la regione intorno a Liegi e le zone appena oltre il confine tedesco di Kempen vissero per un certo tempo sotto l’incubo dei ‘cavalieri-capra’ che scorrazzavano attaccando fattorie solitarie, canoniche e conventi isolati. La prima menzione di tale congrega di malfattori si trova nel libro: Oorzaeke, bewys en ondekkinge van een goddelooze, bezwoorne bende nagtdieven en knevelaers binnen de Landen van Overmaeze en aenpalende landstreeken, scritto nel 1779 da SJP Sleinada (uno pseudonimo di A. Daniels, letto al contrario). A. Daniels, parroco di Schaesberg , ora parte di Landgraaf, conosceva personalmente molti membri della banda e i loro metodi d’azione. La leggenda vuole che il ladri avessero stretto un patto col diavolo e che avessero da lui avuto il potere di volare attraverso lo spazio dopo aver recitato il seguente incantesimo: "A proposito di casa, disponi di un palo in giardino e di una cantina a Colonia!”. Una volta l'anno si radunavano a Mookerheide per conferire col loro padrone, il diavolo. Più tardi i ‘cavalieri-capre attraverso vennero considerati alla stregua di emuli di Robin Hood.
Oggi si ritiene che la leggenda sia nata dall’incremento di furti e rapine che avvennero in quelle zonj e dai molti processi che ci furono. Seicento persone circa vennero arrestate e condannate, talvolta ingiustamente, in quanto le confessioni erano estorte tramite tortura.

 

Jean de Bernau.

 

 

2004  (3427) 

Leggenda.

Sant’Antonio. 

Nacque sulle rive dell’Egitto  e fino a vent’anni condusse una vita semplice con i genitori e la sorella. Rimasto orfano, ubbidì al richiamo evangelico “Vendete tutto, date il ricavato ai poveri e otterrete il tesoro del cielo.” Così fece. Divise il ricavato tra i poveri e sua sorella e si ritirò  a vita solitaria. Visse prima in una cella, poi in una tomba egizia e in un castello abbandonato. Il suo amore per Dio suscitò uno dei più vasti movimenti dei primi secoli cristiani. Fu l’abate degli eremiti che nel III secolo fuggivano dalla città per ritirarsi a pregare nel deserto. Quando morì in tutto il deserto dell’Egitto erano sparsi eremiti solitari sempre immersi nella preghiera. Restò nel deserto per più di ottanta anni e morì vecchissimo nel 356.

La leggenda racconta che nel deserto solitario lo raggiunse la tentazione non da parte degli uomini ma del demonio e delle sue legioni che tentarono di far vacillare la sua fede in Cristo e gli apparvero visioni angeliche, umane e bestiali con l’intento di indurlo al peccato.  Vinse sempre ma non senza fatica, tanto che una volta si rivolse a Dio chiedendogli dove fosse in quei momenti di tentazione e perché non lo avesse aiutato. “Io ero qui, a vederti combattere e poiché hai combattuto francamente, sarai ricordato in eterno.” La sua popolarità è, infatti enorme. Sant’Antonio è invocato per la salute del corpo e in particolare per quell’afflizione detta ‘Il fuoco di Sant’Antonio’. Nelle campagne gli venne affidata la protezione degli animali e i contadini, nelle stalle, solevano mettere una sua immagine, a protezione del bestiame.  Nell’iconografia viene raffigurato con un porcellino al suo fianco o in atto di benedire gli animali. La sua festa cade il 17 gennaio.

Sull’argomento Gustave Flaubert scrisse La tentazioni de Saint Antoine (1874) in cui racconta che il Santo, intento a fabbricar stuoie nella sua capanna della Tebaide, si addormenta e in sogno gli appaiono fantastiche visioni che lo tentano con immagini di seduzione femminile, con allettamenti di ricchezza, con argomentazioni e dubbi che insidiano la sua fede. Sfilano davanti a lui le figure degli eresiarchi, gli dei delle antiche religioni, il demonio e infine la Scienza che gli svela i segreti dell’universo senza fine.

 

2012 (4182/91) Creature mitiche:

Sirena.

Le sirene sono delle figure mitologico-religiose, principalmente femminili, di aspetto chimerico umano-animale, caratterizzate da un melodioso e seducente richiamo. Di certe e documentate origini greche, radicate probabilmente in epoche pre-omeriche, successivamente trasferite nella tradizione della Roma antica, le sirene dell'antichità classica si sovrappongono spesso, nella denominazione in lingua italiana, con differenti figure mitologiche

Lupo mannaro o licantropo è una delle creature mostruose della mitologia e del folclore divenute tipiche della letteratura dell'orrore e successivamente del cinema dell'orrore.

Liocorno. Il liocorno è tipicamente raffigurato come un cavallo bianco dotato di attributi magici, con un unico lungo corno avvolto a torciglione sulla fronte. Molte descrizioni attribuiscono all'unicorno anche una barbetta caprina, una coda da leone e degli zoccoli.

Dragone. Il drago è una creatura mitico-leggendaria dai tratti solitamente serpentini o comunque affini ai rettili, ed è presente nell'immaginario collettivo di tutte le culture, in quelle occidentali come essere malefico portatore di morte e distruzione, in quella orientale come creatura portatrice di fortuna e bontà.

Amphiptére.   Nel libro Dragonology: il libro completo dei draghi, sono presentati come una vera e propria specie. In America,  gli Amphitheres sono mostri lunghi 40 metri, con quattro zampe vestigiali e le ali falena. Ci sono due specie di Amphithere: americano (Draco americaunus tex) e messicano (Draco americaunus mex).

Generalmente hanno piume giallo-verdastro, un corpo sinuoso simile con ali verde-rosso e , sulla coda, una freccia con punta. Sono anche descritti col corpo interamente coperto di piume, una coda a spillo,  ali da uccello e un muso simile ad un  becco. Ancora più rara è la descrizione di un amphipthere con le gambe.

Pegaso. Pegaso è una figura della mitologia greca. È il più famoso dei cavalli alati. Secondo il mito, nacque dal terreno bagnato dal sangue versato quando Perseo tagliò il collo di Medusa. Secondo un'altra versione, Pegaso sarebbe balzato direttamente fuori dal collo tagliato del mostro, insieme a Crisaore.

Animale selvaggio e libero, Pegaso viene inizialmente utilizzato da Zeus per trasportare le folgori fino all'Olimpo. Grazie alle briglie avute in dono da Atena, viene successivamente addomesticato da Bellerofonte, che se ne serve come cavalcatura per uccidere la Chimera. Dopo la morte dell'eroe, avvenuta per essere caduto da Pegaso, il cavallo alato ritorna tra gli dei.

Grifone. Il grifone è una creatura leggendaria con il corpo di leone e la testa d'aquila, la cui leggenda nasce dalla mitologia mesopotamica, fenicia e babilonese.

Centauro. Il centauro è un animale mitologico, metà uomo e metà cavallo. Leggende minori (probabilmente confusi con i satiri), ne fanno creature metà uomini e metà caproni.

Nella mitologia è quasi sempre dipinto con carattere irascibile, violento, selvaggio, rozzo e brutale, incapace di reggere il vino. Solitamente raffigurati armati di clava o di arco, emettevano urla spaventose.

La figura del centauro ha origine dall'amore sacrilego fra il re dei Lapiti Issione e un sosia della dea Era, Nefele, dalla cui unione nacque, appunto, Centauro, capostipite di tutti i centauri.

Sfinge. La sfinge è una figura mitologica appartenente tanto alla mitologia greca quanto alla mitologia egizia. Viene raffigurata come un mostro con il corpo di un leone o cane e la testa umana (androsfinge), di falco (ieracosfinge) o di capra (criosfinge), dall'aspetto magnifico e imponente.

Arpia.   Nella mitologia greca, le arpie (lett. "le rapitrici", dal verbo greco harpazein, "rapire") sono creature mostruose, con viso di donna e corpo d'uccello. L'origine del loro mito deve forse ricondursi a una personificazione della tempesta.

 

2013 . Personaggi principali dei racconti di fate: Diavolo, Troll, Fantasma, Mago, Strega, Nano, Fata. Gigante. Principe. Elfo.

 

 

BELIZE

 

1991  (966/71) Leggende folkloristiche: Un ragno gigante cavalca una tigre.  Un battello, una palma.  Il fuoco di S.Elmo.  Omino di legno con cappello e randello. Uomo armato.   Donna  e serpente.  Pecari e un giovane su un albero.  Una vecchia vicino ad una capanna.

Il folklore letterario del Belize, popolato  di esseri reali o soprannaturali  è  legato a miti, racconti, leggende, e deriva per lo più  da contaminazioni Molti sono gli esseri immaginari che fanno parte del folklore locale. Rievocano,  ad esempio, storie di navi pirate fantasma che attirano i marinai contro gli scogli e di strani fuochi di Sant’Elmo che  vagano  sulla tolda dei velieri tra le vele,  di fantasmi in case abbandonate, di ceneri di case bruciate, di esseri soprannaturali giganteschi e pelosi  che escono di notte per spaventare la gente, di uomini orribili che abitano in case abbandonate i quali nottetempo escono per catturare le donne. Ad alcuni di essi impossibile dare la caccia e sono introvabili perché possono invertire la posizione dei loro piedi dando così l’impressione di camminare in direzione opposta.

 

Anansi è uno dei più importanti e conosciuti miti delle popolazioni originarie della zona ovest dell'Africa.

La tradizione lo pone a metà strada tra l'essere un dio ingannatore e un eroe culturale. Suo padre è Nyame, il dio del cielo, e per suo conto Anansi porta la pioggia che spegne gli incendi e svolge altri compiti diversi. Sua madre è Asase Ya. Ci sono anche diverse menzioni di figli che avrebbe procreato. Secondo alcuni miti sua moglie è conosciuta come o la strega Anansi, anche se solitamente viene chiamata Aso. Le forme con cui viene descritto il dio sono quelle di un ragno, di un uomo o di una combinazione dei due. Per questo motivo viene spesso chiamato il ragno o il dio ragno. La sua origine viene fatta derivare dalla tribù degli Ashanti. Successivamente il mito si è diffuso nei Caraibi, in Suriname e nelle Antille olandesi. A Curaçao, Aruba e Bonaire è conosciuto come Nanzi e sua moglie come Shi Maria.

Le storie relative ad Anansi sono conosciute come Anansesem presso gli Ashanti e come Anansi-Tori in.

Una delle leggende più ricorrenti è quella in cui Anansi diventa il Re di tutte le storie. Nella versione Ashanti, Anansi va da suo padre Nyame, il dio del cielo, e gli chiede di diventare appunto il Re di tutte le storie. Nyame gli dice che se riuscirà a catturare il Giaguaro con i denti come pugnali, la Vespa che punge come il fuoco e la Fata che nessun uomo ha visto diventerà ciò che desidera. Anansi decide di impegnarsi nelle difficili prove nonostante i dubbi di Nyame. Riesce quindi ad ingannare il Giaguaro, che voleva mangiarlo, proponendogli un gioco che permette ad Anansi di legarlo. Inganna anche la Vespa fingendo di essere la pioggia ed invitando l'insetto a nascondersi in un calabash dove la cattura. Infine riesce a prendere la fata con il trucco del bambino di pece. Terminati i suoi sforzi porta i trofei a Nyame e diventa il Re delle storie.

L'unica volta in cui Anansi fu ingannato avvenne quando provò a combattere contro un bambino di pece dopo aver tentato di rubare del cibo. In sostanza di trattava di una bambola ricoperta di pece che alla fine resta tanto più attaccata al suo aggressore tanto più questo si dimena per colpirla.

 

Jack o Lantern. La leggenda di Jack-o-lantern e la zucca del diavolo nacque in Irlanda e si diffuse in America a seguito delle immigrazioni irlandesi del XVIII secolo. Oggi stata assimilata dalla notte di Halloween. Quando gli Irlandesi arrivarono in America, scoprirono che le zucche erano molto più adatte di cipolle e rape per la costruzione delle tradizionali lanterne di Halloween. Jack o'lantern è il simbolo di Halloween costituito da una zucca scavata e intagliata con espressioni mostruose.

Questa tradizione prende origine da un'antica leggenda irlandese, che racconta la storia di un fabbro di nome Jack, ubriacone e taccagno. Una sera Jack, ubriacone e taccagno, mentre beveva tranquillamente una birra al pub durante la notte di Halloween, ebbe la sfortuna di incontrare il Diavolo. Jack era un po' ubriaco, ma cercò di ingannarlo, offrendogli la propria anima in cambio di un'ultima birra. Il Diavolo accettò e si trasformò in una moneta da sei pence, in modo che Jack potesse pagare il barista. Subito Jack prese la moneta, la chiuse nel suo borsellino e pagò il barista con un'altra moneta che aveva in tasca.

Jack teneva nel portamonete una piccola croce d'argento, che impediva al Diavolo di riprendere le proprie sembianze. Così imprigionato, il Diavolo accettò la proposta di Jack di liberarlo, purchè non tornasse a chiedere la sua anima per i prossimi  dieci  anni.

I dieci  anni passarono, senza che Jack cambiasse minimamente il proprio modo di vivere. Un giorno stava camminando per la strada, quando incontrò di nuovo il Diavolo che voleva la sua anima. Jack, pensando rapidamente, disse: "D'accordo, verrò con te. Ma come ultimo desiderio mi prenderesti una mela da quell'albero?" Il Diavolo, pensando che non aveva niente da perdere ad accontentare Jack, saltò sul melo. Ma svelto Jack disegnò una croce nel tronco dell'albero, impedendo al Diavolo di scendere!

Jack si fece promettere dal Diavolo che non avrebbe mai più reclamato la sua anima, cancellò la croce che aveva disegnato e lo liberò.

Diversi anni dopo Jack morì. Bussò alla porta del Paradiso, ma non lo fecero entrare perchè aveva commesso troppi peccati nella sua vita. Così si presentò all'Inferno, ma il Diavolo lo dovette mandare via, perchè aveva promesso di non reclamare mai la sua anima. "Ma allora dove posso andare?", chiese Jack. "Torna da dove sei venuto!" gli rispose il Diavolo.

La strada era buia e ventosa. Jack chiese al Diavolo qualcosa per farsi luce. Il Diavolo spazientito gli lanciò dei carboni ardenti, che Jack infilò in una zucca bucherellata, per ripararli dal vento e non farli spegnere. Da allora Jack vaga nella notte con la sua lanterna, in attesa del Giorno del Giudizio.
La lanterna di Jack è diventata il simbolo delle anime dannate che non trovano mai pace, ma è soprattutto il simbolo più conosciuto di Halloween.                          

 

Tata Duende. I Maya hanno contribuito alla creazione del mito del "piccolo popolo" della giungla, i duende in cui ogni persona possieda solo quattro dita. C’è chi afferma che ne abbia cinque ma che, quando saluta, nasconde il pollice. Tata è un essere mitico del folklore del Belize , considerato uno spirito potente che protegge gli animali e la giungla. Il duende può causare malattie, ma mettendo zucche, di cui i duende si nutrono, sulla porta di casa si potranno tener lontano le malattie. Sono, infatti, in grado di catturare le persone e portarle alla pazzia. Ma possono anche esaudire i desideri e rendere una persona improvvisamente in grado di suonare uno strumento musicale.
Tata Duende è generalmente descritto di bassa statura, è rugoso e peloso, con tacchi sottili e la mancanza dei pollici. Spesso cammina vestito di pelli o stracci e indossa sempre un grande cappello. A volte porta un machete, una chitarra o un bastone. Secondo la leggenda, la presenza di Tata Duende si sente quando si entra nella giungla del Belize. Tuttavia, bisogna essere estremamente attenti a non incorrere nella sua ira perché la rabbia può essere mortale. Ha un dono per la lingua, la musica e poteri ipnotici. Il Duende Tata è stato utilizzato anche come spauracchio per i bambini. Altri ancora dicono che questo spirito possa essere invocato da uno sciamano maya con l'incenso e preghiere.
 

Xtabay significa letteralmente”Donna Ammaliatrice” . E’ un demone che seduce e uccide. In altra versione è presentata come una divinità femminile della caccia, insieme al Tabay Ah maschile.
Xtabay è anche una bella fanciulla, che conduce gli uomini fuori strada nella foresta.
Una leggenda racconta di due donne che vivevano in un villaggio nella penisola dello Yucatán. Una si chiamava Xtabay, ma la gente la chiamava Xkeban (che significa "prostituta" o "colei che pratica l'amore illecito"), l'altra era Utz-Colel, una donna virtuosa e onesta.
La gente diceva che Xkeban, era ‘malata di desiderio’ e concedeva i suoi favori ad ogni uomo che le piaceva. Ma Xkeban, nei suoi contatti con diverse persone mostrava di avere un cuore buono e aiutava i poveri, gli ammalati, i senza-tetto e si occupava anche degli animali abbandonati perché considerati inutili. Si dice che donasse i vestiti e i gioielli che i suoi amanti le regalavano. Non si occupava dei fatti altrui, sebbene ricevesse sovente umiliazioni da molti abitanti del villaggio. , Utz-Colel invece, considerata virtuosa, era in realtà piena di orgoglio, dura di cuore e di disgusto verso i poveri.
Un giorno, Xkeban scomparve. Passarono i giorni e nel frattempo un profumo delicato cominciò ad espandersi per tutto il paese. La gente pensò che venisse dalla casa di Xkeban e che la donna fosse a morta lì, da sola. Trovarono, infatti, il suo corpo in decomposizione.
Utz-Colel sostenne che non era possibile, che il profumo non poteva essere quello di un corpo vile e corrotto: altro che profumo, da quel corpo poteva provenire solo puzza. Diceva Che quel profumo doveva provenire da spiriti cattivi spiriti o da demoni che ancora stavano cercandodi di tentare e di attirare in quella casa gli uomini. "Se questo è l'odore di una prostituta morta, quale sarà il mio quando morirò?".
Ma alcune persone diedero sepoltura alle spoglie di Xkeban, sentendo pietà per lei. Dopo alcuni giorni sulla sua tomba cominciarono a nascere dei bellissimi fiori di un delicato profumo.
Quando Utz-Colel morì, tutto il paese ha partecipò al suo funerale,lodando la sua virtù e onestà. Per lo stupore della folla, un fetore insopportabile cominciò a venir fuori dalla sua tomba.
I fiori che crebbero sulla tomba di Xkeban (Xtabay) furono chiamati Xtabentún. Da essi i maya ricavano un miele profumato.

 

Old Heg“Magro Skinny, tu non mi conosci?".

E’ il grido del vampiro Olde Heg, comunemente descritto come una donna anziana. Il personaggio fa parte del folklore dei contadini del Belize. Si crede che abbia radici africane, ma ricorda anche le streghe o Brujas di tradizione Maya.
Il poeta belizeano James Sullivan Martinez, che ha trascorso gran parte dei suoi anni giovanili con il padre nei campi, fu ispirato a scrivere di lei in un giornale locale.
Ole Heg è un personaggio leggendario che frequenta edifici fatiscenti, uscendo di notte, in cerca di vittime da cui succhiare il sangue. Prima di attaccare una vittima si trasforma in una minuscola palla di fuoco, simile a un raggio di luce che le permette di entrare in ogni casa attraverso il buco della serratura. Altri dicono che utilizzi due stuoie di paglia attaccate alle braccia le quali le permettono di volare sul tetto di paglia della casa presa di mira e di aspettare il momento adatto per attaccare. Una volta dentro, sceglie una persona che dorme: i bambini sono le sue vittime preferite. Visita parecchie volte la stessa casa, succhiando il sangue dalla stessa persona. Le sue vittime diventano così ogni giorno più pallide e sottili e spesso muoiono.
La Ole Heg è di solito raffigurata come una donna anziana. Quando, però, la descrivono agli inizi della sua formazione in vampiro ha l’aspetto di una ragazza o di una donna di mezza età.
La Ole Heg teme la luce del giorno ed è improbabile vederne qualcuna quando splende il sole. I bambini ne approfittano per disegnarla sui muri, sulle porte e finestre della case col solo scopo di tenerla lontana.
Per tenerle a bada esistono diversi modi, uno dei più semplici è quello di vestirsi in blu, un colore che non possono sopportare. Per questo di notte i genitori spesso mettono i loro figli a dormire avvolti in camici blu. Un altro dei nemici delle Ole Heg, è la pianta assafetida, una gommoresina che ha il potere di tenerle lontane. Anche una scopa posta alla rovescia impedisce loro di entrare in casa. Altro valido sistema molto usato è quello di cospargere il pavimento con semi di sesamo (wangla) perché le streghe-vampiro sono da essi ossessionate al punto di sentirsi costrette a raccoglierli uno per uno. Lo fanno lentamente e quando hanno le mani piene li riversano a terra e ricominciano la raccolta per cui non si accorgono del sopraggiungere del mattino e della luce. I raggi del sole le impediscono così di raggiungere le loro dimore buie e, rimaste così intrappolate, possono essere picchiate a morte con la scopa. Forse a causa della associazione con questi semi le streghe vampiro vengono pure anche Wangla Lady.
Una leggenda è legata alla trasformazione che in tale personaggio avviene nel passaggio dal giorno alla notte. Si racconta che, non potendo sopportare la luce del giorno, il suo corpo viva in luoghi bui, mentre solo la sua pelle rimane appesa ad un albero di ceiba. Quando nottetempo vuole uscire le basta recitare una orazione per rientrare nella sua pelle. A tale credenza è legato uno dei metodi più popolari per sconfiggerla: quando rientra prima dell’alba basterà, pungere la sua pelle e lei per la disperazione canterà. "Skinny, magro, tu non mi conosci?" e sparirà.

 

1992 (986/9) Leggende folkloristiche:

Hashishi Pampi. Si tratta di piccole creature innocue, che si trovano ovunque si verifichino spesso incendi boschivi e rimangano zone bruciate. Su di esse rimane depositata della cenere colorata che prende il nome di hashishi, da qui il loro primo nome; il secondo, Pampi, deriva dal dal nome dato ad un animale, il ‘maiale pampi’, che nei Carabi si riferisce ad un bambino piccolo o nano.
Storie con personaggi di Hasishi Pampi sono frequenti tra la popolazione contadina belizeana che racconta di vederli guizzare mentre strofinano i loro corpi nelle ceneri calde di un focolare, mettendo fuori dalla cenere solo la testa. Hashishi Pampi sono stati osservati anche dai taglialegna e chicleros, mentre saltano giocosamente su e giù per le ceneri lasciate dopo un incendio di grandi dimensioni.
 

Cadejo. Il cadejo (Ka-giorno-ho) è un personaggio del folklore messicano-guatemalteco, del sud di Salvadore, del Nicaragua, della Costarica e dell’Honduras. Esiste il buon cadejo bianco e un cadejo diabolico e nero. Entrambi compaiono di notte ai viaggiatori: il bianco per proteggerli e il nero per ucciderli. Compaiono solitamente sotto forma di mucca, di cane, di capra, di toro. Molti hanno provato ad uccidere il cadejo nero ma sono morti. Il cadejo si riconosce dall’odore di capra che emana.

1991  (966/71)

 

La Sucia. E’ una delle leggende più note in Honduras e nel Belize. Riguarda La Sucia (donna sudicia). La storia cambia da regione a regione, ma il tema è sempre lo stesso. Un uomo incontra una donna in riva a un fiume o un lag. Il suo volto è invisibile o perché è notte o perché, uscita dall’acqua, ha tutti i capelli bagnati che le ricoprono il volto La donna tenta di sedurlo e quando vi riesce si mette subito a sghignazzare. L’uomo le scosta i capelli e si accorge che si tratta di una vecchia megera senza denti. La donna ha il petto avvizzito e i seni pendenti. L’uomo si allontana ma la vecchia lo segue e lo incalza canticchiando “Toma tu teta” (Succhia il mio seno). L’uomo fugge inorridito. Nella storia il protagonista è un uomo che sta per sposarsi o un giovanotto ai primi approcci sessuali. La morale della favola è che i mariti non dovrebbero ingannare le proprie moglie e che i giovani dovrebbero essere più accorti nel loro primi approcci sentimentali.
 

Sisimito. Era una specie di nano molto forte, peloso, simile ad un gorilla. Si diceva che avesse i piedi rivolti all’indietro per cui se lasciava le orme, per seguirlo occorreva andare in senso opposto. Non aveva ginocchia per cui il suo incedere era alquanto goffo. Si nutriva di frutta e di carne, in particolare quella umana. Non era un tipo amichevole per cui tutti cercavano di evitarlo. Aveva paura dell’acqua e dei cani. . Si diceva che se uno lo guardava negli occhi sarebbe morto entro un mese. Lo si poteva uccidere con il fuoco.
 

Leggende folkloristiche:

Una formica gigante cavalca una tigre.  Un battello, una palma.  Il fuoco di S.Elmo.  Omino di legno con cappello e randello. Uomo armato.   Donna  e serpente.  Pecari e un giovane su un albero.  Una vecchia vicino ad una capanna. .

 

 

Belize 1991  (966/71)

Formica gigante e tigre

Belize 1991  (966/71)

 Battello, palma e fuoco S. Elmo

Belize 1991  (966/71)

 Omino di legno

Belize 1991  (966/71)

Uomo armato,

 donna e serpente

Belize 1991  (966/71)

Pecari e giovane su un albero

Belize 1991  (966/71)

Vecchia vicino ad una capanna.

Belize 1991 (986/9)

Hashishi Pampi

Belize 1991  (986/9)

Cadejo

Belize 1991  (986/91)

La Sucia

Belize 1991  (986/9)

Sisinito

 

 

 

BHUTAN

 

1966/7  (84/98) 

Leggenda. L’abominevole uomo delle nevi.  Detto anche Yeti.  Leggendario abitante delle nevi dell'Himalaya dall'aspetto di uno sgradevole scimmione . Una creatura analoga viene chiamata Bigfoot negli Stati Uniti e Sasquatch (da un termine indigeno) in Canada.

 

 

 

1986 (711/7)  Leggenda: Gyelsi Nadun I sette attributi del re dell’universo La ruota d’oro dai 100.000 raggi. Il  lapislazzulo capace di dissipare il buio. La regina che allontana la sofferenza. Il ministro leale e coraggioso. Il generale esperto in arti marziali. L’elefante forte come mille dei suoi simili. Il cavallo blu capace di volare.

 La Ruota Flaming consente al monarca di viaggiare dove vuole a grande velocità, e quindi sconfiggere i suoi nemici.
Il gioiello prezioso è fatto di lapislazzuli e vince le tenebre della notte. È conforme ai desideri del monarca e ai  suoi soggetti.
La regina Precious è ornata di tutte le virtù, ed è un compagno perfetto per il monarca.
Il Ministro Precious è forte, coraggioso, e si prende cura della
Unito, pur rimanendo perfettamente fedeli al monarca.
L'elefante Precious è forte come un migliaio di elefanti e un supporto insostituibile in battaglia.
Il cavallo Precious può volare nel cielo e permette il monarca per il giro del mondo tre volte in un giorno
Il generale Preziosa possiede una grande forza fisica e mentale, e non arbitrariamente danneggiano gli altri, ma combatte solo per salvare il suo monarca.

 

 

1997  (1102/7 più foglietto 342) 

Fiabe: L’uccello blu.  Sing Sing.  Lhamo e la luna.  L’upupa.  I tre voti.  L’abominevole uomo delle nevi. 

 

 

BIELORUSSIA

 

2001  (384/5)

Fiabe:

Un re firma una pergamena.

Una regina in carrozza

 

BOLIVIA

2012 La Palliri. Amor maldito.  La leggenda  racconta l’amore  tra  Tio, una  specie di boss, dall’aspetto orribile e demoniaco, che controllava i lavoratori di una miniera Colombiana e Soledad Chungara, una giovane bellissima dalle trecce lunghe e la pelle più bianca della porcellana, considerata una donna di malaffare. La donna lavorava in miniera come palliri (operaia che, a colpi di martello, triturava  e selezionava i pezzi di roccia mineralizzata). La palliri  accettò le avance di Tio e corrispose alle sue proposte d’amore ma per puro interesse in quanto era suo desiderio, una volta raccolto un discreto gruzzolo, di ritornare  al suo paeee. Tio per trattenerla presso di sé per sempre, le disse  che le avrebbe indicato un luogo particolare della miniera dove esisteva un ricchissimo filone di stagno purchè rimanesse con lui per sempre. La palliri accettò, pensando che  lo avrebbe in seguito ingannato. Avrebbe prima accumulato il denaro e poi se ne sarebbe andata dalla miniera per la strada da dove era venuta.  In breve tempo accumulò tanto denaro da diventare la donna più ricca del paese. Ma, per il suo comportamento immorale, era odiata e temuta dai minatori che le predicevano una brutta fine.

La palliri, vittima della sua bieca ambizione e dei suoi incanti, si ritrovò avvolta da una nube di disillusione e disperazione. Non sapeva che farsene dei soldi, né come rispettare il suo patto con il Tío. Questa storia le dava il tormento e la sua vita si trasformò in un incubo. Non ritornò mai più nella miniera e si chiuse nella sua camera, dalla quale non usciva mai, se non per mangiare e bere. Neppure in sonno riusciva a liberarsi dal potere che Tio esercitava su di lei. Il loro rapporto aveva assunto un aspetto infernale, demoniaco.

Alla fine la palliri, stanca di sopportare quegli incubi terrificanti, smise di dormire e si mantenne sveglia a base di coca e alcol, fino a quando un giorno caricò le sue cose su un'auto, si sedette al volante conducente e cercò di scappare verso una città sconosciuta, dove il Tío non potesse trovarla. Abbandonò il villaggio dei minatori, sollevando grosse nubi di polvere lungo la strada.
Quello stesso giorno, secondo i rapporti della polizia di pattuglia, la palliri perse la vita in un incidente. La sua auto si ribaltò e cadde in un burrone dove non scorreva il fiume, né soffiava il vento. L'incidente avvenne proprio nella curva conosciuta come la Muela del Diablo, fu lì che Tío la trovò. Qualche tempo dopo, la Palliri, divenuta un'anima dannata, apparve nuovamente nel villaggio dei minatori. Le donne, quando la incontravano nelle notti di luna piena, la guardavano con timore e compassione, mentre gli uomini, che la consideravano una donna di malaffare, quando la vedevano girovagare nei dintorni della miniera, le sputavano addosso.

Allora la palliri, che non aveva perso la sua bellezza né l'abitudine di indossare gli stivali, la tuta e il casco, ritornò all'interno della miniera, dove il Tío l'aspettava con le braccia aperte e la gioia negli occhi. (Racconto tratto e adattato dalla raccolta inedita in Italia “Cuentos de la mina” (Racconti della miniera), Edizioni Författares Bokmaskin, Stoccolma, Svezia, 2000. Traduzione di Paola Ursomando).

BOSNIA ERZEGOVINA

1997  

Leggenda:

 La Preghiera dell’asceta Ajvaz.   Leggenda del XV sec. Si narra che un enorme masso avesse bloccato il flusso di una sorgente d’acqua che dava vita ad un villaggio. Nessuno poteva smuoverlo. L’asceta Ajvaz si assunse il compito di pregare per  quaranta giorni consecutivi pur di ottenere da Allah  la rimozione della pietra. L’ultimo giorno di preghiera, addormentatosi, sognò dei rami spezzati e l’infuriare di una tempesta e il mattino seguente la pietra era spezzata. Fu costruito un acquedotto ancora oggi esistente e ogni anno i bosniaci fanno un pellegrinaggio al sasso di Prusac,  denominato Ajvatovica.

 

2005(130/31) Fiabe: Tintilinic, lo gnomo. (vedi Croazia) 

 

2007 (BF 10) Miti e fiori. Iris Illirica e veliero. Appartiene alla famiglia di piante monocotiledoni, comprende erbe perenni spesso rizomatose, più di rado bulbose o tuberose, con foglie spesso accavallate e fiori vistosi.

Le  Iridaceae comprendono oltre 500 specie, per lo più extratropicali. Questa famiglia è soprattutto indigena dell'Africa meridionale e delle regioni più calde dell'America. Molte si coltivano per ornamento, come il Giaggiolo, il Gladiolo, l'Iride tigrina, la Bella vedova, le Antolize. Altre sono industriali, come lo Zafferano e alcuni Giaggioli per la polvere del rizoma detta "ireos". Una leggenda  su Afrodite narra  che un fanciullo, Hyakintos, sia morto per aver annusato un fiore di iris donatogli dalla dea.

 

2008 (BF 13)  Miti e Fiori. Achillea millefoglie e l’immagine del brigante Andrijica Simic. Il nome 'Achillea' ha origine mitologica e le viene da Achille, che la usò per guarire le ferite di Telefio, re di Mis.  La tradizione (trasmessaci da Plinio) racconta che  Achille curò le ferite di alcuni suoi compagni d'arme, tra cui  le ferite di Telefio, de di Misia, durante l'assedio di Troia. Sembra che sia stato Chirone (suo maestro) ad informarlo delle capacità cicatrizzanti della pianta. Il nome definitivo della pianta fu comunque assegnato da Linneo. Il nome della specie (millefoglie) deriva per le sue foglie profondamente frastagliate.

Andrijica Šimić (1833 - 5 febbraio 1905) è stato un brigante dell'Erzegovina.

Nacque  a Grude, in una famiglia di etnia croata di sette figli: aveva un fratello e cinque sorelle. All'età di dieci anni, si trasferì a Mostar a lavorare per la Ottoman aga Tikvina come operaio salariato. Vi rimase fino all’età di 20, prima di tornare al suo villaggio.

Nel frattempo i turchi ottomani avevano molestato la popolazione locale e, con la minaccia delle armi,  derubato suo  padre. Andrijica, infuriato, decise di diventare un Hajduk, un fuorilegge, per combattere il governo turco. Fu  braccato e imprigionato in diverse occasioni, per aver  saccheggiato e derubato  uomini ricchi musulmani e cristiani nella regione. Le sue rapine interessarono  non solo il territorio ottomano ma anche austro-ungarico nell’interno della Dalmazia interna, quindi, anche le autorità austriache emisero un mandato di arresto per lui e il suo gruppo.

Nel frattempo fu raggiunto da altri giovani e con essi  eluse le autorità per sei anni. Le sue azioni ricordano quelle di Robin Hood, che rubava ai ricchi per dividere  il bottino con i contadini poveri.

Il gruppo fu perseguito dalle autorità austro-ungheresi.  Durante una rapina nel villaggio di Zagvodz uccise un membro della polizia mentre cercava di fuggire. Trovò ospitalità  nel villaggio di Runovici presso  la famiglia Garac, che lo tradì consegnandolo alle autorità. Condannato al carcere a vita, vi rimase per 33 anni e fu liberato sulla parola e rilasciato all'età di 68 a causa dell’intervento del suo figliastro Jozo che era un soldato dell'esercito austro-ungarico.

Quando tornò Dalmazia, i cittadini di Spalato lo accolsero e lo festeggiarono per tre giorni. Andrijica decise di viaggiare in tutta la Dalmazia per  raccontare storie sulle sua vita. Morì a  Runovici. Nelle sue tasche trovarono tutto il suo denaro: una corona e due par.

Šimić fu  argomento di molti canti epici,  drammi e romanzi, e di un documentario del 1995 a cura della  Radiotelevisione  Croata. Il governo locale in Imotski decise di erigere a Runovici nel 1991 un monumento sulla sua tomba. La scultura è stata eseguita dallo scultore Ante Strinić

 

 

Anno 2013 (BF 26) Miti e piante. Fate ai piedi di una quercia. Il valore ha un doppio soggetto: uno legato alla botanica, l’altro al folklore locale.

Hrast Cer-Quercus cerris, (varietà di quercia) è un albero deciduo, presente nei boschi e nelle foreste collinari carsiche,  che raggiunge l’altezza di 25-30 metri . La quercia è diffusa nell’Europa sud-orientale, l'Asia Minore e l'Appennino. Viene considerato da alcuni un albero demoniaco a causa dell’ombrosità che produce il suo folto fogliame oppure un albero con poteri benefici.

In antiche leggende il suo legno veniva utilizzato per riti magici. A Natale un ramo di quercia viene portato in casa, appeso sopra il camino in segno di fecondità per i giovani  che vi abitano. In alcuni villaggi solitari la quercia era considerata sacra e ne era vietato il taglio. Solo i fulmini potevano abbatterla.  Nella medicina popolare la sua corteccia, lasciata a macerare nel vino, è  utilizzata come trattamento contro la  varicella , mentre le ghiande sono utilizzate per guarire la dissenteria prodotta da batteri del genere Shigella.

 

2014 . (BF 28). Miti e Fiori. Hazel. Hazel (Corylus avellana) è un albero cespuglioso con una corteccia liscia della famiglia delle betullacee , il cui frutto è la nocciola; cresce per lo più in Europa, Asia e Nord Africa. L'Hazel, nella tradizione irlandese, rappresenta il frutto della scienza ed è spesso legato a procedure di stregoneria e fu usato in magia come mezzo di protezione. Nel giorno di San Giorgio, i contadini mettono croci di nocciolo sulle colture ed edifici, per la protezione dalla grandine. Si tratta di un rifugio sicuro da fulmini e grandine, così i pastori in tempi di tempesta si  nascondono sotto gli alberi di nocciolo dove vive uno speciale serpente: il serpente del nocciolo. Radoslav Dodig  scrive ce chiunque si ciba di un serpente "nocciolo"  impara a conoscere il linguaggio degli animali.

Il nocciolo è presente nel folklore amoroso degli slavi del Sud.  Una ragazza, che vuole attirare un ragazzo, deve, durante il periodo estivo, prendere un ramo di nocciolo e colpirlo sul retro per tre volte. Dopo tale avvertimento  egli non sarà più in grado di guardare  un'altra ragazza. Su rami di nocciolo si siedono le fate per difendersi dai diavoli i quali non possono salire sui rami.

Esistono altre leggende nel folklore dei Druidi, Irlandesi,  Romani me Germanici.

La stessa simbologia è presente nella nostra cultura che vede nel  Nocciolo un albero benedetto e di buon augurio: secondo la credenza popolare non si veniva mai colpiti dal fulmine per grazia della Madonna la quale, sorpresa da un temporale mentre si recava a visitare Elisabetta, avrebbe trovato riparo sotto un Nocciolo. Un'altra leggenda cristiana associa la Madonna al nocciolo. Si narra che Maria mentre raccoglieva delle fragole per Gesù Bambino venne assalita da una vipera che la inseguì. La Vergine, spaventata, abbandonò le fragole fuggendo e si nascose dietro un cespuglio di nocciolo da dove non si mosse finché la velenosa serpe non rientrò nella sua tana. Per questo motivo sin dai tempi più antichi si dice che un ramo di nocciolo è la difesa più sicura contro le serpi e tutto ciò che striscia sulla terra

Fu anche un rametto di nocciolo a salvare Cenerentola dalla persecuzione della matrigna, permettendole di sposare il Principe; ed è ancora il nocciolo a testimoniare il legame con la divinità femminile o con le sue ancelle come è testimoniato in Romeo e Giulietta, dove Mercuzio così descrive la carrozza della regina Mab, la levatrice delle fate, colei che suscita i sogni: "Il suo cocchio è un guscio di nocciola, lavorato dal falegname scoiattolo o dal vecchio verme, da tempo immemorabile carrozzieri delle fate. In questo aggeggio ella galoppa da una notte all'altra attraverso i cervelli degli amanti, e allora essi sognano d'amore.

Il Nocciolo con i suoi frutti sferici è un simbolo lunare. Nel secolo scorso, nelle campagne di Otranto si narrava che le streghe a caccia di un tesoro, si recavano nel luogo dove credevano che fosse sepolto, con un rametto della magica pianta; se il rametto di nocciolo si piegava su di un lato o verso terra si doveva scavare in quel posto. Coloro che credevano nelle virtù della bacchetta divinatoria asserivano che la verga aveva anche proprietà di scoprire miniere, tesori nascosti, ladri e assassini fuggiaschi. Ancora adesso i rabdomanti lo usano per individuare vene d'acqua.

 

2015  (BF emesso il 18 maggio). La canapa (Cannabis) è una pianta erbacea annuale della famiglia Cannabaceae, che ha  tre sottospecie: Cannabis sativa (canapa industriale), Cannabis indica (canapa indiana) e Cannabis Ruderalis (canapa ruderaei).  Il suo nome è stato creato in Estremo Oriente, (bhang indiano; qunnabu  assiro-babilonese; kannabic greco;  hanapiz germanico).  La canapa, coltivata in Cina  diecimila anni fa, è stata utilizzata inizialmente nel settore tessile, l'edilizia e la marina.  Il primo libro è stato stampato su carta di canapa nel 1455, noto come Bibbia di Gutenberg, così come la Dichiarazione d'indipendenza americana nel 1776. La canapa ha foglie come un pugno e si credeva che essa fosse di origine divina. Secondo la leggenda Buddha, nelle sue fasi di illuminazione, si nutriva con con semi di canapa. Un'altra leggenda narra che la canapa fu  trovata sulla tomba del re Salomone.  Sul sito gli scavi di Beit Shemeshu vicino a Gerusalemme, nella tomba di una donna (1500 aC), sono stati trovati. resti di canapa, Gli archeologi presumono che alla donna, prima di morire di parto le fosse stata somministrata della canapa al fine di agevolare le doglie del parto.

La canapa è  stata una delle piante sacre in molte religioni nel corso della storia umana. INell'antica cultura germanica, è stata associato con la dea dell'amore Frey, la quale . si credeva, vivesse  in fiori femminili di cannabis. Nelle opere magiche la canapa serve per la lotta con le forze del male e demoni, tempeste e grandine.  Se la camicia la canapa era è stata tessuta in un solo giorno e cucita con filo di  stoppa, proteggeva lapelle da piaghe mortali.  Nella medicina popolare è stato utilizzato contro la febbre, mancanza di respiro e mal di stomaco.  Una leggenda folkloristica racconta l’esistenzadi di un tesoro sepolto in Erzegovina. Il tesoro sarà trovato dalla prima  ragazza  povera  che lavorerà per prima  a maglia una  camicia di canapa nera.  (Radoslav Dodig) (Radoslav Dodig)

Source: Croatian Post published May 18th, 2015

 

 

BOTSWANA

 

1980  (405/8) 

Fiabe: Chivele e il gigante. 

Kgori non è sciocco. L'otarda kori (kgori) è uno degli uccelli più conosciuti in Botswana in parte a causa della sua struttura enorme e in parte perché era proibito a chiunque di cacciarlo tranne che per i cacciatori del re e della sua famiglia  che ne apprezzavano la prelibatezza delle sue carni. Sul Kgori sono nate in Africa molte leggende.

La sposa di Nambi e il coccodrillo. Nella mitologia del popolo africano dei Baganda (Uganda), Kintu fu il primo uomo e sovrano immortale, rappresentante del dio supremo Katonda, con cui Kintu parlava dalla cima di una montagna. Molti racconti baganda narrano di come Kintu, assieme alla moglie Nambi, portarono la morte nel mondo. In uno dei miti più diffusi, Nambi fu invitata dal fratello, la Morte, a non stare lontana dal cielo e allo stesso tempo ripresa dal padre dio Gulu perché non vi facesse ritorno. Kintu tuttavia visitò il cielo e quando ridiscese la Morte lo seguì. Gulu inviò un altro fratello di Nambi, Kaizuki, per combattere la Morte. Questi non riuscì a vincerla del tutto, ma la relegò nell'oltretomba. In un'altra versione, Kintu lasciò incustodito il sacco che Katonda gli aveva affidato, e per punizione il dio supremo inviò sulla terra morte, sofferenze e malattie.

L’abile lepre.  La Lepre è un animale che vive nella savana africana ed è la protagonista di un ciclo di fiabe. Nella mitologia africana la Lepre incarna l’astuzia ed è la maestra della furberia per eccellenza. Come  afferma Senghor nella prefazione de La Belle Histoire de Leuk-le-lièvre: «Non è un caso che noi abbiamo scelto questo personaggio. Nelle favole e nelle fiabe dell’Africa la  lepre gioca lo stesso ruolo della volpe nelle favole e nelle fiabe europee. La lepre rappresenta l'intelligenza che trionfa ovunque e sempre nelle situazioni più difficili.».

La seguente storia è raccontata da Chiara Fassina, Michael Ouedraogo e Alessandra Ferrario.

“La lepre decise di indire una grande riunione. Tutti gli animali della foresta arrivarono eccetto illeone. Dopo aver fatto tacere tutti, la lepre prese la parola:«Cari amici, la situazione è grave. Sapete tutti che c’è un solo punto d’acqua nella regione. Sapete

anche che il leone si è spostato lì vicino e ci guarda per farci diventare il suo pasto quando noiandiamo bere».

«È vero!» gemette la giraffa, «ha ammazzato mia sorella la settimana scorsa».

«È vero, è vero!» gridarono tutti gli animali, «bisogna fare qualcosa!».

La lepre fu contenta che tutti fossero d’accordo con lei, e così continuò:«Amici miei, ascoltatemi! Farò uno scherzo al nostro re per punirlo. Abbiate fiducia in me  e lasciatemi fare».

La mattina dopo, la lepre corse molto veloce verso la tana del leone gridando: «Quanto vento! Attenzione fratelli miei un grande vento arriverà fra poco. Se non volete volare via con il vento dovete legarvi ad un albero. Attenzione! Attenzione!».

«Cosa sta succedendo?» chiese il leone spaventato.

«Sta arrivando una grande tempesta che porterà via tutti!». Mentre parlava, la lepre cominciò a raccogliere delle fibre per terra.

«Cosa vuoi fare con queste fibre?» chiese il leone.

«Voglio legarmi a quest’albero per non essere portato via dal vento».

«Lega prima me» disse il leone, «se no ti ammazzo!».

La lepre incatenò con cura il suo nemico e quando ebbe finito gli disse:«Amico mio, bisogna verificare se sei ben legato. Cerca di scappare».

Il leone tirò in tutte le direzioni, ma le fibre erano solide e non si ruppero. Rassicurata, la lepre chiamò allora tutti i fratelli della savana.

«Venite tutti a bere alla riva! Il nostro re non ci può più fare del male!»

Allora tutti gli animali si precipitarono alla riva per bere. Finalmente non avrebbero più avuto paura di essere divorati durante il passaggio. Tutti sfilarono davanti al leone. La lepre camminò in testa al corteo cantando: «Ho legato il leone! Ho legato il leone!».

E tutti gli animali dietro di lei risposero in coro: «A  cosa serve la forza se non si è astuti?».

Il leone rimase legato al suo albero per tre giorni interi senza mangiare né bere e divenne, ogni giorno di più, molto arrabbiato: tutti gli animali si beffavano di lui, il re! Il terzo giorno si accorse che, davanti a lui, passavano delle termiti. Le supplicò e promise loro tanti bei regali a tal punto che accettarono di liberarlo. Si misero al lavoro e dopo qualche tempo il re della savana fu liberato. Quest’ultimo si diresse prima verso il fiume per calmare la sua sete, poi ritornò sotto il suo albero aspettando silenziosamente il passaggio degli animali.

La sera, la lepre, la giraffa, la scimmia, il cobra e tutti gli animali della savana si misero in cammino per andare a bere. Appena li vide arrivare, il leone si precipitò su di loro; per prima assalì la lepre che si mise a gridare:

«Ahi, ahi, mi hai fracassato la zampa, non posso più salvarmi! Puoi continuare la tua caccia e poitornare per raccogliere il mio cadavere». Il leone non ci pensò due volte e seguendo i consigli della lepre, continuò la sua caccia. Appena il leone si fu girato, la lepre si alzò sulle sue zampe e si nascose nella sua tana e pensò: «Stavolta ho avuto veramente paura! Meno male che il leone non è sempre così astuto!»

 

 

 

BRASILE

 

1974  (1091/5)

Leggende:

Saci Pererè.  Saci-Pererê é un personaggio del folklore brasiliano in particolar modo presso la povera gente. E’ rappresentato da un bambino o bambina che viveva nella foresta. Ha una gamba sola con fori nelle palme delle mani, fuma la pipa e indossa un berretto rosso magico che gli permette di scomparire e riapparire dove vuole. Viene considerato un fastidioso burlone in molte parti del Brasile, e una creatura potenzialmente pericoloso e dannoso in altre. E’ comunque capace di esaudire i desideri di chi riesce a intrappolarlo o rubargli il cappello magico. Tuttavia il berretto è puzzolente e la maggior parte delle persone che hanno dichiarato di averglielo rubato hanno confessato che è impossibile lavar via l'odore.
“Saci-Pererè” è anche il nome di un cocktail brasiliano composto da 1/4 tazza di cachaça e 3 cucchiai di miele .E’ che è un rimedio a casa ha detto di essere utile nel trattamento del raffreddore comune .

Zumbi. Fu l'ultimo dei capi del Quilombo dos Palmares, nell'odierno stato di Alagoas, I quilombo erano una comunità di schiavi fuggiti dalle "fazenda" e altri luoghi di prigionia del Brasile ai tempi della schiavitù.  Il 6 febbraio 1694, dopo 67 anni di resistenza contro i coloni portoghesi ed olandesi, la colonia venne distrutta dalle truppe di Domingos Jorge Velho. Zumbi sopravvisse alla battaglia e spese quasi due anni nella macchia fino al 20 novembre 1695, quando venne ucciso in un'imboscata. In Brasile il 20 novembre viene celebrata in ricordo di Zumbi la Giornata della Coscienza Nera. Nell'immaginario collettivo Zumbi  è considerato una  specie di Spartaco brasiliano.

Chico Rei.  Era il re di una tribù del Congo. Catturato e deportato in Brasile su una nave negriera con la famiglia e la corte, intorno al 1740, giunse a Villarica, antica Ouro Preto, e inviato come schiavo nelle miniere d'oro. Battezzato come Francisco e detto «chico rei» con allusione alle sue origini, sarebbe riuscito a guadagnarsi la fiducia di tutti e ad accumulare risparmi.  Si dice che riuscisse a riscattare se stesso e poi il figlio, a comprare la Mina da Encardideira, a renderla nuovamente produttiva e a ridare la libertà ai suoi ex sudditi.

Negrinho do Pastoreio.  Secondo la leggenda, era un ragazzo schiavo nero di quattordici anni, che aveva il compito di prendersi cura dei cavalli di un ricco proprietario terriero. Un giorno, il ragazzo tornò dal lavoro e fu accusato dal padrone di aver smarrito uno dei cavalli. Il contadino . dopo averlo frustato, lo rispedì alla ricerca dell’animale. Dopo ore di ricerche, non riuscì a trovarlo. Tornato alla fattoria fu nuovamente punito dall’agricoltore. Questa volta il padrone, per aumentare la punizione, lo mise nudo all'interno di un formicaio. Il giorno dopo, quando tornò per vedere che cosa era successo allo schiavo, rimase sorpreso. Il ragazzo non c’era più. Si disse che era fuggito a cavallo e si era diretto verso la costa. La leggenda vuole che fosse stato un evento miracoloso a salvare il giovane. Si disse pure che fosse stato trasformato in un angelo.

Iara.  Iara, una sirena,  viveva in un lago nascosto nella foresta.  Era molto bella cantava  strane melodie, sdraiata su di una roccia, prendendo il sole. Un indio di nome Jaguarari stava cacciando quando udì quella melodia meravigliosa che proveniva da dietro gli alberi. Nascondendosi in un cespuglio, guardò la ragazza. Ne vedeva soltanto la parte superiore, e non la cangiante coda di pesce. Rimase ad ascoltare la canzone fino ad addormentarsi estasiato. Quando si risvegliò la ragazza non c'era più. Da quella volta, iniziò a cercare la fanciulla nei villaggi vicini. Nessuno però conosceva una ragazza così bella e che cantasse melodie così meravigliose. Il giovane decise allora di tornare al lago in cui l'aveva vista, sperando di incontrarla ancora. L'indio era un ragazzo bellissimo. forte, alto, un valoroso cacciatore. Tutte le ragazze avrebbero voluto sposarsi con lui. Ma il giovane pensava soltanto alla bella sconosciuta. Un giorno vide la sirenetta che nuotava nel lago e questa volta vide anche la grande coda di pesce che emergeva dall'acqua. Il giovane non riusciva a credere che quella ragazza fosse una sirena. Non ne aveva mai vista una ma aveva sentito parlare soltanto nelle antiche leggende tramandate dai suoi antenati. Avvicinandosi, la sirena si rivolse al ragazzo e gli disse di chiamarsi Iara. Lo invitò a nuotare assieme a lei. La sirena non sapeva che il ragazzo era diverso da lei. Anche lei non aveva mai visto un uomo. Così trascinò Jaguarari sul fondo del lago. Il giovane innamorato le spiegò che avrebbe potuto morire annegato. Spaventata, Iara fuggì, scomparendo nelle acque del lago. Il povero ragazzo non ebbe più pace. Riusciva a pensare soltanto alla giovane amata. Non aveva più voglia di cacciare o di pescare, voleva soltanto rivederla. Passava giorno e notte a remare nella sua canoa nei laghi di quella immensa foresta, fino a che un giorno, in una notte di luna, la sua canoa sparì.  Dicono che Iara lo abbia portato con sé  per sempre.

 

 

1986  (1815/6) 

Fiabe: Storia dell’imperatrice porcina.

Il romanzo del pavone misterioso.

 

1994  (207/10)  

Fiabe:

Il gatto con gli stivali  (vedi  Perrault)

Joao e Maria. (vedi  Hansel e Gretel dei F.lli Grimm)

Donna Baratinha.  Donna Baratinha trovò un giorno una moneta d’oro e, considerandosi ricca, pensò di prendere marito. Si mise alla finestra, decisa di scegliere tra i passanti. Passò un bue, un gatto, un cane e un topo. Donna Baratinha scelse il topo che acettò di sposarla. Arrivata in chiesa cominciò ma attendere lo sposo... che non venne perchè, essendo ingordo, prima di presentarsi aveva pensato bene di ingozzarsi con un appetitoso cibo che stava in una pentola. Purtroppo vi cadde dentro e non poté arrivare in tempo per klmatrimonio. Donna Batatinha decise di non sposarsi più e di spendere la moneta solamente per divertirsi.

Tom Pouce    (vedi Pollicino di Perrault)

 

1996  (Foglietto 103) 

Leggende:

Cuca. Nelle leggende brasiliane, la Cuca è una persona con l'aspetto di alligatore – una strega malvagia – a cui piace trasformare i bambini in pietra. I bambini hanno molta paura della Cuca

Boitata. Ci sono due versioni della leggenda brasiliana del boitatá: alcuni dicono che si tratta di un gigantesco serpente di fuoco che vive nei fiumi e assale gli altri animali per assorbire le loro energie e la loro luce in modo da mantenere il suo fuoco nell'acqua. L'altra versione dice che è una creatura simile a un toro che sputa fuoco dalla bocca, ma che in realtà è l'anima di una persona malvagia 

Caipora  é una entità della mitologia tupi-guarani. É rappresentata come un piccolo indio dalla pelle scura, agile, nudo, che fuma e si gusta una cachaça. Abita in una foresta e regna su tutti gli animali e li difende dai cacciatori. Ha il corpo coperto dipelo.  Gli indios credevano che temesse la luce e si difendevano da lui andando di notte con una torcia accesa in mano.

 

2011 (BF) Leggende del folklore brasiliano: Curupira, Madre di Oro, Boto Dolphin , Mula senza testa.

Curupira. Nel foglietto i personaggi sono stati suddivisi  dall'artista in quattro francobolli che formano un tutto unico.  In alto a sinistra, l'immagine di Curupira che cavalca un cinghiale e sta spaventando un agente della deforestazione, rappresentato da un uomo che con una  motosega  sta segando il tronco di un l'albero.

Ecco come  Carlo Palanti, mediatore culturale del Forum per l'intercultura della Caritas, racconta la leggenda. Il curupira è un essere con i capelli rossi, il corpo peloso, i denti verdi e brillanti ed i piedi girati all’indietro. E’ un folletto brasiliano. Sarebbe una creatura orribile se non fosse buono. Protegge gli animali della foresta dai cacciatori malvagi che uccidono i cuccioli. Tollera soltanto coloro cacciano per necessità. Grida, fischia, imita il verso degli animali per confondere gli uomini che lo seguono fino a farli perdere per sempre nella foresta.

Il curupira incontrò un giorno  un cacciatore indio che dormiva nella foresta. Poiché la creatura aveva molta fame, decise di mangiare il cuore dell’uomo, che sembrava appetitoso. L’indio si svegliò spaventato ma finse di non avere paura. Come se si trattasse di una cosa naturale, il Curupira chiese all’uomo un pezzo del suo cuore. L’indio, molto furbo, chiese al Curupira di chiudere gli occhi ed estrasse da una bisaccia il cuore di una scimmia. Il Curupira se lo mangiò, gli piacque e ne chiese dell’altro. Il cacciatore, accortosi dell’ingenuità dell’altro, chiese in cambio un pezzo di cuore del folletto.

Avendo visto che l’indio non aveva sofferto per nulla ed essendo certo di aver mangiato proprio il suo cuore, il Curupira, che non era poi molto furbo, si infilò da solo un coltello nel petto e cadde a terra morto. L’indio fuggì correndo e giurò di non tornare mai più nella foresta.

Era trascorso un anno da quell’episodio, quando Jacira, la figlia dell’indio che era molto vanitosa, chiese al padre una collana diversa da tutte le altre.

Il cacciatore si ricordò allora che il Curupira aveva denti verdi e brillanti come smeraldi. Tornò quindi nella foresta e trovò nello stesso punto lo scheletro ricoperto dalla vegetazione. Quando però il cacciatore cercò di togliergli i denti, il Curupira tornò in vita ricomponendosi per magia. La brutta creatura ringraziò l’uomo per averlo fatto resuscitare e decise di dargli 

una ricompensa per la buona azione regalandogli  un arco con delle frecce magiche. Sarebbe bastato mirare ad un uccello o ad un altro animale qualsiasi e non avrebbe mai mancato il bersaglio. Lo avvisò, però, che se avesse mirato ad un gruppo di animali, sarebbe stato ucciso da essi. L’indio divenne il più grande cacciatore di tutti i tempi. Un giorno, però, scordandosi l’avvertimento del Curupira, scagliò una freccia contro uno stormo di uccelli solo per vedere se riusciva a colpirne più di uno in un solo tiro, pavoneggiandosi con gli amici. Un uccello venne ucciso ma tutti gli altri lo attaccarono. Il povero indio venne ridotto a brandelli; la testa da una parte, le gambe dall’altra…Il Curupira, che aveva visto tutta la scena, si impietosì e riunì il corpo dell’indio con una cera miracolosa e avvisò l’uomo che quella era l’ultima volte che avrebbe potuto aiutarlo. Ma dato che c’è sempre una controindicazione, consigliò all’uomo di non bere o mangiare mai niente di bollente, altrimenti si sarebbe sciolto per sempre.

Un giorno, la moglie dell’indio gli servì una pietanza talmente appetitosa che il golosone la divorò in un attimo, mentre era ancora bollente. Si sciolse completamente.

Mãe-do-ouro (Madre-di-oro) rappresentata nel francobollo emerge dall'acqua con una palla di fuoco nelle sue mani per attirare l’attenzione di un cercatore d'oro.  La Mae de ouro è presente  sottoforma di una   palla di fuoco che vaga in prossimità di depositi auriferi. Una variante del mito afferma che questa palla diventa una bella donna, bionda, che riflette la luce del sole, ha un vestito di seta bianco e  vola attraverso l'aria.

Altre leggende sono invece legate ad una credenza secondo la quale in tempi antichi  era abitudine seppellire l’oro. Le anime di chi non rivelava (in vita) il posto esatto del tesoro erano destinate a vagare eternamente per il Mondo.

Un’altra leggenda  sostiene che si tratta di una donna che aiuta i minatori a trovare l'oro, quando  non riescono a trovarlo dfa soli. Ad essi impone però una condizione: non deve rivelare a nessuno la posizione della miniera.

Boto Dolphin. Boto, nome dato ai delfini della regione Amazzonica. Sono gli unici mammiferi acquatici (di color rosa)  dell’Amazonia. La leggenda narra che all’imbrunire, i botos si trasformano
in uomini belli, alti, forti, bravi ballerini e bevitori. Incredibili seduttori, frequentano i balli
delle tribù ed ingannano le ragazze portandole fino ai margini dei fiumi mettendole incinta.
All’alba tornano in acqua dove recuperano la loro reale forma. È comune nel nord del Brasile l’espressione 'filho de boto' (figlio di boto) per definire i figli senza padre. La donna quando ha le mestruazioni non può viaggiare in canoa, perché il boto la persegue e
nel caso in cui dovesse cadere in acqua potrebbe stuprarla . Vi  sono bambini che all’anagrafe sono stati registrati come “filho de boto”. Dicono che quando vi sono naufragi il boto cerca sempre di salvare i naufragati. Secondo una delle tante versioni, aiuta solo le donne per difendere il suo territorio. Gli organi sessuali del boto maschio e femmina sono molto utilizzati in stregonerie fatte per conquistare l’amato/a. Viene anche usato l’occhio di boto che è considerato l’amuleto più efficace nell’arte dell’amare. Dicono che bisogna stare attenti quando se ne possiede uno perché il solo guardarlo ha un effetto fulminante… può far pazzamente innamorare anche persone dello stesso sesso…

Nel francobollo in basso a sinistra, vi é la figura di un boto e di una giovane donna incinta.

 La Mula senza testa (mula sem cabeça) è un personaggio di folklore brasiliano. Nella maggior parte dei racconti, è il fantasma di una donna maledetta da Dio per i suoi peccati:  essere stata una concubina, aver  fornicato con un prete in una chiesa.  La sua pena consiste nell’erre  tramutata in un mulo senza testa che attraverso la campagna dal tramonto del Giovedì all'alba del Venerdì Santo. Il mito ha diverse variazioni riguardanti il peccato che ha trasformato la donna maledetta nel mostro: necrofagia, infanticidio, il sacrilegio contro la chiesa, la prostituzione, ecc

Si ritiene che il  mito abbia una origine medievale e che sia stato portato in Brasile nei primi anni dell'epoca coloniale (16 ° secolo o più tardi).

Il racconto è più popolare negli stati di Goiás , Minas Gerais e Mato Grosso , ma è  ben conosciuto in tutto il paese. L'aspetto della Mula varia notevolmente da regione a regione. Il suo colore è più comune è il viola, a volte anche il nero con una croce bianca sul petto. Ha gli zoccoli d’argento (o di ferro) che producono un orribile suono mentre galoppa.

Pur essendo senza testa, la Mula nitrisce ancora (di solito molto forte), e qualche volta geme come una donna che piange. Essa ha anche un freno legato alla sua bocca non esistente, e sputa fuoco attraverso le sue inesistenti narici (o, in alcune versioni, dalla sua mozzata collo ).

Secondo la maggior parte dei rapporti, la Mula è condannato a galoppare sul territorio di sette parrocchie ogni notte (proprio come la versione brasiliana del lupo mannaro ). Secondo alcuni, il suo viaggio inizia e termina presso la parrocchia dove è stato commesso il peccato.

La maledizione della Mula senza testa non può essere trasmessa (a differenza del vampiro) perché si è acquisita a seguito di un peccato commesso volontariamente dalla donna maledetta.

 La trasformazione può essere temporaneamente invertita, in un modo incruento, con la puntura di un ago o legandola ad una croce. Nel primo caso, la trasformazione sarà impedito mentre il benefattore è vivo e vive nella stessa parrocchia in cui la sua impresa è stata compiuta. Nel secondo caso la donna rimarrà in forma umana finché il sole splende, ma trasformerà nuovamente al tramonto successiva.

La rimozione della maledizione è un grande sollievo per la donna, perché la maledizione include molte dure prove. Nel momento della rimozione la Mula riprende la sua forma umana, completamente nuda, sudata e ‘profumata’ di zolfo.

C'è un  racconto popolare in cui la maledizione cade sul sacerdote che ha peccato. In questa storia, il prete fantasma cavalca per tutta la notte,  come il Cavaliere senza testa di Washington Irving nella  Leggenda di Sleepy Hollow.

Il francobollo illustra una vicenda in cui  una Mula-semcabeça sarebbe stata la donna-amante di un sacerdote, rappresentato da un uomo in una chiesa.

 

 

2012 Miti e leggende: Guaranà.  Manioca

Il guaranà è una pianta sempreverde, originaria della foresta amazzonica del Brasile. La morfologia delle drupe rosso fuoco che contengono un seme scuro, parzialmente immerso in una polpa bianca, che ricorda un occhio umano, è legata alla leggenda. Si  narra che una coppia di indios senza figli rivolsero una preghiera al dio Tupa affinché donasse loro un bambino. Una volta nato, il dio degli inferi, geloso della bellezza e della forza del bambino, lo uccise. La giovane madre, mentre lo stava piangendo, ricevette un segno dal dioTupa  il quale indicava che  avrebbe dovuto seppellire i magnifici occhi neri del bimbo per far sì che potesse germogliare una nuova, bellissima pianta dalle proprietà eccellenti. Quando la pianta cominciò a produrre frutti questi, al momento dell’apertura sembravano gli occhi neri di un uomo.

Un’altra leggenda narra la storia di Cereaporanga, una ragazza dall’aspetto e dall’animo gentile,  protetta dalla dea della bellezza e della vita. Un giorno Cereapopranga incontrò un valoroso guerriero di una tribù nemica e si innamorò di lui. Il loro amore avrebbe potuto superare tutto, ma i due innamorati non sarebbero mai riusciti a far cessare l’odio che esisteva da anni tra le due tribù; così decisero di fuggire insieme per essere felici. Durante il tragitto Cereaporanga incontrò un’anaconda ferita e, nonostante il pericolo, il suo dolce cuore la spinse ad aiutarla; la curò per giorni con tutto il suo affetto, ma non sapeva che questo gesto le sarebbe stato fatale.

A causa di questa sosta, i guerrieri della sua tribù  si avvicinarono sempre più. Accortasi di essere inseguita e certa che il suo uomo sarebbe stato catturato e ucciso, stabilì un patto di amore e di morte; chiese al grosso serpente di stringerli, con tutta la sua forza, nel loro ultimo abbraccio. Gli indios, vedendo i due innamorati nel loro ultimo gesto, si disperarono per la morte della loro protetta. Chiesero subito aiuto alla dea della bellezza e della vita affinché almeno lo spirito della donna non li abbandonasse; così la dea, commossa dal gesto di Cereaporanga, fece nascere dai suoi occhi una pianta i cui frutti sembrano, all’aprirsi, due splendidi occhi neri; proprio come quelli della fanciulla.

Il guaranà è sempre stato considerato dagli indios come elisir di lunga vita; la sua importanza era alta in tutte le varie tribù, dato che forniva loro cibo e mezzi per curare le malattie.

Manioca. E’ una pianta della famiglia delle Euphorbicaceae, originaria del Sudamerica e dell’Africa subsahariana. Tipico cibo degli abitanti originari del Brasile, è tutt’ora utilizzata in cucina e rappresenta una fonte importante di carboidrati. Per queste caratteristiche veniva chiamata anche pao-de-pobre (pane dei poveri). Ad essa sono legate leggende.

 In un villaggio brasiliano viveva un capo tribù che attendeva con trepidazione la nascita del figlio che avrebbe preso la posizione di cacicco. Purtroppo i suoi desideri non furono esauditi perché, al posto di un bambino nacque una bambina che fu chiamata Manì.

Il capo tribù, triste e arrabbiato, non riversò, mai sulla bimba alcun affetto. Durante la sua crescita la umiliò, la contraddisse, la spinse al punto che la fanciulla si sentì inutile e intristì.  Così un giorno decise di farla finita e disse a sua madre che voleva essere sepolta nella sua “0ca” (casa degli indios). La madre la scongiurò di non farlo ma la figlia la convinse  dicendo che col suo gesto avrebbe offerto un regalo non solo ai suoi genitori, ma all’intera tribù. Alla fine sua madre eseguì il desiderio della piccola Manì, che venne sepolta nella sua oca.

Passarono gli anni e un giorno la madre di Manì si accorge che dove era stata sepolta la bambina stava crescendo una strana pianta. La madre cominciò a scavare per sradicarla. Trovò le radici. Erano coperte da una buccia molto aspra – proprio come il padre di Manì – ma sotto a questa buccia c’èra una polpa bianchissima – come la purezza di Manì.

Allora la madre di Manì riunì la tribù e fece assaggiare a tutti la radice, che venne apprezzata perché dava forza e vigore. Ed è così che da quel giorno tutti cominciarono a coltivare e a mangiare la manioca.

 

 

BULGARIA

 

1961  (1093/8)  Fiabe: 

La figlia d’oro.

 

L’acqua della vita.  (F.lli Grimm). 

 

La mela  d’oro.  E' un elemento che in alcune fiabe, miti o leggende compare anche nei racconti fantastici della letteratura nordica. Generalmente si tratta di un eroe che deve recuperare una mela d'oro da un personaggio negativo come un drago o un altro mostro oppuir di un pegno da donare a un vincitore di qualche particolare prova. In una fiaba si  racconta che  Macienka, principessa bellissima, non voleva saperne di sposarsi. Alle richieste matrimoniali che le facevano i più nobili, i più ricchi, i più potenti personaggi della terra, rispondeva con un diniego.

Il re suo padre perdette la pazienza. E un giorno che aveva rifiutato il monarca di un regno vicino, le parlò con severità:

- Non sei più una bimba. L'ora delle nozze, per te, è giunta. Fra tre giorni, qui nella reggia, si riuniranno mille giovani:  Re, principi, duchi. Potrai scegliere. Eccoti una mela d'oro. L'offrirai al pretendente che più ti garba. E questi diventerà il tuo sposo.

Macienka non osò manifestare il suo dissenso. Ma corse subito in giardino e, senza essere vista, gettò la mela in una vasca.l Nel giorno fissato per la grande scelta, quando il padre si recò ad annunziarle che i mille pretendenti l'aspettavano nel salone degli smeraldi, la fanciulla confessò di non aver più ormai la mela d'oro.

- Possibile che tu abbia perduto la mela magica? Solo con la mela tra le mani avresti capito quale degli aristocratici giovani avrebbe potuto amarti, quale renderti felice!

Macienka capì di aver commesso una sciocchezza enorme.

- Padre mio, la mela d'oro devo averla perduta in giardino. Ora vado a cercarla.

- Ma i tuoi pretendenti aspettano.

- Avranno pazienza.

La fanciulla raggiunse la vasca, sedette sul bianco parapetto.

Incominciò a lamentarsi: Povera me! Dovrò scegliere uno sposo a casaccio e commetterò, senza dubbio, un enorme sbaglio. Mela, piccola mela d'oro, ritorna a galla. Tu puoi guidarmi, illuminarmi, spingermi verso la felicità.

Le acque si agitarono, un pesce verde raggiunse, con un guizzo, il grembo della principessa e vi depose la mela d'oro.

- La mela l'hai lanciata a me, dunque sposerai me.

- Sposarti? - s'indignò la ragazza. - Sposare una bestia? E' follia.

- Mi sposerai. E saprò renderti felice.

Il pesce si rituffò in acqua e Macienka, con la mela d'oro, si recò nel salone degli smeraldi. Guardò a uno a uno i giovani che vi stavano raccolti, ma non sapeva decidersi a far la scelta. Finalmente sussultò. Era entrato nella stanza un giovane pallido, vestito di velluto nero, che portava un bizzarro cappello verde a forma di pesce. La fanciulla, seguendo un impulso subitaneo, gli lanciò la mela. E subito venne proclamato il suo fidanzamento col misterioso personaggio. Il quale era il potentissimo re di un gran reame. Una strega maligna l'aveva trasformato in pesce e gettato nella vasca, in cui lo aveva raggiunto, liberandolo dal malvagio incantesimo; la mela d'oro. Con lui, che oltre a esser sapientissimo e bello aveva animo nobile e cuor tenero, Macienka visse molti e molti anni in perfetta felicità. (da Internet)

 

Krali Marko e Samovila Vila. 

Krali Marko è stato per secoli uno dei personaggi più popolari del folklore
bulgaro. Secondo le leggende locali, la madre di Marko era la sorella del Voivoda bulgaro Momchil, che governò i territori dei monti Rodopi. Alla nascita di Krali Marko, tre fate predissero che sarebbe diventato un eroe e avrebbe sostituito il re. Quando il re Volkasin udì la predizione gettò nel fiume il figlio, chiuso in un cesto, per sbarazzarsi di lui. Ma una Samodiva di nome Vila, trovato Marko, lo adottò e lo allattò. Il bimbo dal latte materno acquisì poteri soprannaturali. Diventato adulto combatté contro i turchi. Aveva un cavallo alato, chiamato Sharkolia e una sorellastra - Gyura Samodiva. Le leggende bulgari incorporano frammenti importanti della mitologia delle credenze pagane, anche se l'epopea di Marko fu creata più tardi. I canti epici e le canzoni su Krali Marko occupano un posto centrale nell’epopea bulgara.
Marko Krali viene presentato nelle leggende in molti modi: come un gigante che camminava sulla cima delle colline, con la testa tra le nuvole . Di lui si racconta che aiutasse Dio a plasmare la Terra in tempi antichi; nell’aver creato la gola del fiume di Demir Kapija con un colpo di sciabola; nell’aver prosciugato il mare che copriva le regioni di Bitola, Mariovo, e Tikveš in Macedonia, permettendo così alle popolazioni di occuparle. Si racconta che dopo la creazione della Terra Dio lo abbia punito per la sua arroganza togliendogli tutte le forze. Dio le racchiuse in un sacco che pose ai9 suoi e quando Marko cercò di sollevarlo per riprendersele non vi riuscì e divenne un uomo comune.
Secondo una tradizioni popolare non è mai morto, ma vive in una grotta, in un paese sconosciuto. In un episodio della sua leggenda si narra che Marko combatté in una battaglia così cruenta che finì per nuotare nel sangue dei guerrieri e dei cavalli uccisi.

Tom lo gnomo.


Tom lo gnomo

1964  (1241/6) 

Fiabe:

La signorina. 

 

Il guanto del nonno. 

 

  Il lupo e i sette capretti  (vedi F.lli Grimm).

 

 Pietro il furbo. 

La pagnottella.

La grossa rapa.

Un nonno con la barba bianca provò da solo a cavar fuori una rapa nel suo orto. La prese con le due mani, si sforzò molto, ansimò e si affaticò, ma la rapa non si mosse. Il nonno chiamò la nonna. La nonna Mika accorse e si afferrò al nonno per aiutarlo. I due si sforzarono molto per tirar fuori la rapa, ma essa non si mosse. La nonna chiamò la nipote. La piccola Iglika arrivò di corsa e si afferrò a sua volta alla nonna. I tre tentarono con tutte le loro forze di togliere la rapa, ma inutilmente. La nipote chiamò il cane Sciarko.Sciarko si attaccò forte a Iglika. I quattro provarono ancora, ma senza nessun risultato. Sciarko chiamò la gatta Maza. Maza accorse dalla cantina e si attaccò alla coda di Sciarko. I cinque insieme fecero un altro tentativo per estrarre la rapa, ma tutto fu invano. Alla fine Maza chiamò la topolina Grisana. Grisana prese Maza per la coda. Tutti quanti insieme si sforzarono, ansimarono, tirarono e alla fine riuscirono a estrarre la rapa e la portarono a casa. Lì tutti quanti fecero un banchetto con la rapa. Mangiarono tre giorni, cantarono e si divertirono. La stessa leggenda si trova pure in Ungheria.

1978 (2378) Betsabea. Betsabea (in ebraico, che significa "settima figlia" o "figlia del giuramento") fu dapprima la moglie di Uria l'Ittita e più tardi del re Davide, al quale partorì due figli, il secondo dei quali fu Salomone. La Bibbia parla di lei soprattutto nel Secondo libro di Samuele e nel Primo libro dei Re.

Narrano le Sacre Scritture che un giorno il re Davide, passeggiando sulla terrazza del suo palazzo, vede Betsabea che sta facendo il bagno. Anche se era a conoscenza che essa è moglie di Uria, uno dei suoi soldati attualmente impegnato in guerra, Davide si invaghì di lei, la invitò a casa sua ed ebbe una relazione con lei. Betsabea rimase incinta ed informò della cosa il re. Davide richiamò il marito dalla guerra perché egli dormisse con la propria moglie, ma Uria si rifiutò di dormire a casa propria. Il re comandò allora al suo generale di sferrare un attacco e di mettere in testa alle sue truppe proprio Uria. Il comandante ubbidì e morì durante l’attacco. Così Davide restò libero di prendere in moglie Betsabea.

A questo punto intervenne il profeta Natan, inviato da Dio, che rimproverò Davide per il peccato commesso nel provocare la morte di Uria per poter prendere in moglie Betsabea. Davide si pentì del male fatto e chiese perdono a Dio. Dio perdonò Davide anche se il figlio che nacque dalla relazione con Betsabea morì dopo pochi giorni. Dopo questo figlio, morto prematuramente, dalla relazione tra Davide e Betsabea, nacque un secondo figlio, Salomone[. Questi diventò il figlio prediletto di Davide e gli succederà sul trono.

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BURUNDI

1977 (733)  Fiaba inglese: Jean uccisore di giganti. Alice nel paese delle meraviglie (vedi  Carrol Lewis).

Tre teste nel pozzo.  Il re di Colchester aveva una bellissima figlia. Dopo la morte della moglie decise di darle una matrigna e si risposò con una donna brutta e deforme la quale aveva una figlia più brutta di lei. La figlia non poteva sopportare le angherie della matrigna e della sorellastra per questo chiese al padre di lasciarla partire. Quello acconsentì e le disse di  farsi dare dalla matrigna tutto ciò di cui avesse avuto bisogno per il viaggio. La fanciulla si recò dalla regina, che le dette un misero sacchetto di tela con del pane annerito e del formaggio secco, con una bottiglia di birra. La ragazza accettò e poi  partì. Sebbene ciò fosse una ben misera dote per una principessa, lei la prese ringraziando, poi iniziò il suo cammino, attraversando boschi e valli.

Camminò finché  non vide un vecchio uomo seduto su una grossa pietra, vicino ad una grotta e con lui divise le provviste ricavandone in cambio un bastone magico e alcuni accorgimenti per evitare cattivi incontri. Trovò, infatti, una siepe impenetrabile, che si aprì sotto il tocco del suo bastone. Poco dopo si fermò vicino ad un pozzo e vide sulla superficie dell’acqua emergere la testa di un uomo che le chiese di pettinarlo. Lei eseguì sorridendo.  Poco dopo ne emerse una seconda e poi una terza che le chiesero di essere pettinate. La fanciulla eseguì. Le tre teste le fecero ognuna un dono: una voce incantevole per cantare; la bellezza per conquistare e la terza testa le disse che avrebbe sposato un principe.  Strada facendo si imbatté in un principe e nella sua corte. Il giovane se ne innamorò, le chiese di sposarlo e quando seppe che la donzella era la figlia del re di Colchester ordinò che alcune carrozze venissero preparate perché voleva andare a far visita al futuro suocero. La carrozza su cui il procedevano fu riccamente adornata di gemme e d'oro. Il re, suo padre, in principio si stupì molto nel vedere tutta la fortuna capitata alla figlia, la quale gli narrò cosa era accaduto. La sorellastra brutta chiese anche lei al patrigno di lasciarla partire perché voleva anche lei i doni ricevuti dalla sorellastra. Senonché la sua indole malevola e villana la spinse ma fare il contrario di quanto la sorellastra aveva fatto e, invece di ricevere gli stessi doni, ottenne un volto sfigurato dalla lebbra, una voce da cornacchia e la predizione  che avrebbe sposato un ciabattino. E  così fu. Solo che il calzolaio, uomo di buon cuore, riuscì con rimedi miracolosi a ridonare al suo volto una certa grazia  a patto che lo sposasse. Ritornarono anche loro a Colchester

Quando la regina vide che la figlia aveva sposato solo un povero calzolaio, si impiccò dalla rabbia.
La morte della regina rese il re assai soddisfatto, che, felice di essersi sbarazzato di lei così in fretta, donò al calzolaio un centinaio di sterline, perché lasciasse la corte con la sua signora e andasse ad abitare in una regione lontana del regno, dove i due vissero per molti anni lui riparando scarpe, lei a tessere il filo per lui.

I racconti di mia madre l’oca (vedi Perrault)

 

 

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