Capitolo quarto
LA STORIOGRAFIA PROPRIAMENTE ROMANTICA M.me DE STAEL
1) La signora de Stael. 2) Superamento dello schema classico e ripresa degli studi medievali in M.me de Stael. 3) De L’Allemagne. 4) Il romanticismo nell’opera della Stael.
1) La Signora de Stael
Seguendo l’evoluzione e le successive trasformazioni dello schema letterario classico, siamo giunti in quegli anni, fine Settecento e inizio dell’Ottocento, in cui la storia erudita cede il posto ad una nuova e speciale storiografia, quella detta sociologica o extra-estetica. Tale storiografia si forma proprio in quegli anni e sotto la sua protezione si vengono a poco a poco delineando ed elaborando tutti quegli schemi letterari che domineranno durante tutto l’Ottocento e anche dopo. Lo svolgersi delle lettere si divise allora in due cicli. La poesia venne divisa in spontanea e riflessa, barbarica o addottrinata e quando tali confronti e tali divisioni vennero poste in causa si cercò di stabilire una gerarchia di gradi tra queste forme e, rivolgendosi ora all’una ora all’altra, si parlò spesso di perfezione e di regresso. Prendendo in considerazione tale storiografia e guardando agli schemi che essa è venuta elaborando “non solo se ne ravvisa il merito e il contenuto positivo e durevole, ma quel merito appare così grande, quel contenuto così prezioso che si è tratti a celebrare l’età in cui essa sorse come l’età in cui fu addirittura creata la storia letteraria e artistica, dalla quale noi, venuti dopo, possiamo bensì essere accrescitori e riformatori ma non più creatori e fondatori. Creatori furono Vico, Herder, Winkelmann e Schiller, Chateaubriand e la Signora de Stael, Schlegel, Hegel e altri filosofi e storici del periodo romantico e protoromantico. Con costoro le opere di poesia e di arte cessarono, si può dire per la prima volta, di formare mero oggetto di raccolte erudite ed antiquarie e si cominciò a risentirle e concepirle come viventi valori spirituali e ciascuna in relazione al tempo e con la società in cui nacque”. (1) Mme de Stael, secondo il giudizio di Croce, è tra coloro che concepirono la letteratura non più come qualcosa di statico, come materia sottoposta a regole rigide, fisse ed immutabili ma come un qualcosa di vivo e vitale. Una singolare natura ed un forte carattere hanno permesso a Mme de Stael di dare ai suoi contemporanei nuove idee e nuove teorie. Il Settecento ha influito molto profondamente sul secolo seguente e nella Stael si vede chiaramente l’intensità di questo influsso. La Rivoluzione ha lasciato in lei l’odio per l’oppressione e per il dispotismo ed ha acentuato il bisogno di individualità, la rivolta contro tutte le oppressioni e i limiti. Mme de Stael è la figlia di Voltaire ed appartiene a quel XVIII secolo tutto Ragione e Mondanità. Ciò che però la Stael ha saputo scegliere, capire e ha saputo portare più in alto che non il XVIII secolo, è stato lo spirito cosmopolita. A differenza dei francesi per i quali “le cosmopolitisme n’est qu’une prétention de réduire toute l’humanité à leur forme” (2), Mme de Stael giunge a porre in stretto contatto l’Italia, la Francia, l’Inghilterra, la Germania e con lei si ha un approfondimento di quegli studi di letteratura comparata che acquisteranno sempre più importanza nell’Ottocento, e si ha la creazione di una vera letteratura cosmopolita. Un altro punto essenziale da tener presente per comprendere l’opera della Stael – ce lo fa notare Lanson (3) – è che la Stael è una scrittrice quasi totalmente priva di una natura artistica. E’ incapace di esprimere i suoi sentimenti, le sue emozioni come materia d’arte ma a controbilanciare ciò si ha quello spirito razionacinativo del Settecento, che in lei è ancora molto forte, il quale la spinge ad analizzare, indagare, annotare con cura tutte le sue idee. Il concetto settecentesco di progresso a cui la scrittrice si sente ancora legata, sposta nel corso della sua opera, a poco a poco i suoi termini e finisce col risolversi in un espediente polemico che alla Stael serve per proclamare ciò che più le sta a cuore: l’avvento di una poesia che svincolandosi da tutte le antiche norme, non ubbidisce che a se stessa. Non più la compiuta armonia delle forme classiche compare come ideale supremo e ragion d’essere della poesia, ma l’indagare, l’analizzare, l’esprimere – qualunque essa sia bene o male – la verità della vita. E in seguito a tale modo di sentire e di intendere la Stael, nelle sue opere letterarie, pone i principi di un nuovo gusto. Il titolo stesso della sua opera De la littérature considerée dans ses rapports avec les institutions sociales (1800) annuncia un concetto grandioso, l’associazione della storia letteraria alla storia generale dell’umanità Era questo un campo ancora vergine e in questo campo ha dovuto addentrarsi la Stael per giungere a dimostrare il suo fine: la perfezione – che si può anche chiamare progresso – dello spirito umano in ogni suo campo. Che essa non voglia fare opera polemica con scrittori di storie letterarie anteriori lo dimostra il passo che si legge nella prefazione: “Il esiste dans la langue française, sur l’art d’écrire et sur les principes du goüt, des traités qui ne laissent rien à désirer; mais il me semble que l’on a pas ancore considéré comment les facultés humaines se sont graduellement développés par les ouvrages illustrés, en tout genre, qui ont été composés depuis Homère jusqu’à nos jours...” (4). Il suo fine era quello di unificare i diversi piani in cui l’opera si divide e ricondurli tutti al principio filosofico del progresso e della perfettibilità umana. Uno dei piani è quello di fondare una letteratura repubblicana la quale attinga la sua forza dalla libertà. Ma ciò che più conta è che la libertà non sia sola ma sia accompagnata e sorretta dal progresso letterario (5), perché solo così può raggiungere la perfezione: e il modo è chiaramente descritto dalla Stael: “il ny a que des écrits bien fait qui puissent à la longue diriger et modifier des certaines habitudes nationales” (6), e poco oltre: “ c’est par le progrés de la littérature qu’on peut combattre efficacement les vieux préjugés” (7).
Sempre all’idea di progresso è ricondotto un secondo piano dell’opera quello in cui la Stael tenta di fare una rassegna di tutte le letterature. Ed è proprio con questo schema che si ha una brusca rottura con la tradizione. L’intento della Stael non era quello di proporre una nuova poetica (“Voltaire, Marmontel, La Harpe ne laissent rien à désirer à cet égard”), bensì di esaminare i rapporti tra letteratura ed istituzioni sociali d’ogni secolo e d’ogni paese, “et ce travail n’avait été encore fait dans aucun livre connu”, Uno dei pregi del libro sta proprio in questo fatto, nell’aver tentato una indagine in un mondo non ancora esplorato e di aver cercato di liberarsi, anche se parzialmente, dalla tradizione classicheggiante che ancora compenetrava di sé tutti gli spiriti. Mme de Stael aveva capito che la letteratura antica non bastava più e che un suo risveglio era impossibile e così pure era impossibile una ripresa di vigore perché essa era troppo dipesa da costumi che una aristocrazia che era andata sparendo con la morte di Luigi XIV. La letteratura è progresso: e seguendo questa idea la Stael si sentiva portata a dimostrare che la letteratura del suo tempo era superiore. L’epoca di Napoleone non era però così fertile di grandi nomi come lo era stata l’epoca di un Luigi XIV e da ciò deriva la quasi completa mancanza di confronti tra scrittori delle due epoche nell’opera staeliana. Ciò che però viene grandemente accentuato sono le nuove condizioni createsi nelle quali la letteratura potrebbe trovare cause di rinnovellamento. Oltre a ciò i frequenti viaggi per l’Europa, letture ecc. portano la Stael a contatto di altre bellezze diverse da quelle classiche e lo studio di queste, l’insistere, ad esempio, tanto su Shakespeare, sullo spirito tedesco, vuole essere nell’opera staeliana la dimostrazione che esistono altre forme letterarie e che si può quindi ammettere che la letteratura repubblicana, nella quale la Stael aveva riposto tutte le sue speranze, può creare nuove opere e nuovi capolavori. Se poi ciò che doveva accadere non è accaduto, poco male; l’importante è che l’armonia delle forme classiche ha cessato di essere l’ideale supremo, la ragion d’essere della poesia e il merito di ciò va ai nuovi sentimenti, ad una nuova facoltà di introspezione, ad un pronto entusiasmo che sostituisce per la prima volta i dogmi, le regole, gli impedimenti precedenti, ad un intelligente orientamento verso le letterature straniere. E tutto ciò, anche se confusamente, la Stael lo intuì. Il contatto con altre letterature la portò a comprendere quale sia stato l’elemento che impedì alla letteratura del suo tempo di pervenire ad una condizione di bellezza letteraria. Il Cristianesimo era la difficoltà in cui si imbatteva la letteratura francese. Essa si trovava in una condizione svantaggiosa da quando si era imposta forme e regole delle opere antiche e pagane. La divisione fra le letterature del Nord e del Mezzogiorno che la Stael ha dato nella sua opera De la littérature deriva appunto dal Cristianesimo (Cristianesimo qui considerato non come dogma ma come fenomeno, come movimento storico); e tale divisione dovuta ad un fatto storico, è confermata anche geograficamente in quanto diversi sono i caratteri che contraddistinguono le letterature del Nord da quelli che contraddistinguono le letterature del Sud. L’uomo del Nord vive una vita interiore assai più ricca che non quella dell’uomo del Mezzogiorno e il Cristianesimo è nel primo sentito assai più profondamente. Le bellezze della natura sono quelle che più attraggono l’uomo del Sud e da ciò ne deriva un Cristianesimo esteriore e paganeggiante. “L’image de la fraicheur, des bois touffus, des ruisseaux limpides” (8) hanno poca presa sulla fantasia della Stael le cui impressioni e idee la “portent de préfèrence vers la littérature du Nord (9); ciò che a lei piace è “l’imagination du Nord, celle qui plait sur le borde de la mer, au bruit des vents, dans les bruyères sauvage; celle enfin qui porte vers l’avenir, vers un autre monde l’ âme fatiguée de sa destinée”. (10) Un altro tema che traspare nel De Littérature è la considerazione che in arte non esiste la bellezza assoluta. Ogni letteratura deve necessariamente accordarsi alle istituzioni del paese in cui essa si svolge e ogni letteratura è l’espressione di un’epoca e da ciò quindi risulta falso sostenere che gli antichi abbiano conosciuto l’uomo meglio del Medioevo e dei Moderni. Il passato ci può servire per una sola cosa, per esaminare, spiegare, illuminare il presente. Siè detto che ogni letteratura è legata alle istituzioni del paese in cui essa si svolge, ed è proprio da ciò che nasce un contrasto con l’ideale classico precedente; infatti, con tale idea la Stael viene a sostituire all’ideale unitario precedente una pluralità di ideali, tanti quanti sono i popoli. La tirannia delle regole è respinta. Con tutto ciò la Stael non si emancipa completamente dal classicismo ma sempre un po’ classica rimane in fondo all’animo, e anche se è all’avanguardia del nuovo movimento, il Romanticismo, tende ancora a considerare che la “la poesie est de tous les arts celle qui appartient de plus prés à la raison” (11), ed inoltre in certi punti della sua opera si avverte il conflitto interno, si sente come l’influenza classica, la grandezza di un Luigi XIV, la trattenga dallo scatenare tutte le forze del Romanticismo e la spinga, ad esempio, a scrivere che il Werhter di Goethe “est un livre qui rappelle à la vertu la nécessité de la raison” (12) e pagine dopo: “ Werther a produit plus des mauvais imitateurs qu’aucun autre chef d’oeuvres de la littérature” (13). Il classicismo è solo un ostacolo che frena nuove idee ma che non può interromperne il corso. Nel libro De la littérature le idee staelliane non si svolgono in un quadro ordinato e preciso e in molti punti si notano inesattezze: Ha osservato un critico: “Le premier accident qui arrive au lecteurs De la littérature, c’est qu’il perd la notions du temps” (14). Per la Stael esiste infatti il passato e il presente “le Midi et le Nord”, e tutti gli autori sono classificati e considerati in base a questi due punti. L’indagine critica poi è poco approfondita tanto che in pochi e brevi capitoli si passa in rassegna tutta quanta la letteratura greca e romana; e inoltre la conclusione tratta dai suddetti capitoli è assai curiosa in quanto l’antichità e la sua letteratura vengono considerate un’epoca giovane, amabile, bella, ma con tutti i difetti che la gioventù comporta. Ed ecco che così si possono giustificare frasi come questa:”Les Romains sont supérieur aux Grecs dans la carrière de la pensée; mais combien toutefois dans cette même carrière ne sont-il pas au dessous des modernes!” (15). Avviene in Mme de Stael quel rovesciamento dello schema seicentesco di cui abbiamo scritto altrove, rovesciamento che veniva a considerare gli antichi un popolo giovane, una civiltà agli inizi, mentre i più maturi di mente erano i contemporanei della Stael, gente che aveva ereditato secoli di civiltà. L’indagine della Stael passa, dopo la breve parentesi sull’antichità, a considerare la letteratura italiana e quella spagnola. Che lo studio sia superficiale e incompleto lo si nota subito, ed oltre a ciò risulta anche evidente come tutti gli strali che la Stael scaglia contro le nazioni del Sud servano a mettere maggiormente in evidenza i meriti del Nord. Prima di passare a trattare della letteratura tedesca, la Stael si sofferma a considerare quella inglese e la sua indagine su Shakespeare risulta una buona critica. I pregi, i difetti dello scrittore sono colti con una certa acutezza e sono sviluppati seguendo ogni nuovo sentimento che la Stael incontra leggendo le opere shakespeariane. Unico difetto è che la Stael ha considerato l’opera del commediografo in rapporto alla società, al mondo in cui compose le sue opere, senza tener presente che il poeta riviveva interamente i problemi delle sue commedie e che di conseguenza molte cose che sembrano errate non lo sono se guardate da questo punto di vista. Ma la critica era solo agli inizi e alla Stael non si può attribuire gran colpa se ha errato in qualche giudizio. Anche la letteratura tedesca viene esaminata assai rapidamente. Il carattere dei tedeschi è qui solo abbozzato e solamentre nel De l’Allemagne se ne avrà uno studio maggiormente approfondito. La Stael si sofferma assai su Werther, opera che per lei, nonostante i difetti, rappresenta tutta la letteratura tedesca. Per ciò che riguarda la letteratura francese, la Stael tiene sempre presente il giudizio del XVIII secolo e cioè che il secolo di Luigi XIV dal punto di vista filosofico “est trés inferieur... au siecle suivant”, e inoltre non ne comprende l’intimo significato in quanto non vede nella letteratura seicentesca che “le plaisir de l’esprit”, libri privi di questioni importanti e uomini relegati lontano dagli interessi attivi della vita (16). Ciò che , invece, per la Stael, tale secolo ha di eccellente è la purezza dello stile che “ne peut aller plus loin que dans les chefs-d’oeuvre du siècle de Louis XIV” e i capolavori che sono degni di essere considerati “les modèles de la littérature française” in ogni tempo a venire. La letteratura del XVIII secolo ha grande importanza e, secondo la Stael, è la sola che possa dare frutti sicuri a patto però che non agisca furtivamente come in passato ma alla luce del sole e con l’approvazione dell’autorità. “Il faut à toutes les carrières un avenir lumineux vers le quel l’ame s’élance; il faut aux guerriers la gloire, aux penseurs la liberté, aux hommes sensibles un Dieu. Il ne faut point étouffer ces mouvements d’enthusiasme, il ne faut rabaisser aucun genre d’exaltation; le legislateur doit se proposer pour but de réunir ce qui est bien dans une carrière à ce qui est bien ancore dans un’autre, de contenir la liberté par la vertu, l’ambition par la gloire. Il doit diriger les lumières par le raisonnement, soummetre le raisonnement a l’humanité, et ressembler dans un même foyer tous ce que la nature a de forces utiles, des facultés efficaces...(17). La Sttael veniva qui a sostenere tutto il contrario di ciò che quattordici anni prima aveva detto un italiano, Alfieri, pur tendendo allo stesso fine. Nella sua opera Del principe e delle lettere, Alfieri si schierava contro il mecenatismo affermando che esso ostacolava, anziché giovare, la libertà delle lettere ed inoltre il principe aveva ufficio di tiranno mentre le letterature hanno lo scopo di insegnar la libertà. Si sente in queste due tesi opposte l’urgenza di problemi universali e la Stael, come abbiamo visto, li aveva risolti con l’unire i letterati al legislatore affinché venisse salvaguardata la libertà al popolo. Guardando ora a tutto l’insieme dell’opera, vediamo come in essa vi siano alcune idee che si dimostreranno, nell’Ottocento, molto feconde. Le sue idee sulle letterature nordiche segnano l’ingresso di queste nuove letterature nella cultura francese e avranno un grande influsso ed una notevole importanza nella formazione del Romanticismo. Un’altra delle sue idee ampiamente trattata è quella del clima e della sua influenza sulla natura dei popoli (18); ma tale linea non è nuova in quanto, prima di lei, l’aveva trattata Montesquieu nel suo Esprit de lois (19) ed ancor prima l’abbé Dubos. L’importanza dell’opera staeliana sta quindi nell’aver espresso idee nuove e nell’averne ampliato altre e “se il suo entusiasmo per la cultura straniera non è sempre molto illuminato è però ricco e fecondo; il suo atteggiamento di fronte alla cultura è vivo e nuovo e questo spiega le reazioni che l’opera suscitò al suo apparire; alla discussione partecipò tra gli altri anche Chateaubriand che per quanto additasse la Littérature come un “mèlange singulier de verité et d’erreurs” con una lettera al “Mercure” richiamò sull’opera l’attenzione del pubblico” (20).
2) Superamento dello schema classico e ripresa degli studi medievali in M.me de Stael.
Prima di passare ad esaminare l’altra importante opera della Stael, conviene soffermarci su quanto ancora di classico si nota in De la littérature e su un altro punto importante dell’opera: l’incremento dato agli studi medievali. Lo schema dell’opera De la littèrature non perde affatto di vista, nel suo svolgersi, l’opera di Voltaire Le siècle de Louis XIV e ciò lo si nota già nella prefazione. Lo schema classico aveva ancora larga presa sulle idee della Stael tanto che divisione nei quattro grandi periodi classici, che s’era tramandata sino a Voltaire, viene da lei ripresa; e, seguendo le direttive letterarie a cui Voltaire accenna, la Stael svolge così la sua tesi. Pone all’inizio dell’opera una analisi morale e filosofica della letteratura greca e latina; fa seguire alcune riflessioni sulle invasioni dei popoli barbari, sullo stabilizzarsi della religione cristiana e sul risorgere della letteratura; oltre a ciò dà un rapido sguardo alle maggiori letterature europee fino all’epoca dei lumi. Le tappe più luminose nel cammino delle lettere e delle scienze sono esattamente quelle volterriane. Innanzitutto assai sviluppata è quella parte che riguarda la tragedia e la commedia dell’età di Pericle. Dopo ciò, nel sesto capitolo, la Stael sviluppa questa idea: “Della letteratura latina sotto il regno di Augusto” dove rileva alcuni rapporti tra questo secolo e quello di Luigi XIV e dove Le Siècle de Louis XIV – è considerato – le plus remarquable de tous en littérature...” La Stael però, pur seguendo lo schema di Voltaire aggiunge alcune considerazioni, alcune idee che preannunciano qualcosa di nuovo, una critica nuova e già il titolo del libro La letteratura considerata nei suoi rapporti con le istituzioni sociali è saturo di promesse. Per la Stael non c’è bellezza assoluta e ogni letteratura deve accordarsi alle istituzioni del paese in cui è nata, ogni letteratura è l’espressione del suo tempo e non è affatto vero che gli antichi abbiano meglio compreso l’uomo che non il Medievo o i Moderni. Tra le varie età non vi può essere alcun paragone; la frase di Perrault “Possiamo paragonare, senza tema di essere ingiusti, il secolo di Luigi al bel secolo di Augusto” suona falsa alle orecchie della Stael. La parificazione tra età auree è dunque esclusa perché, altrimenti non si realizzerebbero i progressi dello spirito umano. La schema della prima parte del De la littérature altro non è che una preparazione alla seconda. La letteratura per eccellenza, quella con l’iniziale maiuscola, deve nell’intenzione della scrittrice essere erede di tutte di tutte le precedenti. La progressività dello spirito, come ha fatto i Romani superiori ai Greci, Luigi XIV ad Augusto, dovrebbe anche fare il XVIII secolo superiore al XVII – questo per la legge del progresso – ma la Stael, dopo l’enunciazione di questa tesi, trova che i fatti sono invece contrari, che i fatti la smentiscono. La letteratura del Settecento, a parte la filosofia, non può competere col secolo del Re Sole e la scrittrice si trova costretta ad ammettere, contro ogni sua fede nel progresso: “J’ai suivi l’histoire de l’esprit humain depuis Homére jusqu’ai 1789. Dans mon orgueil national je regardai l’époque de la Revolution de la France comme à une ère nouvelle pour le monde intellectuel. Peut être l’empire d’anciennes habitudes ne permet-il pas que cette évenement puisse amener de longtemps ni une istitution féconde ni un resultat philosophique...” Ma siccome questo stato di cose perdura, la Stael è costretta a ripiegare dalla sua primitiva tesi (per quel che riguarda la sua epoca) e porre la sua fiducia in secoli futuri e anche in nazioni future “dussent elles ne trouver leur application que dans un autres pays aù dans un autre siécle”. (21) Si è visto come la Stael abbia preso e superato in una visione superiore lo schema classico di Voltaire, dobbiamo ora vedere come aggiunga un punto importante all’evoluzione dello schema storiografico, punto che fu la grande conquista dell’Ottocento e cioè la rivalutazione di tutti i secoli medievali. La Stael non riabilitò il Medioevo in seguito a studi profondi ma le sue deduizioni sono un logico corollario delle premesse. Per lei la letteratura è dominata e guidata dell’idea di progresso e perciò è impossibile che vi sia stato un periodo oscuro che va da Augusto a Luigi XIV. “On compte dans l’histoire plus de dix siècles pendant lesquels l’on croit généralement que l’esprit humain a rétrogradé. Ce serait une forte objection contre le système de progression dans les lumières, qu’un si long cour d’années, qu’une portion si considérable des temps qui nous sont connus, pendant lesquels le grand oeuvre de la perfectibilité sembleroit avoir reculé; mais cette objection, que je regarderais comme toute-puissante si elle été fonde, peut se refuter d’une manière simple. Je ne pense pas que l’espèce humaine ait retrogradé pendant cette époque; je croi au contraire que des pas immenses ont été fait dans le cours de ces dix siècles, et pout la propagation des lumières, et pour le développement des facultés intellectuelle” (22); e oltre a ciò, pur parlando di difetti a cui il medioevo andò soggetto, dice: “Neanmoins tous ces defauts avaient eu leur utlité; et l’on aperçoit, à la renaissance des lettres, que les siècles appelés barbares ont servì, comme les autres, d’abord à la civilisation d’un plus grand nombre de peuples, puis au perfectionnement même de l’espèrit humain. Si l’on ne considère cette époque de la renaissance des lettres... l’on trouvera sans doute que prés de seize-cent ans ont été perdu” (23). Finalmente la Stael offre un nuovo spunto ed apre la strada verso più larghi orizzonti allo schema storiografico che s’era tramandato sino ad allora. Se anche le sue idee rimangono allo stato di idee e la scrittrice non pensa minimamente ad illustrarle, a sostenerle con fatti ed esempi, con una indagine accurata su quei secoli che riabilitava, tuttavia dobbiamo a lei il metodo di aver finalmente reagito a quello schema storiografico che tentava di escludere il Medioevo dalla storiografia considerandolo un’epoca di barbarie. La Harpe aveva cercato di svincolarsi ma, “fils de Voltaire” come diceva di voler essere chiamato, il Settecento lo aveva tenuto stretto: Mme de Stael si era invece sciolta da ogni vincolo illuministico e si può ben affermare che dovranno passare da quella breccia da lei aperta, tutti coloro che vorranno intraprendere studi e indagini verso quelle epoche.
3) De L’Allemagne
L’altra opera della Stael, composta una diecina di anni più tardi, è l’opera della maturità, “è – scrive M. Ruini – più che un libro; è un fatto storico per l’influenza che ha esercitato”(24). De l’Allemagne si divide in quattro parti e solo la seconda interessa dal punto di vista letterario. La prima parte si riferisce alla nazione e ai costumi: La Stael descrive il paese e parla del carattere del popolo, che descrive come sentimentale e dolce, come un popolo composto di musici, di poeti e filosofi. La sua indagine si sofferma poi sullo spirito di cavalleria e sulla sua influenza sui sentimenti del popolo. Nella seconda parte la Stael definisce quello che è lo spirito tedesco e parla dei maggiori scrittori presentando i loro drammi, esaminando, alla luce della nuova teoria romantica, le loro opere. La terza parte contiene uno studio della filosofia tedesca messa a confronto con quella francese e inglese; si ha inoltre il tentativo di mettere in evidenza l’influenza della filosofia sullo sviluppo dello spirito, sulla letteratura, sulle arti, sulle scienze e sul carattere stesso dei tedeschi. Si hanno alcuni profili di filosofi ma essi sono brevi, sommari e poco incisivi. La materia infatti della terza parte implicava una capacità di giudizio critico che la Stael non possedeeva. L’ultima parte tratta della religione e dell’entusiasmo. Il misticismo del popolo tedesco, il sentimento dell’infinito sono i punti che la Stael ama mettere maggiormente in rilievo e molte pagine sono dedicate all’entusiasmo che, secondo lei, è necessario al benessere, all’ispirazione letteraria, alla creazione artistica. Ed è in quest’ultima parte che si ha il trionfo del sentimento, trionfo che tanto esalta la Stael da spingerla a scrivere quel brano “qui à exité le plus de indignation à la police contre mon livre” (25), dove si legge: “O France, terre de gloire et d’amour si l’enthousiasme un jour s’éteignait sur votre sol, si le calcul disposait de tout et que le raisonnement seul inspirât même le mépris des perils, à quoi vous serviraient votre beau ciel, vos esprits si brillants, votre nature si féconde? Une intelligence active, une impetuosité savante vous rendraient les maitres du monde; mais vous n’y lasseraiez que la trace des torrents de sable, terribile comme les flots, arides comme le desert”. (26) Si è detto che De l’Allemagne è l’opera della maturità della Stael e i fatti attestano la veridicità dell’affermazione. Nelle prime opere letterarie della scrittrice, l’abbiamo vista indecisa, abbiamo avvertito quale importanza ebbe per lei il razionalismo settecentesco e qual era la sua fede nel secolo dei lumi. La si è sentita esitare nei suoi giudizi. In Corinna, ad esempio, la Stael esamina l’anima italiana, la religione, quel cristianesimo che Chateaubriand le fece meglio capire e amare; ma si sente pure che la scrittrice è ancora attaccata all’antichità classica, e che se deve rifugiarsi in qualche posto è tra le rovine di Pompei o vicino alla tomba di Adriano che lo cerca. E’ ancora una figlia dei Romani che parla e se anche predica il Romanticismo, i contatti con i classici non sono stati tolti del tutto e non lo sarannol mai. Durante il soggiorno a Coppet le idee della Stael si rafforzano e si completano e, durante i suoi viaggi, venendo a contatto col misticismo tedesco, con filosofi che considerano il sentimento come il fatto primo dell’anima, ecco che “de la doctrine rationelle et de la perfectibilité indéfinie, elle est arrivées à l’exaltation des puissances irrationelles de l’ âme. Et ici ancore, elle annonce et elle prépare la psicologie romantique” (27). Oltreché preparare la psicologia romantica, la Stael dà ai letterati francesi consigli assai utili. In una sua indagne critica, ad esempio, propone lo studio del teatro. La regola delle tre unità non è accettata dall’autrice. “Si nous voulions gouter – scrive nel De l’Allemagne (28) - le plaisir d’avoir un théatre historique..., comment serait-il possible de se conformer rigouresement, d’une part, au trois unités et d’autre, au genre de pompe dont on se fait une lois dans nos tragédies?”. Sì, le regole servono e sono l’itinerario che il genio deve percorrere – scrive in un altro punto (29) - ma se si può raggiungere lo stesso fine con altri mezzi, “pourquoi chicaner sur la route?”. Siamo quindi in completa rivolta ed è alle idee, che tale rivolta fa nascere, che deriva la forma e si decide sulle intenzioni del dramma romantico. Il fine dell’opera staeliana è che ogni popolo deve offrire al vicino (30) la nota che lo caratterizza e che quello non potrebbe cogliere da solo in quanto: “le climat, l’aspect de la nature, la langue, le gouvernement, enfin surtout les événements historiques... contribuent à ces diversités”. E per fare un esempio, sempre riferendoci al teatro, possiamo citare il passo del De l’Allemagne dove è scritto: “En faisant connnaitre un Théatre fondé sur des principes très différent des nôtre, je ne prétends assurément ni que ces principes soient les meilleurs, ni surtout qu’on doive les adopter en France: mais des combinaisons étrangères peuvent exciter des idées nouvelles”, e dato che la letteratura francese è minacciata da una sterilità ma ha forze bastevoli per poter raggiungere una affermazione in qualsiasi campo si cimenti, credo – conclude la Stael – che non deve “guère couter à des français... suivre un semblable conseil”. (31) E tale consiglio risultò buono ed efficace come lo si può dedurre dalla ripresa del teatro durante il periodo romantico.
4) Il romanticismo nell’opera della Stael
Nello studiare le due maggiori opere della Stael, si è finora tralasciato di prendere in considerazione il nuovo ideale che la scrittrice è venuta ad introdurre nella letteratura francese e l’opposizione che nel IX capitolo del libro De l’Allemagne ella fa tra i due termini “classico e romantico” Per meglio cogliere in Mme de Stael l’opposizione tra classico e romantico, bisogna rifarsi alla sua divisione della letteratura europea in due parti distinte: la letteratura del Midi e quella del Nord. Nel 1800 quando la Stael scriveva la sua opera De la littérature, non si parlava ancora in Francia di Romanticismo, almeno usando quel termine, perché esso non aveva ancora incontrato il favore che incontrerà dieci anni dopo. Le idee, però, che stavano alla base dei due movimenti si erano già formate e si stavano affermando presso i migliori critici. La Stael ha avuto il grande merito di aver intuito la divisione che è poi avvenuta nella letteratura, di aver intuito cioè l’esistenza di un nuovo ideale che veniva ad affiancarsi a quello classico e la cui possibilità di dare un forte incremento allo sviluppo letterario era maggiore che non quella classica, oramai esauritasi nel suo schema di imitazione. “Les grecs, les latins, les italiens, les espagnols, les français du siècle de Louis XIV, appartiennent au genre de littérature... du Midi. Les ouvrages anglais, les ouvrages allemands et quelques écrit des danois et des Suedois doivent être classés dans la littérature du Nord...”(32). Classicismo e Nord (o più tardi romanticismo), hanno qui il loro limite ben definito e le differenze sono assai profonde. Innanzitutto è falso che i popoli mediterranei siano più passionali di quelli del Nord; il clima eccita non la mente bensì il corpo mentre “c’est la fixité qui produit les miracles de la passion et de la volontè” (33) e la contemplazione è una prerogativa dei popoli del Nord. Oltre a ciò la poesia del Nord è per la Stael assai più consona allo spirito di un popolo libero. Era superfluo che la Stael scrivesse: “toutes mes impressions, toutes mes idées me portent de préference vers la littérature du Nord” (34), perché bastava guardare al tono con cui erano fatti i paragoni tra Nord e Midi per capire come la Stael la pensasse.
Mme de Stael con le sue idee viene a sostituire, anzi a costituire per la prima volta un insieme di argomenti poetici che tolgono la poesia da quel quadro statico, immobile, incapace di vita che era stato quello dell’Art Poétique di Boileau. Boileau, a giudizio della Stael, con la tirannia delle sue regole ha dato all “ésprit français” uno sviluppo assai sfavorevole (35). Non ha fatto altro che descrivere ciò che deve essere evitato e ciò che invece bisogna scegliere; ha introdotto in letteratura una specie di pedanteria assai nociva al libero slancio estetico. Se da questo lato si deve essere d’accordo con la Stael, si deve anche tener conto che le leggi sono la guida migliore in ogni campo e tutta quanta la dottrina di Boileau non ha da essere tacciata di falsa ma di limitata e se errore vi è in Boileau questo è dovuto all’aver egli voluto dare, con troppa accuratezza e con estrema precisione, canoni letterari e nell’aver fatto tacciare, con la sua dottrina, di antipoetico ogni scrittore che non si fosse attenuto ad essi. La suddivisione in Letteratura del Nord e Letteratura del Midi, che s’era venuta formando e aveva preso corpo nel De la littèrature, viene ripresa dieci anni dopo durante la composizione del libro De l’Allemagne e viene caratterizzata dai due vocaboli che tanta fortuna ebbero nell’Ottocento: classico e romantico. “Le nom de romantique a été introduit nouvellement en Allemagne, pour designer la poésie dont les chants des troubadours ont été l’origine, celle qui est née de la chevalerie et du Christianisme. Si l’on n’admet pas que le paganisme et le Christianisme, le Nord et le Midi, l’antiquité et le moyen Age, la Chevalerie et les institutions grecques et romanes, se sont partagé l’empire de la littérature, l’on ne parviendra jamais à juger sous un point de vue philosophique le gout antique et le gout moderne” (36). L’unica osservazione che forse si può muovere a questo passo è che la Stael ha racchiuso in termini troppo ristretti l’origine del movimento romantico; s’è infatti limitata a designare con la parola “romantique” la poesia “de la chevalerie et du Christianisme” e “les chants des troubadours”. Il confronto poi delle due correnti si muta in una opposizione di antichità e Medioevo; la Stael ha qui involontariamente confuso Medioevo con Romanticismo, ma si deve notare che il suo Medioevo, i caratteri che ella gli attribuisce non appartengono più ai secoli intorno al Mille e, se nemmeno appartengono totalmente all’Ottocento romantico vero e proprio, si deve però convenire che si avvicinano molto di più a quest’ultimo. L’opposizione presso la Stael tra classico e romantico viene a definirsi chiaramente nel seguente passo: “la littérature romantique est la seule qui soit susceptible ancore d’être perfectionnée parce que ayant ses racines dans notre propre sol, elle est la seule qui puisse croitre et se vivifier de nouveau; elle éxprime notre religion; elle rappelle notre histoire; son origine est anciènne, mais non antique” (37). Nell’opera della Stael si deve inoltre tener conto dell’avvertimento che la scrittrice dà ai romantici ed è questo: evitare d’alzare “la grande muraille de la Chine” tra la letteratura francese e le letterature esterne, e quest’altro che è ancor più importante, perché va contro lo schema classico e perché è completamente ed interamente accettato dai romantici, fare che la poesia sia alla portata di tutti (38). E in ciò appunto peccava la letteratura classica francese, in quanto essa essendo non “une littérature indigéne... mais une littérature transplantée” si espandeva solo verso qualche erudito ma rimaneva sconosciuta a tutta la nazione in quanto la bellezza, le arti della nazione stessa poca influenza avevano su di essa. E seguendo l’insegnamento della Stael verrà proprio in quegli anni una schiera di poeti e scrittori ad ovviare a questa mancanza. A riguardare ora tutto quanto il lavoro della Stael si sente come le sue formule siano semplici e generali, ma a sua discolpa si può dire che ancora oggi si discute su molte di tali formule senza peraltro giungere ad una soluzione definitiva. L’opera staeliana è l’esempio della coesistenza di due ideali, il classico e il romantico, e mentre alcuni punti delle sue opere sono pieni di quella foga, di quelle immaginazioni, di quelle immagini suggestive che sono care ai Romantici, altri invece sono caratterizzati da quella chiarezza, da quelle definizioni esatte che fanno parte del gusto classico. E la sua espressione mentale – scrive Pellegrini – è tipicamente francese, mentre il fondo del suo animo è impregnato di calvinismo e romanticismo.
NOTE 1) Croce, Nuovi saggi di estetica, op. cit., p. 163. 1) G.Lanson, Histoire de la littérature française, Paris, Hachette, 1945, p. 876. 2) G.Lanson. ibidem, p. 877. 3) M.me de Stael, De la littérature, Bruxelles, lib. Hautmann et C., 1830, p 19. 4) “Les progrés de la littérature... sont nécessaires à l’établissement et à la conservation de la liberté”. (De la littérature, Discours préliminaire, op.cit., p.32. 5) M.me de Stael, De la littérature, op. cit., p. 33. 6) M.me de Stael, ibidem, p. 33. 7) Mme de Stael, De la littérature, op. cit. p. 181. 8) Mme de Stael, ibidem, p. 181. 9) Mme de Stael, ibidem, p.181 10) Mme de Stael. ibidem, p. 36 11) Mme de Stael, ibidem, p.246 12) Mme de Stael, ibidem, p.247 13) Glass D. Larg, Mme de Stael: la vie dans l’oeuvre, Pasris, 1924, p. 207. 14) Mne de Stael, De la littérature, op. cit., p. 112. 15) Mme de Stael, ibidem, p. 266. 16) Mme de Stael, ibidem, p. 415. 18) "Le climat est certainement l’une des raisons principales des differences qui existenyt entre les images qui plaisent dans le Nord, et celle qu’on aime à se rappeler dans le Midi. Les reveries des poétes peuvent enfanter des objects extraordinaires; mais les impressions d’habitude se retrouvent nécessairement dans tout ce que l’on compose”. (De la littérature, p: 181). 19) Montesquieu, L’esprit des lois, libro XIV, cap. II. 20) C. Pellegrini, Storia della letteratura francese, op. cit. , p. 313 21) Mme de Stael, De la littérature, op.cit,, p. 285. 22) Mme de Stael, ibidem, p. 131. 23) Mme de Stael, ibidem. P. 147 2 seg. Aperta, tutti coloro che vorranno intraprendere studi e indagini verso quelle epoche. 24) M.Ruini, La Signora di Stael, Bari, Laterza, 1931, p. 105. 25) Mme de Stael, De l’Allemagne, Paris, Garnier F., 1874. 26) Mme de Stael, De l’Allemagne, op. cit., p. 618, 27) J.Bedier et Paul Hazard, Histoire de la littérature française, op cit, tomo II, p. 190. 28) M.me de Stael, De l’Allemagne , op. cit. p.195. 29) M.me de Stael, ibidem, p. 200. 30) ”Les nations doivent se servir de guide les unes aux autres, et toutes auraient tort de se priver des lumières qu’elles peuvent mutuellement se prêter”. (De l’Allemagne, op. cit., p. 39) 31) Mme de Stael, De l’Allemagne, op. cit., p. 202. 32) ibidem, p. 180 33) ibidem, p. 182 34) ibidem, p. 181 35) ibidem, p. 190. 35 )ibidem, p. 192. 36) ibidem, p. 196. 37) Anche Sismondi espresse un’idea simile quando a proposito della Divina commedia venne a dichiarare che nel Purgatorio l’interesse diminuisce a causa delle disquisizioni filosofiche che Dante inserisce e che non sono alla portata di tutti, per cessare totalmente nel Paradiso in quanto “le surnaturel qu’il nous présente resemble à nos rêves les plus vagues”. (Litterérature du Midi de l’Europe, Tomo I, p.238.)
FRANçOIS-AUGUSTE DE CHATEAUBRIAND
1) Chateaubriand e la sua opera letteraria. 2) Schema classico romantico in Chateaubriand.
1)Chateaubriand e la sua opera letteraria.
Accanto alla Stael precorritrice del Romanticismo francese si deve porre un altro scrittore: Chateaubriand. Quello che di tutta l’opera dello scrittore interessa a questa tesi sono le sue idee letterarie, il suo contributo alla nuova critica e la sua influenza sui Romantici. Con Chateaubriand si può chiudere la lunga contesa tra Moderni e Antichi che aveva avuto un clamoroso inizio nel 1687 con la lettura all’Academie Française del poema Le siècle de Louis XIV di Perrault. Tale polemica, agli inizi di carattere letterario, aveva, alla fine del Settecento, assunto un carattere filosofico (presente nell’opera della Stael) e con Chateaubriand era passata nel campo religioso. La tesi sostenuta da Chateaubriand si basava sulla considerazione che dalla fondazione della Pléiade, nella letteratura francese aveva avuto una grande influenza la mitologia pagana la quale aveva ininterrottamente dominato sino a tutto il Settecento. Tutta la letteratura classica si era di conseguenza astenuta dall’affrontare la storia e la religione nazionale (1) ammirando, invece, e imitando l’antichità. Dobbiamo A Chateaubriand se ai primi dell’Ottocento si cominciò ad intravvedere la convenzionalità, la retorica, l’insincerità di quel culto e se vennero allargate le frontiere della critica quando a fianco dell’ideale antico egli pose l’ideale cristiano facendone vedere la ricchezza, e l’interesse. Il disegno della sua opera, nota A.Maurois (2) – era quello di riconciliare religione e progresso. Il Cristianesimo e la Monarchia erano stati da lungo tempo corrotti dall’assolutismo, e l’uno e l’altra, dopo la Rivoluzione, stavano, infine, per comprendere i benefici della libertà. Chateaubriand stava qui facendo - continua Maurois – della filosofia della storia troppo ottimista a riguardo della quale si sarebbero potute fare obiezioni gravi, ma era anche impossibile non ammirare il prodigioso lavoro che aveva fatto l’autore e la grandezza del suo disegno che era di riattaccare la Francia e l’Europa alle loro origini cristiane. E per dare alla religione la possibilità di comprendere la libertà e di giovarsene, cerca di liberarla da ogni influsso, da ogni ingerenza settecentesca. Tutta la sua poetica, tutte le sue idee letterarie hanno alla radice un identico astio, quello per il XVIII secolo. Il settecento letterario per Chateaubriand è negazione, è un secolo che non ha conosciuto la grandezza e non può quindi tramandarla. La sua repulsione per tale secolo è facilmente spiegabile e comprensibile. La Pléiade ha introdotto il costume di imitare l’antichità, facendo di conseguenza una letteratura non nazionale e non religiosa. Il Seicento, cambiando notevolmente lo schema letterario della Pléiade, ha però lasciato immutato il punto riguardante l’imitazione e la religione. Il Settecento poi ha ripreso, ha imitato servilmente il Seicento e qui sta, per Chateaubriand l’errore del Settecento, nell’aver cioè imitato gli imitatori, il che è troppo. Il difetto del Settecento sta anche in gran parte nel suo sistema filosofico. Chateaubriand, dopo aver esaminato nella terza parte della sua opera alcuni fra i maggiori scrittori settecenteschi trae questa conclusione: “Les écrivains du XVIII siècle doivent la plupart de leurs défauts à un système trompeur de philosophie, et qu’en étant plus religieux ils eussent approché davantage de la perfection” (3). E’ l’empietà che rende nel Settecento tutto sterile ed è l’empietà che produce un “avortement général des talents”; i grandi uomini dell’età classica dall’aspetto nobile e dal linguaggio puro, sono scomparsi e nel Settecento non vi sono che dei ”petits hommes inconnus” che passeggiano “comme pygmées dous les hautes portiques des monuments d’un autre âge”. Ed è a causa del loro egoismo che sono diventati tali, e il disprezzo che hanno avuto per Dio li ha portati a perdere ogni nobiltà, ogni purezza di linguaggio “ons les prendroit, non pour les fils mais pour les baladins de la grande race qui les a précedées” (4). Contro il Settevcento quindi era volta la maggior parte delle accuse del critico. Col suo Génie du Christianime ha voluto dimostrare che la Francia aveva bisogno di una letteratura nazionale, moderna e basata non su una religione pagana, ché pagani erano gli antichi, ma cristiana. Le Génie du Christiamnisme, preso in considerazione dal punto di vista di queste idee letterarie, segnava l’avvento di una nuova epoca e preannunciava la letteratura moderna. Una nuova fonte di ispirazione veniva offerta agli scrittori, una fonte affine ma profondamente diversa, per quel che riguarda il contenuto, da quella classica. I classici hanno cantato delle ninfe, hanno parlato e celebrato della Francia “avec respecte et avec une magnifique opinion” ed hanno infine parlato di se stessi. La nuova ispirazione consiste quindi nel rifare ciò che hanno fatto mi classici, ma nel mutare il contenuto; e al posto degli dei e delle ninfe si porrà Dio e gli Angeli, al posto di cantare la Francia in astratto si faranno opere nazionali e, in ultimo, per esprimere se stessi si scriveranno quelle poesie elegiache e liriche dove i sentimenti puri del cuore si manifestino completamente. Tali idee di Chateaubriand si dimostraro al loro apparire, nuove, feconde e straordinarie. Il ridare al Medioevo un valore, il rifiutare al classicismo la mitologia perché rimpiccioliva la natura e lo scoprire una natura più grande, più patetica, più bella da porre al posto della natura classica era portare un duro colpo al classicismo ed era un rimpiazzare, con questi nuovi temi di ispirazione, la descrizione dei costumi dei salotti e la versificazione di tutte le nozioni tecniche che il Settecento aveva fatto. Chateaubriand in parte fu incoraggiato nella composizione della sua opera dal lavoro della Stael. Se pensiamo che il De la littérature fu pubblicato solo due anni prima del Génie du Christianisme , possiamo dedurne che Chateaubriand si sentì incoraggiato dalle profonde vedute della ginevrina. Se anche di quest’opera Chateaubriand scrive che è “un singulier mélange de verité et d’erreurs” tuttavia egli deve aver letto con piacere e con profitto il capitolo in cui la Stael nota i profondi servigi che il Cristianesimo ha reso ai barbari, all’impero Romano, all’unione del Nord e Sud, all’abolizione della schiavitù, alla conoscenza più intima e delicata del cuore umano. E deve anche averlo interessato quel concetto che riabilitava il Medioevo contro il concetto settecentesco, volterriano che ne voleva fare un’epoca votata all’oblio e completamente perduta per l’educazione dell’umanità. Per passare ora a parlare dell’influenza che l’opera di Chateaubriand ebbe sui contemporanei occorrerà rifarci ad alcune pagine di Saint-Beuve. “Chateaubriand –scrive nelle Causeries du lundi – est le premier écrivain d’imagination qui ouvre le XIX siècles; à ce titre, il reste jusqu’ici le plus original de tous ceux qui ont suivi, et je le crois, le plus grand. c’est de lui que viennent comme de leur source les beautés et le défauts que nous retrouvons partout autour de nous et chez ceux même que nous admirons les plus; il a ouvert la double porte par ou sont entrés en foule les bon set les mauvain songe” (5). Il successo del Génie fu alla sua pubblicazione straordinario e tutta la gioventù se ne ispirò tanto che si ebbe tutta una milizia “de jeunes chretiens de salon”. Le Gènie du Christianisme produit mieux que celà, mais il a produit aussi cette forme de travers: il a crée une mode litteraire en religion”(6). Durante il secolo d’oro la religione non era considerata come un qualcosa distinto dalla vita, ma ogni scrittore vi si ispirava semplicemente sia per quel che riguardava l’opera sia per quel che riguardava la vita. Il Settecento la rinnegò completamente e la combatté apertamente. Durante i primi anni dell’Ottocento” ont c’est mis à y revenir mais en la considérant comme un monument qu’on voyait se dresser devant soi” (7). La religione divenne religione di immaginazione, “de tête” più che di cuore. Da ciò quindi il rimprovero di Sainte-Beuve. Le Génie fu allo stesso tempo utile e dannoso: utile perché contribuì a ristabilire il rispetto per il cristianesimo, considerato socialmente e politicamente; dannoso in quanto la religione divenne un qualchecosa di brillante, di superficiale, un qualchecosa di letterario assai lontano dal cuore umano. Ma ciò che importa e la considerazione dell’opera in base alle idee letterarie; e letterariamente parlando, la seconda e la terza parte (La Poétique du Chrisianisme” e quella intitolata “Beaux art et litérature” sono delle pietre miliari che segnano una data nella storia della critica francese: aprono nuovi aspetti e prospettive che diverranno la strada maestra su cui si incamminerà la critica ottocentesca. Il gusto per il Medioevo, per la grande arte gotica nasce appunto dalle opere di Chateaubriand e si riverserà in quel culto che i Romantici avranno per tale arte. I Romantici hanno poi ricavato dalla sua opera un individualismo che prima loro mancava e il personaggio romantico tormentato, complesso, cupo per il suo destino, deriva dai suoi personaggi. Si può dire che Chateaubriand abbia introdotto in letteratura speciali situazioni psicologiche come la noia, la tristezza, la malinconia, il pessimismo che fanno parte dell’opera di un Lamartine, di un De Musset o di un De Vigny. Una differenza che ancora si può notare tra lui e la Stael (8), è che egli non ebbe la nitidezza delle idee della ginevrina; le sue idee pur essendo più vaste erano anche più confuse. “Il y avait plus d’harmonie entre ses idées et son temperement; elles n’en étaient que le reflex. Il les sentait avant de les penser, au lieu que Mme de Stael pensait plus qu’elle ne sentait. Aussi fit-il des oeuvres plus claires, plus complètes, plus exprewssives que sa théorie”.
2) Schema classico e schema romantico in Chateaubriand.
E’ logico pensare, qualora si prenda in considerazione il periodo in cui Chateaubriand scrisse la sua opera, che il suo schema letterario avrebbe dovuto seguire quello di Voltaire o di un La Harpe o almeno scostarsene di poco. Lodi numerose e talvolta esagerate avevano fatto La Harpe e altri del XVIII secolo e persino la stessa Mme de Stael aveva cercato di fare del Settecento l’epoca in cui lo spirito umano aveva raggiunto il suo apice (pur avendo dovuto nella conclusione ripiegare su questa tesi). Chateaubriand, più deciso, seguendo le sue inclinazioni, le sue idee personali s’era scostato completamente da un tale schema in quanto aveva visto nel Settecento una testa di Medusa e aveva quindi cercato di non guardarlo affatto. Nell’ “Essais sur les Revolutions ancienne set moldernes” la sua idea comincia a delinearsi, non quella religiosa, anzi il Cristianesimo viene in parte criticato, ma quella storica e politica. Tesi dell’opera è che la Rivoluzione dello spirito verso forme elevate, è tutto una chimera. La conclusione rimane poi sospesa su un interrogativo. Quale sarà l’avvenire? Quale sarà la religione che rimpiazzerà il Cristianesimo? Non certo la Dea Ragione. Ma l’interrogativo rimane solo poco tempo per Chateaubriand. Tutto teso alla ricerca del Bello lo scopre proprio nella religione cristiana e ne diventa il cantore: “ma folie à moi – dice in una lettera a Mme de Fontanes – est de voir Jésus Christ partout, comme Mme de Stael la perfecrtibilité. (9). Dall’esame della critica di Chateaubriamnndi possiamo detrarre quello che è il suo schema storiografico; e anticipando la conclusione si arriva a dedurre che il classicismo non è più per Chateaubriand lo schema letterario per eccellenza e la sua durata di oltre duecentocinquanta anni non lo impressiona affatto; oltre a ciò si ha una decisa presa di polsizione contro l’illuminismo e le sue idee e, per finire, quel Medioevo così disprezzato dal Settecento, ritenuto confuso il Seicento, passato sotto silenzio dal Cinquecento, riprendeva il uo posto nella storia nazionale. Il XVIII secolo per il critico è la negazione completa della poesia e non ha affatto raggiunto quelle grandezze del secolo precedente del quale fu l’erede diretto. Il classicismo in Francia prese campo e acquistò notevole importanza verso il XVI secolo quando alla letteratura medievale si contrappose lo studio dei classici. Il XVI secolo imitò di questi solo la forma; lo spirito antico fu invece la grande conquista del secolo d’oro: la bellezza, l’armonia, l’idea degli antichi era ripresa da quegli scrittori e diffusa nei loroscritti. Il Settecento poi erede del Seicento, altro non fece che imitare degli imitatori, ora ciò per Chateaubriand è troppo, ed è questo stato di cose che lo spinge ad allontanarsi da un secolo privo di idee proprie. L’unica cosa buona che si può riconoscere al Settecento, e che il critico rilevò, è lo sviluppo filosofico: Nelle letteratura invece non si poteva avere originalità alcuna perché troppo lontani si era dalle fonti classiche e sembrava che in fatto di imitazione degli antichi tutto fosse già stato detto nel secolo d’oro. L’intento di Chateaubrianmd era di dare alla Francia una letteratura nazionale che non fosse presa in prestito da quella greca o latina, che non riecheggiasse miti pagani bensì quelli cristiani perché il Cristianesimo era la religione dei francesi. Un esempio caratteristico di questo rovesciamento nella formazione degli schemi letterari ce lo dà Chateaubriand nel quarto libro del Génie. Si nota nel capitolo primo come il critico venga a poco a poco sostituendo alla mitologia pagana, la bellezza del cristianesimo, al Classicismo il Romanticismo e come l’imitazione dei classici sia ritenuta una cosa inutile e vana. Chateaubriand vuol sostenere l’eccellenza della religione cristiana e la sua adattabilità ad essere trattata da poeti e non solo da teologi. Contro quest’ultima affermazione trova schierate molte obiezioni tanto che scrive: “Nous ne nous dissimulons pas (10) que nous avons à combattre ici un des plus anciens préjugé de l’école. Les autorités sont contre nous, et l’on peut nous citer vingt vers de l’Art Poètique qui nous condamnent” ma non saranno questi ad ostacolarlo nella sua critica. La mitologia ebbe per vizio di rimpicciolire la natura e la poesia antica non conobbe la poesia descrittiva e fu quindi limitata nelle sue immagini poetiche.(11) Di conseguenza l’imitazione degli antichi portava ad una limitazione di immagini poetiche: “et la mythologie, peuplant l’univers d’élegants fantômes ôtait à la creation sa gravité, sa grandeur et sa solitude”. Al posto di questo classicismo privo di una sua intima, vera bellezza, Chateaubriand poneva “les beautés de la religion chretienne” che possiamo considerare sinonimo di bellezze romantiche. “Il a fallu que le Christianisme vint chasser ce peiple de faunes, de satyres, de nymphes, pour rendre aux grottes leur silence et aux bois leur rèvérie. Les deserts ont pris sous notre culte un caractère plus triste, plus grave, plus sublime; le dôme des forests s’est exhaussé... le vrai Dieu en rentrant dans ses oeuvres a donné son immensité a la nature”. (13) L’antico concetto classico veniva rovesciato in nome della nuova idea romantica: Gli imitatori degli antichi non avevano mai considerato la loro religione materia poetica, anzi Boileau prendendo in considerazione l’argomento religioso e la sua adattabilità al teatro così scriveva nel canto terzo dell’Art Poétique (vv. 87-88): “ Le savoir à la fin dissipant l’ignorance, fit voir de ce projet la dévote imprudence”. E sempre nel canto terzo (vv. 199 e segg.): “De la loi d’un chretien les mystères terribles d’ornements égayés ne sont point susceptible. L’Evangile à l’esprit n’offre de tout cotés Que penitence à faire et tourments mérités; et de vos fiction le mélange coupable même à ses verités donne, l’air de la fable”. Tra arte e fede, verità rivelate e il bello vi era sempre stata una scissione completa. Ai classici bastava la religione, la morale di Omero; la materia di fede era invece cosa estranea ai loro componimenti poetici.. Le Génie du Cristianisme è da considerarsi come un ponte gettato tra queste due rive e le idee in esso contenute saranno la fonte a cui attingerà un Lamartine per il suo La chute d’un Ange o un Alfred de Vigny per la sua opera Eloa. L’opera critica di Chateaubriand sarà quindi basata sulla ricerca dell’ispirazione cristiana nelle opere letterarie: E’ appunto tale ricerca che gli impedisce di rinnegare il classicismo in blocco, punto a cui logicamente lo avrebbe condotto la sua critica contro l’imitazione. Chateabriand ammira nel Seicento e anche nel Settecento quella religiosità insita in molte opere. E’ stata, secondo il critico, proprio quella religiosità a renderle conosciute e ammirevoli ancorché lo scrittore si sforzasse a togliere da esse tutte le idee religiose; è stato lo spirito dello scrittore educato da ideali cristiani che, malgrado la volontà opposta dello scrittore stesso, è entrato nelle opere dando a queste una bellezza interna. “Le Christianisme est une religion pour ainsi dire double; s’il s’occupe de la nature de l’ être intellectuel, il s’occupe aussi de notre propre nature: il fait marcher de front les mystères de lm Divinité et les mystères du coeur humain: en devoilant le veritable Dieu, il devoile le veritable homme”. (14) Cuore e spirito d’ogni creatura sono legati tra di loro indissolubilmente; ecco perché la religione entra nell’opera, per quanti sforzi si facciano per tenerla lontana. Ecco perché l’ Andromaca di Racine “est plus sensibile, plus interessante que l’Andromaque antique” (15). Ecco infine perché Voltaire “lui dont les efforts tendaient sans cesse à détruire le merveilleux du Christianisme” (16) ci fornisce in Alzire il modello del carattere cristiano delo figlio. Ma l’epoca in cui l’uomo adorò più profondamente la divinità è il Medioevo ed è lì che il critico cerca l’ispirazione cristiana. Fino a tutto il Settecento s’era detto male del Medioevo e i vecchi manoscritti e le canzoni, i romanzi medioevali erano rimasti chiusi nelle biblioteche degli eruditi o nelle cupe sale dei vecchi monasteri. Chateaubriand, quindi, trovandosi nell’impossibilità di ammirare la letteratura medievali (che si veniva solo allora scoprendo e studiando), si pose a gustare la poesia che è rimasta chiusa nei monumenti medievali. Ed è con una pagina prettamente romantica che il critico, divenuto all’occasione poeta, descrive la bellezza della cattedrale gotica sorta ad imitazione della foresta, col suo mormorio, con la sua ombra, col suo mistero. Tale pagina segna il punto d’inizio di quel culto che il Romanticismo professerà per l’architettura gotica e dà l’avvio a quella prosa descrittiva che Nisard verrà in seguito a criticare aspramente. Ecco quanto Chateaubriand scrive: “Le foreste sono state i primi templi della Divinità e gli uomi da esse hanno ricavato la prima idea dell’architettura. Un’arte che ha dovuto subire varianti a seconda del clima. I Greci hanno contornato l’elegante colonna corinzia con capitelli di foglie sul modello dei palmeti. Gli enormi pilastri del vecchio stile egiziano ricordano i sicomori, l’albero del fico orientale, l’albero di banane e la maggior parte dei giganteschi alberi dell’Africa e dell’Asia. Le foreste dei Galli si sono trasferite nei templi dei nostri padri e i nostri boschi di imponenti querce hanno così mantenuto la loro origine sacra. Le volte cesellate di foglie, i pilastri che sostengono i muri e finisconoi bruscamente come tronchi spezzati, il fresco delle volte, le tenebre del santuario, le ali oscure, i passaggi secreti, le porte basse, tutto quanto nella chiesa gotica riconduce ai labirinti dei boschi; tutto fa presentire il timore religioso e il mistero della Divinità. Le due alte torri innalzate all’ingresso dell’edificio, sovrastano i cipressi e i tassi del cimitero, stagliandosi sul pittoresco sfondo di un cielo azzurro. Talvolta il giorno nascente illumina le sommità gemelle, talvolta sembrano coronate da un capitello di nubi o ingrandite in una atmosfera vaporosa. Gli uccelli stessi ne rimangono abbagliati, confusi tanto da adottarli come alberi delle loro foreste: le cornacchie intreccian voli attorno ai pinnacoli e si appollaiano nelle loro gallerie. Poi, all’improvviso rumori confusi si diffondono e scendono dall’alto delle torri sembrano scacciare gli uccelli impauriti. L’architetto cristiano non contento di costruire cattedrali ad imitazione delle foreste ha voluto, per così dire, imitarne anche i mormorii e per mezzo dell’organo e del bronzo sospeso delle campane, ha voluto racchiudere nel tempio gotico persino il mormorio del vento e il rumore dei tuoni che rotolano nelle profondità dei boschi. I secoli, evocati da questi suoni religiosi fanno riemergere la loro antica voce che sgorga dal seno delle pietre e sospirano nella vastità della basilica: il santuario rintrona come l’antro dell’antica Sibilla; e mentre la campana dondola con fracasso sopra la vostra testa, i sotterranei custodi della morte tacciono profondamente sotto i vostri piedi” (Le Génie di Christianisme ,p. 233). Rivedendo ora lo schema letterario in Chateubriand, si possono fare le seguenti osservazioni: Il classicismo nella sua opera cessava di essere considerato come modello unico e la bellezza< religiosa, o come più tardi si disse la bellezza romantica, prese il suo posto. L’amore per il Medioevo prendeva da lui le sue mosse e si avviava su una strada sicura. Oltre a ciò un nuovo schema appariva ed è quello che mette gli storici romantici contro il Settecento, l’opposizione cioè all’illuminismo. Per quanto riguarda l’opposizione tra il concetto classico e il concetto romantico nell’opera di Chateaubriand, si deve tener presente questa considerazione e cioè che quello che era in Mme de Stael contrasto tra Nord e Midi, diventa in Chateaubriand contrasto tra paganesimo e religione cristiana. Chateaubriand aveva intuito quale via il nuovo secolo doveva percorrere e a quella vita attiva voleva partecipare pure lui. Scrive nella sua opera Les memoires d’outretombe, “c’est Mme de Stael, c’est Benjamin Constant, c’est Lemercier, c’est Bonnald, c’est moi, enfin, qui les premiers avont parlé cette langue (17). Questa nuova lingua si opponeva alle forme letterarie dell’epoca volterriana e si opponeva anche al classicismo napoleonico del XIX secolo “affublé de la perruque de Louis XIV...” Anche in Chateaubriand troviamo l’identico consiglio della Stael sul liberare la poesia da quell’Olimpo classico , unico divertimento di qualche Dio erudito, per portarlo invece più a contatto col popolo(18). Chateaubriand, nell’opporre i dei due mondi, aveva trovato la via più consona per raggiungere questa sua idea e con ragione poteva esclamare: “nos raisons auront du moin cet avantage (19), qu’elles seront à la porté de tout le monde, et qu’il ne foudra qu’un bons sens pour en juger”; in quanto il Cristianesimo, che sta alla base della sua critica, aveva profondamente permeato di se ogni anima. In lui l’opposizione di romantico e classico diventa opposizione della nuova “langue” al XIII secolo e indirettamente, per riflesso, opposizione ad una parte del “Grand Siècle” in quanto, dal punto di vista letterario, il XVIII secolo è l’erede diretto del XVII , e questo ha avuto il torto di aver troppo imitato gli antichi e di aver di conseguenza fatto una poesia noi nazionale, non religiosa, ma imitativa e pagana. Da questa accusa con una sottile dialettica ecco come il critico viene a spodestare il classicismo e a diminuirne il valore. L’arte e ilvero erano stati i due punti più dibattuti e più discussi della poetica secentesca, specie da Boileau. L’arte era stasta interamente accettata da tutta la critica del Seicento, in quanto essa si era formata dall’insieme di tutte le opere antiche che erano state il vanto della Grecia e di Roma. Il vero invece in quanto derivato da Dio e posto nel nostro cuore era argomento troppo intimo perché lo si potesse porre in una tragedia od affrontare in un poema epico; era la religione stessa dell’individuo, materia troppo sublime perché un secentista potesse farne oggetto di poesia. E tutto ciò veniva assai chiaramente espresso nel canto terzo dell’Art Poétique: La conclusione era quindi questa: un classico perché cristiano non avrebbe mai introdotto il Cristianesimo in letteratura, mentre un romantico appunto perché cristiano, ne avrebbe fatto oggetto di poesia e, respingendo la mitologia, avrebbe unito il vero al bello. Non è questione per Chateaiubriand fare un paragone tra tra i due poli; dopo aver trovato che esisteva una nuova bellezza derivata dal Cristianesimo, opposta a quella classica ma ugualmente affascinante, Chateaubriand dà a questa ogni suo voto e conclude che Virgilio e Omero, pur essendoi sublimi, sono sempre inferiori al miglior poema che l’uomo abbia potuto scrivere: la Bibbia. Il Classicismo nell’opera di Chateaubriand non perdeva nulla della sua bellezza ma questa veniva assai abbassata e il Cristianesimo, che ne prendeva il posto, era il segnale che una nuova critica, che la letteratura moderna stava nascendo. Per lui il Romanticismo doveva completare il quadro che il Classicismo aveva cominciato ma non aveva saputo finire. Doveva fare delle opere veramente nazionali, dei poemi cristiani, delle poesie, delle elegie capaci di elevare i sentimento e di effondere nuova dolcezza in ogni cuore. Era questa sua concezione l’introduzione a quella antologia che avrebbe contenuto Moise, Eloas, La chute d’un Ange, Méditations poétiques ecc... In conclusione il diverbio classico-romantico si placava in una nuova visione letteraria che veniva a distruggere pregiudizi nocivi, che affrancava gli spiriti e agiva come forte richiamo verso la vera poesia che sembrava allontanarsi; ed oltre a ciò questa nuova letteratura impediva che si perdesse di vista la poesia antica di cui il critico ne apprezzava la bellezza e la forza; e non poteva essere altrimenti in uno schema che aveva il Cristianesimo per soggetto.
NOTE 1) Vedi Boileau Art Poetique, canto III “De la fois d’un Chretien les mistéres terribile...” 2) A. Maurois, Chateaubriand, Paris, Grasset, 1938, p. 413. 3) Chateaubriand, Génie du Christianisme, Paris, Grenier, 1928, p. 351. 4) Chateaubriand, ibidem, p. 351. 5) Sainte-Beuve, Causeries du lundi, op. cit., tomo I, p. 452. 6) Sainte-Beuve, Chateaubriand et son groupe littéraire, voll. 2, Paris, Garnier, 1953, vol. I, p.273. 7) Sainte-Beuve. Ibidem, p. 273. 8) G.Lanson, Histoire de la littérature française, op cit. 899. 9) Chateaubriand, Lettre a Mme de Fontanes sur la 2° edeition de l’ouvrage di Mme de Stael, in Génie du Christianissme, Paris, 1844, op cit, p. 307. 10) Chateaubriand, Génie du Chrisrtianisme op.cit., libro IV, cap. I, p. 274 11) Questa idea che ebbe grande ripercussione presso tutti i Romantici fu invece aspramente criticata da D. Nisard nella sua opera Les poètes latins de la décadence (vol.III § 7, p. 52). “Nostre littèrature est aussi arrivée où, si vous aimez mieux, est tombé à sa periode descriptive. Jamais on a tant decrit que depuis soixante ans. Sur la fin de l’époque de Voltaire après cette profusion de grands ecrivains et de grands ouvrages, qui ont fondé et fixé tout à la foi notre langue littéraire, la desciption est venue ramasser tout ce que les grands écrivains avaient dédaigné. Elle c’est jetté sur les petits sujets; elle a glané ce qu-il-y avait de moins important dans les grands”. 12) Chateaubriand, Le Génie, op cit, lib. IV, cap. I, p.222. 13) Chateaubriand. Ibidem . 14) Chateaubriand, op cit., libro II, cap. I p.201. 15) Chateaubriand, ibidem , cap. 6° p. 175. 16) Chateaubriand. Ibidem, cap.7° p. 177. 17) Chateaubriand, Memoire d’Outretombe, 6 voll., Paris, Garnier, 1947, vol 2°, p. 208. 18) “On negligé peut- être un peut trop dans les ouvrages de ce genre de parler la langue de ses lecteurs: il faut être docteur avec les docteurs et poètes avec les poétes”. (Génie du Christianisme , libro I, p. 10.) 19) Chateaubriand, Gènie du Christianisme, op cit , libro I p. 10.
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