CAPITOLO SESTO

 

ABEL FRANçOIS  DE VILLEMAIN

1)   L’opera letteraria di Villemain

2) Accoglimento e superamento dello schema classico: ripresa degli studi medievali nell’opera di Villemain.

 

 

  

1)     L’opera letteraria di Villemain.

 

Il grave errore della critica settecentesca era stato quello di isolare, di disgiungere l’opera letteraria non solo dalla società in cui era nata ma anche dagli studi che l’avevano immediatamente preceduta. Una prima reazione a questo stato di cose s’era avuta con il Lycée di La Harpe nel quale però una eccessiva timidità aveva impedito al critico di trarne i frutti dovuti; e più tardi il lavoro della Stael e di Chateaubriand, anche se non era diretto secondo le idee di La Harpe o di quelle che saranno la guida di Villemain, tuttavia contribuì ad indirizzare la critica verso quella via.

Doveva essere infatti Villemain a dimostrare nel suo Tableau de la littérature au Moyen Age,  Tableau de la littérature au XVIII siècles    e altre opere critiche, l’influenza reciproca delle idee, dei costumi sulle lettere, dello stato sociale e morale sulla letteratura. In questo concetto del Villemain veniva ampiamente trattato il principio che la Stael aveva accettato nella composizione della sua opera e cioè che “la letteratura è l’espressione della società”.

Su questa formula sia Lanson, in modo vago, che Brunetière accusano Villemain di aver scelto due esempi troppo notevoli e calzanti per dimostrarla. Il primo dice: “il avait choisi les deux cas les plus favorables peut être qu’il y ait à la demonstration de ce principe”: il Medioevo e il XVIII secolo. Brunetière si dilunga alquanto sull’argomento la cui conclusione è: “L’exemple que Villemain a choisi dans littérature du XVIII siècle est trop probant, si je puis ainsi dire,  pour être  demonstratif. Oui, l’exemple est si bon qu’il en devient douteux ... et qui veut trop prouver ne prouve rien”. (2)

Ma, esaminando il concetto di “letteratura espressione della società”,  si deve tener conto – avverte Croce (3) – che ci si trova di fronte ad una formula polisensa e ad un critico (in questo caso Villemain) può accadere di ammetterla, ad un altro invece di negarla senza che però vi sia errore dall’una e dall’altra parte, purché si chiarisca caso per caso ciò che si vuole affermare o negare (4). La frase ha il difetto di essere vaga. Se per società – prosegue Croce – si intende solo una parte di individui non é vero che la letteratura riprenda esclusivamente i sentimenti di questa, in quanto l’artista oltre ad esprimere ciò che una determinata società gli offre ha la sua individualità, ha la sua anima che modifica le impressioni ricevute in quanto ha la capacità di spaziare al di fuori di quella cerchia storica e sociale. Se poi per società si intenda tutta la società comprendente tutti gli individui, la formula diventa un pleonasma. E, conclude Croce, se uno afferma e poi nega tale frase non lo si deve tacciare di contraddizione in quanto potrebbe aver detto bene nell’uno e nell’altro caso.

Villemain si trova nella condizione di aver accettato la formula e di aver cercato di dimostrarla e se i due esempi da lui scelti sembrano a Brunetière e a Lanson troppo calzanti, ciò forse è dovuto al fatto che lo scrittore stando, per rinnovare la critica e per aprirla a una nuova via, ha sentito il bisogno di trovare un esempio che convincesse l’uditorio.

La sua innovazione in campo critico non fu l’introduzione della storia nella critica, l’inventare la critica storica o per meglio dire la critica letteraria illuminata da conoscenze storiche (cosa che già si è riscontrata in La Harpe), ma l’aver affiancato alla suddetta unione di conoscenze storiche e critiche, la biografia stessa dello scrittore, quella vita dell’autore che doveva servire ad animare, ad analizzare, a spiegare l’opera d’arte. Nella sua opera Villemain cercò sempre di porre lo scrittore studiato nell’atmosfera in cui questo si trovò a vivere, cercò di considerarlo una persona che parla non solo a se stesso, ma a tutti; di dargli la sua vera fisionomia di essere vivente; di unire in poche parole l’opera e l’uomo.  Qui stava il difetto del Lycée di La Harpe; e la sterilità dell’opera era dovuta alla mancanza del binomio uomo-opera che Villemain attuò.

Ma questa conquista in campo critico fece sorgere un difetto nell’opera di Villemain e cioè il periodo storico in cui uno scrittore era vissuto venne troppo lasciato da parte. Nei suoi Tableau, in questi suoi quadri letterari, il critico si compiace di dipingere  la figura centrale comprendente l’uomo e l’opera, mentre l’epoca che fa da sfondo è assai evanescente tanto da diventare talvolta soltanto una cornice. L’errore di Villemain fu di aver lasciato un intervallo troppo accentuato fra l’uomo e il suo periodo storico,  di aver dipinto or l’uno or l’altro e di non avere che raramente tentato di dimostrare che l’uomo poteva far pensare all’epoca e che la storia, anche se  discretamente, poteva spiegare un nuovo aspetto dell’uomo.  Ma si trattava di un nuovo metodo e Villemain ha cercato di additarlo e se talvolta ha fallito non si può fargliene una colpa grave. “On crayonne avant que de peindre et on dessine avant que de batir – scrive Brunetière “(5) – ed è quel che fece Villemain, ma si deve riconoscere che il suo lavoro aprì la via alle “costruzioni” e alle “pitture” di un Sainte-Beuve.

Non si può dire che Villemain abbia fondato una scienza nuova – come afferma Augustin Thierry nella prefazione della sua opera Recit des temps mérovingiens – in quanto i Tableau letterari, i fatti elegantemente raccontati, i ravvicinamenti tra scrittori francesi e scrittori stranieri o dell’antichità che si notano nell’opera di Villemain , trovano una spiegazione logica e una unità in lui soltanto. Si può affermare che chiunque l’abbia sentito ne è rimasto conquistato ed è diventato suo allievo ed in qualche modo ha anche preso qualcosa di buono dal suo metodo.

Le opere di Villemain hanno profondamente agito su quello che è stato il movimento romantico; e tutto quanto il suo lavoro ha permesso la sostituzione della critica intesa secondo le direttive della Stael, fondata cioè sull’idea della relatività, al dogmatismo di un La Harpe.  Nei Tableau le regole non hanno più importanza e in fondo al suo pensiero il diritto della storia si è sostituito al diritto delle regole.

Si deve ancora considerare dell’opera di Villemain il contributo che questa apportò alla cosiddetta storia comparata della letteratura. Nei suoi Tableau, specie in quello dedicato al XVIII secolo, il critico si compiacque di riavvicinare le letterature delle nazione europee e di far notare le differenze che le diversità delle istituzioni sociali, dei movimenti storici aveva fatto nascere tra di esse e di seguire le azioni e reazioni di un paese su un altro. Ed è quest’ultimo punto che gli serve a meglio illustrare e glorificare il XVIII secolo francese.

Il piano, di certo il principale di Villemain, fu quello di dimostrare la grande importanza del XVIII secolo francese e l’influsso dell’Illuminismo e delle condizioni politiche sull’Inghilterra, sull’Italia, sulla Spagna e sulle altre nazioni europee. (6)

Per citare un  esempio ci riferiamo alla seconda parte del Tableau de la littérature au XVIII siècle dove Villemain parla appunto dei rapporti tra la Francia e il resto dell’Europa, o, più precisamente, ai capitoli dedicati ai rapporti tra Francia e Italia.: “La littérature française – scrive – était la grande tribune de l’Europe au dix-huitième siecle; elle se faisait entendre des roi et des peuples; elle predominait de beaucoup la tribune libre et égale du Parlement d’Angleterre... cette littérature... avait partout une influence incalculable... et ses discussions purement abstraites et speculatives, le raisonnement de ces écrivains, de ces philosophes agissaient partout” (7), anche e specialmente in Italia  che “dans le dix-huitième siecle, porte tellement l’empreinte de las nôtre, que l’esprit des italiens est devenue une dépendance morale du génie français” (8).  E che tale idea non sia esclusiva del Tableau du XVIII siècle, ma sia ripetuta anche in altre opere, lo si può notare da quanto scrive nella prefazione dell’altra sua opera critica Choix d’études sur la littérature contemporaine: “Sans remonter au Moyen Age, la France depuis le XVI siècle n’a cessé d’occuper un premier rang sur la carte intellectuelle du monde entre ces nations ingénieuses du Midi: l’Italie, l’Espagne trop vite éclipsées par les miséres de leur état politique, et ces peuples germaniques dant l’événement plus tardis a jetté tant de lumière.

L’opera di Villemain non manca però di difetti e di limitazioni. Innanzitutto l’aver trattato il secolo dell’Illuminismo l’aveva condotto a non giudicare in modo del tutto spregiudicato ed oggettivo quel periodo ancora così vicino. A convalida si nota come talvolta egli abbia osato apportare modifiche a giudizi precedenti ma come non abbia mai cercato di capovolgerli completamente.

Ed ecco quello che Sainte-Beuve scrive a proposito: “Je lui reprocherait pourtant, dans les belle routes ou il marche et sur un exemple récent, cette inclination partiale à guider son cortège vers les génies les plus fréquentés, et son faible de consulter d’avance et de ne jamais étonner ni redresser, dans ses jugement sur les poètes, les sentences de la faveur populaire” (9).

Oltre a questo Villemain ha spesso privato i suoi pensieri del loro migliore effetto per colpa di allusioni politiche e di sconvenienti concessioni alla retorica di cattedra.

In Villemain poi si nota un’altra cosa ed è che il critico quasi mai trae le conclusioni dalle idee che è venuto ad esprimere; ed è forse per questo che talvolta si sente sfuggire il nesso tra l’uomo e l’ambiente, fra l’autore e la società che lo circonda ed a questo punto si avverte che il periodo in cui lo scrittore visse assai spesso rappresenta la cornice (molto sottile) del Tableau che Villemain ha fatto. Tale rimprovero gli è mosso anche da Sainte-Beuve (10) nelle Causeries du lundi. E’ proprio del critico –scrive Sainte-Beuve – “juger”, “trancher”, “décider”; e prendendo in considerazione tutti i maggiori critici  da Malerbe e Boileau in poi, si può notare come tutti, attenendosi a tale programma, giudicassero con vivacità, talvolta con eccessiva discriminazione ma sempre con sentimento netto, deciso e irresistibile. Ma da quando la critica è divenuta storica è diventata anche eclettica nei giudizi. “Elle a beaucoup  exposé, elle a tout compri, elle a peu conclu. M. de Villemain a plus que personne contribué à l’engager et à la maintenir  dans cette voie qui, à beaucoup d’égards, est plus large, plus féconde, mais qui parfois aussi a force d’ être large n’aboutit pas” (12). Tale eclettismo nell’opera di Villemain è anche notato da P. Moreau il quale in molti punti scrive che Villemain con abili sfumature si pone a difendere il classicismo o ad elogiare il Romanticismo.

E’ un uomo che non vuole umiliare nessuno; egli, infatti, tanto istruito nella letteratura inglese, accorda quel tanto di ammirazione agli inglesi che gli serve per passare subito ad elogiare i classici francesi. Quel succés –aggiunge ironicamente Moreau – que de reunir à sa table quelques romantiques et quelques classiques, et d’ être l’amis des uns et des autres!”.

Per quel che riguarda il Tableau de la littérature au Moyen Age  si deve dire che lo scrittore non ha saputo esplicare in modo esatto il metodo che aveva caratterizzato il Tableau du XVIII siècle”. Ma più che al metodo la colpa va attribuita ad altri fattori. Innanzitutto, per inquadrare la letteratura medievale ci voleva  una profonda cultura filosofica e una conoscenza storica approfondita, cose che mancavano a Villemain e che la sua elegante oratoria non poteva certo supplire; e per di più, mentre per il XVIII secolo il critico poteva parlare di cose conosciute si può dire alla perfezione, e dove studi precedenti potevano sorreggere la sua indagine, per quel che riguarda il Medioevo, si trovava di fronte ad una “tabula” parzialmente “rasa” (14).

Il critico si trovava nella condizione – lo nota lui stesso – di parlare di cose che conosceva appena e che veniva via via imparando. Fatti, notizie, nuove scoperte, tutto gli si presentava per essere trattato, ma “ces monuments si nombreux, et la plus-part mal connu, cette confusions de langue et de civilisation, ces lacune et cette abbondance, tout à la fois rendent presque impossibile de faire ce que  cependant je veux èssayer”(15).

Possiamo vedere in questo volersi cimentare con un lavoro difficile, come fosse il soggetto ad interessare Villemain; quel soggetto che faceva del Medioevo, come aveva già fatto del XVIII secolo, un periodo adatto per dimostrare l’influenza reciproca delle idee, dei costumi sulle lettere e della letteratura sullo stato sociale e morale. Lo scopo però non è stato raggiunto in pieno. Razze nuove, lingue nuove erano sorte sull’antico territorio romano e molto era cambiato; non si trattava più di Galli o Iberi divenuti  Romani ma di immissioni nuove di popoli con fisionomie distinte e lingue di ceppo diverso da quello latino. Villemain si era trovato disorientato in un quadro simile e l’unica via che aveva trovato era stata quella di restringere l’indagine: “J’ai restreint beaucoup ... j’ai jeté la moitié de mon sujet, par ce que je n’y entendait rien: j’abandonne toute la partie germanique, non que je ne l’admire... mais enfin, je sais tout celà trop mal; je ne puis en parler” (17).

Questo confessare alcune limitazioni alla sua cultura, questo ammettere alcune deficienze nella sua preparazione letteraria rende più chiara l’originalità della sua opera. Villemain non è e non vuol essere considerato un critico di particolari e di narrazioni circoscritte, un critico solito ad applicare quelle poche regole precostituite mediante le quali si può giudicare ogni scrittore ma mai in profondità e interamente; il suo giudizio deve venire dopo un approfondito esame dell’opera, della vita e dell’epoca dello scrittore considerato: ed ecco perché il suo Tableau del Medioevo si sofferma solo su argomenti più o meno conosciuti ma tutti facenti parte del suo bagaglio culturale. Tutto il Nord Europa, tutta la letteratura germanica viene tralasciata perché a lui sconosciuta. La sua indagine si sofferma quindi solo sul seguire lo sviluppo  parallelo della duplice letteratura della  Francia (quella del Midi e quella del Nord), in Inghilterra, in Spagna e infine in Italia.

Necessariamente dopo l’esposizione di un simile programma l’opera era costretta a sembrare – e  infatti lo fu – un po’ superficiale in quanto l’ampiezza degli studi della letteratura comparata  che Villemain si proponeva, oltrepassava le sue possibilità a causa della penuria di studi precedenti. Villemain si accorse di ciò e a metà del suo Tableau du Moyen Age così si giustifica: “Dans nos recherches de littérature étrangère, nous ne devons nous attacher qu’aux noms  célèbres et aux esprits originaux dont l’influence s’est exercée sur l’Europe et sur la France” (18).  Nonostante ciò l’opera per il discreto bagaglio di letture e conoscenze dell’autore, contiene molte più idee di quanto non appare ad una affrettata lettura.

Per concludere possiamo tener presente quanto  sull’opera di Villemain ha scritto un suo contemporaneo: Silvestre de Sacy  (19).

Per fare un’ottima critica bisogna sapere non solo ciò che sono i libri ma ciò che sono stati gli autori; la biografia è una delle parti principali della critica. Villemain conosce in modo mirabile le memorie secrete della letteratura. Egli avvicina l’opera alla vita degli autori e fa vedere il libro nello studio dell’uomo, spiega i difetti del gusto con le debolezze dell’anima e quasi sempre trova che il talento ha errato là dove è mancata la moralità. La storia, la biografia, i dettagli dei costumi vivificano la sua critica; un’inflessibile morale, una devozione vera a tutto ciò che onora, consola e solleva l’umanità, la religione, la libertà sembrano rendere il suo  gusto ancora più puro e più severo; e quel concatenamento di panorami storici, d’aneddoti raccontati con spirito, d’analisi accurate e profonde conduce il lettore fino alla fine della sua opera.  “On a pas fait – conclude Sacy – depuis bien des années, un ouvrage plus piquant et plus instructif, plus propre à être gouté par tout le monde, jeunes et vieux; le succés a été complet: il devait l’être” (20).

 

 

 

2)     Accoglimento e superamento dello schema classico: ripresa degli studi medievali nell’opera di Villemain.

 

Dopo aver esaminato la linea di sviluppo seguita da La Harpe e da Mme de Stael nelle loro storie letterarie, considerando l’opera di Villemain, essa si presenta come il tratto di unione o il punto d’arrivo dello schema dei primi due. Seguendo, infatti, la via di La Harpe, Villemain si preoccupa di tracciare un quadro di tutto il XVIII secolo; e sviluppando l’idea della Stael tenta una indagine nei secoli medievali cercando di attuare quella riabilitazione che urgeva presso buona parte dei romantici.

Il Medioevo è per la prima volta affrontato da Villemain in tutta la sua durata, ma ancora una volta la bellezza di quei secoli non viene capita. Villemain aveva fatto un’ottima scelta quando aveva preso in considerazione il XVIII secolo e ciò era dovuto, in parte, all’eleganza della sua orazione che nel Settecento aveva trovato un fertile campo su cui galoppare in lungo e in largo; ma non altrettanto felice era stata la scelta dei secoli fino ad allora dimenticati e ben altra cultura filosofica e storica ci voleva per inquadrare storicamente la letteratura medievale di quanta non gliene era occorsa per riconoscere la relazione che era intercorsa nel Settecento fra filosofia e letteratura.

Villemain stesso si era accorto di ciò e aveva intravisto tutta la linea di sviluppo del faticoso lavoro che stava per intraprendere. Scrive infatti al principio del suo Tabeau de la littérature au Moyen Age: “Maintenant je vais parler de choses que je sais à peine; j’ai besoin, et  ce n’est pas una frase faite ni apportée de chez moi, j’ai besoin d’une double indulgence” (21).

Le difficoltà che il critico incontra non sono solo dovute alla mancanza di studi su cui basarsi, o,  come Villemain stesso nota, al fatto che “loin qu’on puisse écrire déjà l’histoire complète de notre littérature  au Moyen Age” non si è ancora fatto l’inventario, che s’accresce ogni giorno, di numeroso materiale inedito, ma sono dovute anche alla nuova concezione critica che Villemain voleva applicare e cioè a quel  nuovo sistema di analisi, che secondo certi critici ha valso a Villemain il titolo di fondatore della letteratura comparata.  Per la prima volta, infatti, un critico intraprendeva l’analisi comparata di molte letterature moderne, che nate dalla stessa sorgente non avevano mai cessato di comunicare tra  loro e in diversi periodi storici avevano avuto stretti contatti (22). Mme de Stael con la sua idea della letteratura considerata in rapporto alla società, si era allontanata dallo schema settecentesco di un Voltaire o di un La Harpe, e Villemain, ripercorrendo la strada della Stael e oltrepassandola, rendeva più profondo il distacco tra i due secoli.

La nuova critica che si viene precisando in questo schema romantico è trattata in un passo del Tableu de la littérature au Dix-huitième siècle: “la critique (23) – nel Settecento – se presente sous trois forme: la forme dogmatique, historique, conjecturale. La première est la critique d’Aristote; elle n’a pas pour objet de produire, de demander de nouveaux chef-d’oeuvres. Aristote traite l’eloquence et la poésie comme la nature; il constate ce qui a été fait, il ne cherche point à inspirer ce  qu’il faut faire, et les preceptes qu’il pose sont comme del lois générales qu’il a tirées des faits de l’intelligence. La forme historique appliquée à la critique littéraire, est plus feconde e variées; elle est durable et se rajeunit par le mouvement de l’esprit humain. on la voit s’introduire et même  occuper trop de place dans presque tous les ouvrages di dix-huitième siècle. La dernière forme de critique est la critique conjecturale qui a l’ambition de pousser les esprits en avant, de leur ouvrir des routes qu’on a pas encore tentée... Cette critique a ètè presque étrangère au dix-huitème siècle. Il etait trop content de lui pour imaginer rien au delà de lui même”.  Quale sia delle tre forme di critica quella preferita da Villemain è chiaro. Il rifiuto per quella dogmatica, cioè quella che era servita a La Harpe per tutto il suo lungo corso di letteratura Le Lycée, si manifesta in tutta la sua opera. Villemain vuole una critica storica, basata, secondo l’idea della Stael, sull’idea della relatività e la sua idea è l’introduzione della storia nella letteratura. “La critique –scrive – peut suivre cet exemple an mêlant l’histoire à la littérature, comme Voltaire mêlait la littérature à l’histoire”(24).

Oramai, dopo la Stael e Villemain, risulta evidente che l’opera letteraria comincia stringere relazioni sempre più forti con  lo stato sociale, politico, con influenze esterne, con tutto quel complesso di fatti che verrà chiamato “les grandes pression environnantes”. E da questo momento le opere d’arte cominciarono a non essere più risentite come raccolte di quadri da porsi  in un museo, condannate all’immobilità e all’oblio, ma furono concepite come un qualcosa di vivo e vitale e messe in relazione con la società e col tempo in cui esse apparvero e quel che più conta, la stessa biografia dell’autore servì a chiarire, ad animare, a vivificare le opere stesse. L’antico  schema classico, quantunque Villemain tenti innovazioni nel campo critico, non è ancora oltrepassato. Abbiamo visto come la Stael considerasse il secolo di Luigi XIV e non molto dissimile dal suo giudizio, anzi completamente identico, è quello di Villemain a proposito del XVII secolo. Le siècle de  Louis XIV di Voltaire era un’opera ancora troppo recente perché si potesse dimenticare e si potesse cambiare radicalmente quello schema che s’era venuto formando nella seconda metà del Seicento e le sue propaggini giungevano ai primi dell’Ottocento. Voltaire, seguendo la tradizione seicentesca aveva chiamato il Seicento “il secolo di Luigi XIV”,  Villemain  non si scosta da lui e infatti in un suo discorso del 1824 scrive: “Louis  XIV a donné son nom à un siécle” (25); oltre a ciò, nell’accennare alla formazione di uno schema letterario che comprenda l’antichità e si estenda fino al Seicento, si mantiene su una linea di sviluppo parallela a quella volterriana.

Parlando dell’imitazione nell’opera d’arte,  Villemain descrive il suo schema: “Ainsi les Romains (26) recueillant le génie des Grecs atteignirent tout à coup dans les arts une grandeur égale à celle de leur empire; ainsi la nouvelle Italie ralluma, des le XIV siècle cette flamme éteinte; ainsi la France passa, dans quelques années, de la rudesse et de la barbarie à cette magnificence gracieuse et naturelle qui distingue les heureux génies du XVII siècles”.  Nulla fin qui è cambiato; lo schema è sempre ilsolito e diviso nella quattro note epoche di Pericle, Augusto, dei Medici e di Luigi XIV. Gli elogi poi rivolti a Luigi XIV riecheggiano quelli degli scrittori che hanno trattato di quel monarca e non aggiungono ormai nulla di nuovo.

Ma a ben considerare il Discorso di Villemain, balza evidente un fatto, la considerazione del perché quel periodo fosse stato considerato un modello artistico. Nel suo Cours de littérature Villemain aveva considerato tre forme della critica e aveva chiaramente fatto capire quale delle tre avrebbe scelto per impostare la sua opera. E infatti mediante l’apporto della critica storica, Villemain riesce a dire qualcosa di nuovo,

I precedenti critici avevano considerato i fatti così come apparivano senza curarsi del perché, senza indagare le cause che li avevano prodotti. “Questo era precisamente il difetto dell’opera di Voltaire in cui il ‘grand siècle de Louis XIV’ cade nella storia senza precedenti che lo spieghino o lo preparino. E così rimaneva anche senza chiara risposta il problema circa i rapporti tra il sovrano e il suo secolo” (E.Sestan) (27).

Voltaire aveva ‘mescolato’ la letteratura alla storia, dice Villemain; lui, invece, intende ad agire a rovescio: introdurre la storia nella letteratura.  Mais d’abord à fin de mieux entendre les grands génies de cet age mémorable, essayons de rendre à Louis XIV la place qu’il occupa dans l’imagination de ses peuples et des peuples rivaux. L’histoire des moeurs explique celle des lettres. Les évenements, la gloire, les illusions, les croyances d’un siècle sont le seul commentaire vivant et perpetuel des chef-d’oeuvres qu’il a vu naitre” (28).

E’ un nuovo metodo che incomincia a germogliare in questo fervore di studi; ma Villemain non riuscirà ad applicarlo completamente in tutta la sua opera e dovremo aspettare Sainte-Beuve perché esso dia i suoi migliori frutti. Comunque l’apporto di Villemain all’evoluzione dello schema letterario è evidente. Pur riprendendo il solito schema classico lo affronta da un diverso punto critico e, con uno sforzo veramente notevole, cerca di spiegare le cause storiche che hanno prodotto i vari movimenti.

Basandosi su questa critica storica Villemain tentava per di più una indagine letteraria sul Medioevo, però la sua opera non giungeva al di là di un  panorama di letterature europee nel Medioevo; ma insieme a questo panorama il critico ci dà anche dei limiti cronologici per racchiudere tutto il Medioevo francese  e tocca inoltre alcuni punti salienti della letteratura di quell’epoca. Gia nel 1813 Sismondi aveva scritto un’opera la quale, in parte, trattava quei secoli sino allora considerati barbari. Villemain non si trovava quindi di fronte ad una “tabula rasa” ma aveva già tracciata la via che doveva seguire. La Stael aveva parlato di un periodo oscuro di mille anni che sarebbe andato perduto se non si fosse creduto nell’idea di progresso ed aveva affermato che, al contrario, molto era stato fatto in quegli anni, pur senza dare prove della sua ffermazione. Di ciò si era incaricato Villemain che aveva iniziato a trattare della letteratura dalla decadenza dell’Impero Romnano. Sua prima preoccupazione era stata di indagare le cause della decadenza del latino e le cause della formazione delle nuove lingue. Non sarà però lo studio delle opere la parte principale del suo corso, bensì lo studio dei fatti: “l’esprit humain sera l’objet de nos recherches et, pour ainsi dire, le personnage dont nous recuillerons les traditions et les anecdote à travers une foule de monuments peu connu” (29).

Di tutti i secoli fino al Mille, Villemain coglie solo la formazione della lingua, quella lenta evoluzione che spingeva gli scrittori a non più esprimersi in latino ma in volgare. Con i primi documenti letterari incomincia una indagine più accurata e particolareggiata dove il critico esamina la poesia trobadorica, l’influenza araba, la situazione delle lettere in Francia nel XIII, XIV, XV  secolo.  Mentre questo quadro letterario del Medioevo letterario si svolge, Villemain studia contemporaneamente anche “l’histoire simultanée de cette grande époque chez plusieurs peuples italaien, portugais, espagnol” (30). Quindi attraverso questo esame contribuisce ad accrescere quel nuovo schema che Mme de Stael aveva abbozzato nel De la littérature. La ginevrina aveva parlato di un termine vago di dieci secoli, Villemain risolve invece il problema trattando di un periodo che va dalla fine dell’Impero Romano fin verso il 1450.  “Ce qui marque la fin du Moyen Age, le grand événement, l’hegire de la raison humaine, c’est la decouverte de l’imprimerie. Là commence avec son éclat et sa force, la civilisation moderne” (31). Un altro grande periodo veniva quindi introdotto nello schema letterario e, accanto a quello classico ancora accettato da Villemain nelle sue grandi linee, si aggiungeva ora quello medievale fecondo di buone promesse.

Per quel che riguarda il problema classico-romantico, il critico si mantiene in una  posizione eclettica e sarebbe vano ricercare in lui frasi come quella della Stael: “... tutte le mie idee mi portano a preferire le letterature del Nord”.  Che il classicismo gli abbia lasciato molto in eredità è indubbio, ma le nuove teorie non lo hanno trovato indifferente. Dobbiamo attribuire la posizione eclettica della sua opera alla sua natura e ai suoi studi che non gli permisero di accettare decisamente una scuola respingendo quella opposta. Egli “cotôya”  - come dice Sainte-Beuve (32) – l’ambiente romantico e qualche volta lo accostò, ma si mantenne sempre assai lontano da qualsiasi eccesso. La scuola romantica è quasi lasciata da parte nel suo Corso letterario ed anche quando egli dovrebbe parlarne, come nella parte dedicata ad Andrea Chénier, tenta e riesce con la sua eloquenza ad eluderla senza farne sentire l’assenza e il vuoto lasciato.

I libri della Stael e le sue idee sulle letteratura germaniche l’hanno completamente conquistato. Trovandosi, infatti, a trattare della letteratura tedesca e presentendo tutte le difficoltà che sarebbero sorte a causa della sua ignoranza nella lingua germanica, conclude di non parlarne affatto, non solo per il  motivo della lingua, bensì perché “la moisson est faite, la  tâche a été remplie avec une éclatante superioritè par une personne qui a  plié sa belle imagination  au travail de la critique, pour élever la critique même  au niveau de sa pensés originale et libre; cette persone, cette femme grand homme, c’est Mme de Stael” (33). E nella sua critica si sente l’importanza delle idee staeliane, si avverte il bisogno di ampliarle con vedute maggiori e più approfondite. Di capitale importanza è, quindi, il principio che la letteratura è al’espressione della società e proprio questa idea sta alla base dei due Tableau.

Anche l’altra grande idea della Stael è ripresa: la riabilitazione del Medioevo, e servì a stornarlo dal gusto antico-classico per indirizzarlo verso le opere romantiche del Medioevo cristiano. Ciononostante l’influenza del classicismo sulla sua opera è troppo profonda perché lo si possa far appartenere più a questa che non a quella tendenza (34).

 

NOTE:

1)       G.Lanson, Histoire de la littérature française, op. cit. , p. 926.

2)        F. Brunetière, Evolutions des genres, op. cit., pp 205-205

3)       B. Croce, Problemi di estetica, Bari, Laterza, 1910, p 56.

4)      Nell’opera di Villemain si ha la chiarificazione, la spiegazione delle sue idee, cosa che riconosce anche Brunetière quando scrive che l’opera vi Villemain “est un livre considerable ou marquant dans l’histoire de la critique...”

5)       F. Brunetière, Evolutions des genres, op. cit, p. 209.

6)      Circa l’importanza del secolo XVIII basta leggere un brano della prefazione del Tableau du XVIII siècle dove è scritto: “ la partie du Cours du 1828 qui me restait ainsi à publier était précisément la plus importante de mon sujet: c’était la grande moitié littéraire du dix-huitième siècle: c’ètait l’èpoque même de creation et de génie, dont plus tard je décrivis le déclin et la trasformation puissante”. (p.12)

7)       Villemain, Tableau du XVIII siècle,op. cit., p. 284

8)       Villemain, ibidem, p.284.

9)       Sainte-Beuve, Portraits des contemporains, 5 voll., Paris, 1908-1909, Tomo II, p. 391.

10)    Sainte-Beuve, Causeries du lundi,  op. cit., Tomo I,  pp. 112-113.

12)  Sainte-Beuve, ibidem

13)  P.Moreau, Le Romantisme, Paris, 1932, p. 112.

14)  Dobbiamo tener presente che già nel 1813 Sismondi aveva pubblicato l’opera De la littérature du Midi de l’Europe.

15)    Villemain, Tableau de la Littérature au Moyen Age, Bruxelles, 1847, p. 530.

16)    Villemain,  ibidem

17)    Villemain,  ibidem

18)    Villemain,  ibidem, p.620.

19)     S.De Sacy, Etude sur le Cours de littérature française de Villemain, in Cours de littérature, op.cit. , pp. 709-715.

20)     S.De Sacy, Etude sur le cours de la littérature française, op. cit.,m p. 715.

21)     Villemain, Tableau de la littérature au Moyen Age, op. cit., p. 530.

22)    Villemain così scriveva: “J’interprenais sur le Moyen Age une nouvelle étude de littérature comparée que j’ai conduit jusqu’au quinzième siècle”. (Tableau du XVIII siècle, Prefazione, p.11)

23)       Villemain, Tabeau du XVIII siècle, op. cit., p. 338.

24)       Villemain, Tableau du XVIII siècle, op. cit., p. 338.

25)       Villemain, Discours prononcé à l’ouverture du Cours d’éloquence française de 1824, in “Discours et mélanges littéraires”, Paris, Didier, 1846, p. 208.

26)       Villemain,  ibidem, p. 214..

27)       Da una nota (n°47) dell’articolo: La storia letteraria francese e la formazione e la dissoluzione dello schema letterario classico, di F. Simone, in “Rivista di letterature moderne”, Anno IV, n° 1, Firenze, 1953, p: 16.

28)       Villemain, Discours prononcé a l’ouverture di Cours d’éloquence française de 1824, op, cit, p. 209.

29)       Villemain, Tableau de la littérature ai XVIII siècle, op. cit., p. 529.

30)       Villemain,      ibidem , p.529

31)       Villemain, Tableau du Moyen Age, op,, cit., p. 628.

32)       Sainte-Beuve, Portraits contemporains, op. cit., Tomo II, p., 389.

33)       Villemain, Tableau du XVIII siècle, op. cit., p 322.

34)       Per considerare ancora la posizione eclettica in cui viene a trovarsi tutta l’opera di Villemain quando la si esamini esclusivamente dal punto di vista del classicismo e da quello del romanticismo, ci aiuta il giudizio del De Sanctis pubblicato nel giornale “Il Piemonte” del settembre 1855.  “Il Villemain è un ingegno essenzialmente critico; privo d’ogni virtù creativa, senza vigore, senza alcuna potenza di azione. Incapace di afferrare un tutto nella sua unità, di fare una analisi compiuta dei suoi elementi, egli brilla per bellezza di pensieri e di stile. Nel suo libro non vi trovi il pensiero, l’idea che feconda di sé tutto il resto; ma bene ti incontri qua e là in pensieri ingegnosi che rimangono isolati, raggi di sole in un cielo nuvoloso” (Da Saggi critici, a cura di L. Russo, 3 voll, Bari, Laterza,vol I, p. 175). Villemain ci dà infatti proprio quest’idea di non sapere come comportarsi di fronte ad un argomento nuovo. Una Stael si pone arditamente ad indagare il nuovo spirito romantico ed una volta capita la sua forza si abbandona ad esso. In Villemain nulla di tutto ciò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 CAPITOLO  SETTIMO

 

J.C.L. SIMONDE DE SISMONDI

 

 

 

1) L’opera letteraria di Sismondi. 

2) Studi medievali nell’opera di Sismondi.

3) Delimitazione più precisa del periodo medievale. 

4) Classicismo e romanticismo nell’opera di Sismondi.

 

  

 

1)     L’opera letteraria di Sismondi.

 

Nell’ambiente letterario francese del primo ventennio dell’Ottocento, Sismondi può essere considerato come uno dei fondatori della critica romantica. Di tutta quanta la sua opera comprendente argomenti storici, politici, economici ecc. occorre  soffermarci solo sulle sue idee letterarie e sull’analisi della sua opera più importante De la littérature du Midi de l’Europe.

La stretta amicizia che lo aveva legato a Mme de Stael l’aveva portato a far parte di quel gruppo di ginevrini e svizzeri che rappresentava il centro della società del Castello di Coppet. I suoi rapporti con tale ambiente, la sua formazione letteraria a contatto di esso e le relazioni che ivi strinse con personalità quali Schlegel, Benjamin Constant, De Barante ecc. garantiscono l’importanza della sua opera.  Da questo ambiente e ancor più dalla lunga amicizia con Mme de Stael, Sismondi ricavò la conoscenza più profonda e completa del mondo romantico, l’interesse vivo e vitale per la letteratura e l’esigenza di una cultura ampia e varia. Scrive Carlo Pellegrini a proposito dell’influenza dell’ambiente di Coppet: “Giovanni Müller lo consigliò e lo aiutò nel suo primo orientarsi negli studi storici... Benjamin Constant col suo interesse così vivo e chiaroveggente per la vita politica, giovò ad orientarlo nel determinarsi delle sue idee politiche, mentre Mallet e specie Bonstetten - ricchi di una esperienza tutt’altro che comune; quella delle letterature del Nord dell’Europa - fecero sorgere in lui nuovi bisogni culturali tanto che per un momento pensò anche di scrivere un corso sulle letterature dell’Europa settentrionale” (1)

La littérature du Midi de l’Europe, in parte frutto di tali contatti, fu pubblicata a Parigi nel 1813 e volle essere uno studio sulla storia letteraria dei popoli meridionali. All’inizio dell’opera si riscontra una indagine sulla corruzione della lingua latina e sulla successiva formazione di nuove lingue, nate dall’incontro dei conquistatori teutonici con le popolazioni romane. Il secondo capitolo tratta, invece, dell’importanza e del grande splendore della letteratura araba, dalla quale la letteratura provenzale e anche quella spagnola dovevano attingere molte idee, dovevano attingere quelle massime, quel linguaggio amoroso, passionale, caratteristico dell’indole araba, e anche alcuni sistemi di rime ed altre regole tecniche. La letteratura provenzale e la poesia dei trovatori sono, nel corso dell’opera, trattati in un modo assai ampio e lo studio si allarga dalla nascita della lingua, dall’influenza che la letteratura araba ebbe sul talento e sul gusto dei trovatori sino allo studio accurato (per quanto gli permetteva l’erudizione e la filologia dell’epoca) di qualche grande trovatore, e alla guerra albigese causa della decadenza della poesia trovadorica. Segue poi una indagine sulla lingua d’oil; e qui si ha la distinzione fra poesia di spirito prettamente romantico, quella dei trovadori, e poesia di spirito classico, imbevuta di regole aristoteliche, che caratterizzò specialmente la Francia da quei tempi in poi.

 

I capitoli seguenti che vanno dal nono al ventiduesimo, rappresentano una storia letteraria italiana comprendente i maggiori scrittori da Dante all’Alfieri e ai poeti epici e lirici dell’Italia del diciottesimo secolo. Gli scrittori italiani, in questa indagine, ricevevano un  grande vantaggio: quello di essere considerati nell’ampio quadro delle letterature europee del Midi e di cessare di far solamente parte di vecchie storie erudite di gusto provinciale. La letteratura italiana veniva così con Sismondi ad occupare un piano eminente, piano che le permetteva di essere meglio conosciuta in Francia e anche in altre nazioni.

Dopo l’indagine sulla letteratura italiana segue uno studio che si prolunga fino alla fine dell’opera, sulla letteratura spagnola e portoghese dai primordi al XVIII secolo. E’ questa sulla letteratura spagnola la migliore indagine critica di tutta l’opera sismondiana. Lo scritto infatti, attraverso lo studio dei vari autori e delle loro opere, ci fa comprendere la sua filosofia, le sue idee, il suo gusto letterario. A  differenza degli eruditi settecenteschi non si  sofferma affatto su notizie biografiche, ma rivolge ogni suo sguardo, ogni suo pensiero all’opera. E l’opera dello scrittore considerato viene esaminata, illustrata mentre la personalità stessa dello scrittore è messa in maggior rilievo.

In quest’ultima parte dell’opera si sente come lo scrittore reagisca a quell’idea precedentemente diffusa da Montesquieu ed accettata dalla Stael, quell’idea che considerava l’importanza del clima nella storia dei popoli. E ciò che maggiormente lo convince è il constatare in seno alla nazione spagnola la differenza profonda di carattere che si viene a creare in poco tempo  tra la Spagna medievale e la Spagna dell’Inquisizione. Per meglio capire come a lui importi soprattutto mostrare l’influenza reciproca della storia politica e religiosa dei popoli sulla loro letteratura e sulla loro indole, e per dimostrare inesatta l’influenza del clima, basta leggere le pagine che Sismondi scrive a proposito dell’Inquisizione.  Sono in verità i fatti religiosi e politici che determinarono un mutamento in Spagna. La libertà politica e religiosa andò perduta in breve tempo e così pure le virtù private e pubbliche, l’umanità e la lealtà, che nel Medioevo avevano fatto grande il popolo spagnolo. E ad indicare come tale mutamento avvenisse assai velocemente, seguendo quelle che erano le idee  e i fatti politici e non la natura del clima lo dimostra la seguente frase di Sismondi: “Il fallu à peu prés une génération d’homme pour accoutumér les Espagnols aux procedures de l’Inquisition et pour fanatiser le peuple...” (2).

 

Quindi è attraverso la descrizione della vita pubblica e privata, dello spirito, del gusto, dei costumi di tale nazione, che Sismondi viene a considerare la storia letteraria piuttosto una conseguenza del governo, delle leggi, della religione che non del clima.

Anche combattuta è l’idea che la mitologia pagana potesse essere una fonte di poesia. Ma tale idea non era originale in quanto già Chateaubriamnd l’aveva trattata nel suo Génie.  Per il cantore del Cristianesimo era la mitologia che aveva rovinato la poesia antica e che avrebbe rovinato la poesia moderna se il Romanticismo non se ne fosse liberato. “On ne peut guère supposer – dice Chateaubriand – que des hommes aussi sensibile que les anciens eussent manqué d’yeux pour voir la nature” (3) se non fosse stata la mitologia ad averli troppo accecati. E Sismondi non aggiungeva nulla di nuovo  quando scriveva: “Appollon, Les Faunes, les Nymphes, les Satyres ne paraissent jamais dans une poésie modernes sans réprendre autour  un froid glacial” (4) e che la loro presenza non ci sospinga all’analisi, al paragone, al ragionamento, cosa assai contraria alla sensibilità e all’entusiasmo.

Dopo avere esaminato per sommi capi le tappe successive toccate da Sismondi nella composizione della sua opera, ci si para di fronte una domanda: “E la letteratura francese?” Perché Sismondi non la esamina?”  E’ vano cercare tale argomento nel corso dell’opera. Sismondi ha percorso un semicerchio intorno alla Francia considerando solo i popoli meridionali quali l’italiano, il provenzale, lo spagnolo, il portoghese; ha cercato e trovato in tali popoli quell’insieme di cavalleria, d’amore, di religione che ha formato i costumi dei romantici e che ha dato alla poesia una impronta particolare. Ma della letteratura francese nulla. Il critico alla fine dell’opera si scusa dicendo che forse avrebbe potuto parlare della Francia, spiegare l’influsso della letteratura greca e latina su quella francese, mostrare come la letteratura francese si sia sottomessa a regole fisse e metodiche, ma – continua Sismondi – tale indagine “est un objet trop vaste... elle demande des connaissances plus approfondies, des lectures plus complètes; elle a été deja traitée... assez d’écrivains se sont chargés de faire sentire le mérite da cette pureté de dessin, de cette justesse d’expression, de cette précision de pensées, de cette proportion habile du tout avec chacune de ses parties...”(5); la vera ragione però Sismondi non  la dice ed è che la letteratura francese non era affatto romantica mentre tutte le sue idee lo portavano ad essere un romantico, un romantico che amava le bellezze care ai romantici e respingeva quelle di tutt’altro genere.

Malgrado tutti gli errori e le imperfezioni che si possono notare in seno all’opera, si deve tener presente lo sforzo del critico. Innanzitutto quel fare erudito che caratterizzava le storie precedenti è qui completamente abbandonato. Sismondi portava nell’opera tutta la sua esperienza di vita e una preparazione culturale che sconfinava  dall’ambiente letterario per comprendere il campo storico, filosofico ed economico.  Leggendo la sua opera si sente una ricca personalità. Il critico cerca di comprendere l’autore e di interpretarlo nella sua umanità, di giudicarlo oggettivamente. Ma con simpatia. Nella sua opera non troveremo la soluzione di importanti problemi o l’inizio di fatti nuovi anche perché il critico non tratta a fondo ogni argomento, ma si accontenta dei più importanti per trarne una analisi dettagliata; d’altronde lui  stesso, prima ancora di iniziare il lavoro, ci avverte che non si è proposto di portare la luce sull’antichità o di cercare “nouvelles decouvertes dans un champ si vaste”, ma di aver solo voluto conoscere e far conoscere scrittori di diverse nazioni che hanno esercitato qualche influenza sul gusto della loro nazione, sul loro secolo o sullo spirito umano; e di aver cercato di risalire dalle regole convenzionali di ogni letteratura alle regole fondamentali, che il gusto e il sentimento hanno reso comuni a tutti  gli uomini.

Per maggiormente apprezzare il lavoro di Sismondi si deve tener presente che solo allora si incominciava a distinguere la filologia dall’opera letteraria. La littérature du Midi è tributaria di molti lavori di eruditi francesi, italiani, spagnoli e specialmente tedeschi dei quali Sismondi fa un elenco in una nota all’inizio della sua opera. Assai compulsato è il lavoro di d’Andrés, gesuita spagnolo, professore a Mantova, autore del libro Dell’origine e dei progressi d’ogni letteratura (Parma 1782). Tale opera gli servì per la sua erudizione, per lo sviluppo che in essa vi è del cammino dello spirito umano considerato dal punto di vista filosofico. A costui però Sismondi rimprovera di non aver mai citato esempi, di non aver analizzato il gusto particolare d’ogni nazione e di non aver mai motivato i suoi giudizi.

Istruzioni, notizie, giudizi più pratici sono, invece, tratti dall’opera di Bouterweck Geschichte der Schonên Wissenschaften (1801-1810). La grande e profonda erudizione del tedesco gli permetteva una maggiore sicurezza che non le altre opere, ed era portato a riconoscere che “c’est de tous les ouvrages de critique ,celui dont j’ai tiré le plus grand parti,  et auquel j’ai emprunté le plus de faits et de connaissances” (6),

Per la letteratura provenzale, la storia di Millot, Histoire littéraire des Troubadours fu la sua principale guida, oltre ad altri lavori di minor rilievo.

 Oltre a questi sono ancora citati i lavori di Tiraboschi, di Guingené, per la letteratura italiana; di Nicolas Antonio, di Velasquez e Diego Barbosa per la letteratura spagnola; di Schlegel per la letteratura drammatica e di altri.

E’ da tener ancora presente, per considerare e valutare l’apporto di Sismondi allo sviluppo dell’indagine critico-letteraria, come egli abbondi, nello studio dell’artista di testi originali, di testi assai spesso tradotti; e di tale lavoro occorre riconoscerne lo sforzo filologico qualora si pensi all’epoca in cui esso fu composto. Per tali traduzioni il critico si giovò assai spesso di lavori tedeschi e più particolarmente di un’opera di G. Schlegel, una antologia composta nel 1804,  che comprendeva poeti italiani e spagnoli ecc., e di un’opera del filosofo Herder.

Con Schlegel Sismondi non andò però sempre d’accordo nei giudizi e spesso fra i due sorsero contrasti dovuti più che ad altro alla loro incompatibilità di carattere, essendo il primo sdegnoso e autoritario, l’altro invece ragionatore ostinato e tenace. Per dare un esempio basta citare quanto Sismondi scrisse alla contessa d’Albany nel 1812, quando uscì il Cours de la littérature dramatique di Schlegel nel quale l’autore aveva criticato l’Alfieri. Sismondi, facendo eco all’indignazione della Albany, così le scrisse: “J’aime votre vivacité sur Schlegel, c’est en effet un pédant présomptueux, et sa manière de porter des jugements est presque toujours d’une extrème insolence” (7). Ma da quanto si legge nella parte della Littérature du Midi dedicata all’Alfieri, si nota come in molti punti il giudizio di Sismondi concordi con quello di Schlegel. Si deve considerare che il ginevrino scriveva ad una donna alla quale non era andata a genio la critica di Schlegel e per di più alla contessa d’Albany che era stata amica dell’Alfieri stesso. Nonostante questa eccessiva cavalleria e solidarietà di opinione con l’Albany, Sismondi tenta di scusare Schlegel cercando di convincere la donna col dirle che non si tratta di una critica negativa, bensì il contrario. Il tono aspro e sdegnoso fa parte della natura di Schlegel il quale “souvent blesse alors même qu’il voudrai louer”.

Sempre nella nota dove Sismondi cita le fonti della sua opera, ci si imbatte in una curiosa osservazione. Si legge, infatti: “Dans la critique littéraire, se serait une prétention bien ridicule que de ne vouloir jamais répéter ce qui a été dit, et une affectation bien vaniteuse que de s’efforcer de séparer dans chaque pensée ce qui est à soi, de ce que on doit à un autre” (8).

Questo sistema, che oggi è completamente rifiutato, e a ragione – ai primi dell’Ottocento rientrava ancora negli usi letterari ed era accettato di buon grado. Proprio in ciò notiamo come i sistemi critici dei classici del gran secolo e del Settecento avessero ancora un gran peso nell’Ottocento; infatti tale sistema rientrava in quel procedimento imitativo che i secentisti francesi usavano nei riguardi degli antichi e non solo di essi.

Nonostante i vari difetti che si notano nel corso dell’opera tra i quali l’aspetto antologico che essa assume o il fatto che essa sembra talvolta un manuale di letteratura, talaltro un saggio filosofico, bisogna opporre a questi difetti qualità non meno evidenti. E queste dipendono dall’attitudine critica nuova e dal metodo comparativo applicato allo studio della letteratura. Tali qualità positive dipendono anche dalla scelta di un soggetto assai esteso il quale, partendo dal Medioevo permise al Sismondi di far conoscere ai francesi la bellezza della poesia medievale, di una poesia non sottomessa ad alcun canone, a nessuna regola.

Il valore dell’opera  sismondiana è anche dato dal fatto che l’opera segna il passaggio dal Razionalismo al Romanticismo e rende più profondo il distacco dal Classicismo. Sismondi col suo studio sul Medioevo, sulla letteratura spagnola, veniva ad offrire ai romantici nuovi soggetti da trattare e raccomandava loro di servirsi a piene mani dei soggetti storici di impronta e  colore locale, e, cosa che ancora mancava al Romanticismo,  indicava numerosi modelli stranieri poco conosciuti, da tener presenti nella composizione delle loro opere. Possiamo ancora aggiungere che la sua influenza più profonda è data dal fatto d’aver combattuto la mitologia pagana e dall’aver messo al posto di essa la tradizione e l’arte nazionale.

Profonda risonanza ebbe l’opera sismondiana in Italia. Già egli si era fatto conoscere per la sua Histoires des republiques italiennes, in quanto in tale opera aveva considerato la letteratura italiana sotto un nuovo punto di vista e il periodo studiato gli era apparso, e di conseguenza l’aveva descritto, come un centro da cui si dipartivano le vie che potevano condurre ad una miglior conoscenza e del Medioevo e delle epoche successive. Tale opera aveva offerto, non solo ai Romantici italiani, una interpretazione rigorosa e documentata di un periodo sino ad allora vago e confuso e ne aveva fatto un campo su cui i romantici avrebbero meglio esplicato la loro arte. Tale opera fu di grande aiuto anche ai problemi politici che urgevano presso la maggior parte degli italiani. L’opera, maturata negli ambienti di Coppet, era permeata da un vivo senso di libertà e, attraverso lo studio delle vecchie Repubbliche italiane, mostrava la dignità morale di certi personaggi e il loro ostinato amore per l’indipendenza. Ora, argomenti siffatti erano quelli che il popolo italiano maggiormente sentiva ed apprezzava ed era da simili argomenti che il popolo si sentiva spinto verso idee di libertà e di indipendenza.

La pubblicazione in Italia della Littérature du Midi de l’Europe aveva rafforzato le idee letterarie che lo studio sulle repubbliche aveva fatto nascere ed era venuta a collaborare alla formazione letteraria di alcuni fra i primi romantici italiani.

Per dimostrare l’importanza  che in quegli anni il libro ebbe all’estero ci riferiamo ad una pagina  di un’opera dedicata al ginevrino da Jean de Salis (9). La littèrature du Midi de l’Europe ebbe una influenza anche sulla Germania e sull’Inghilterra. Qui Sismondi veniva apprezzato non tanto per le nuove idee, perché proprio da quei paesi era partita la prima scintilla romantica, quanto invece per le qualità di storico e di economiosta che emergevano nel corso dell’opera. L’opera fu tradotta nel 1823 in Inghiterra da Thomas Roscoe; ma ancor prima di questa traduzione era tanto conosciuta che alcuni tra i migliori critici inglesi dell’epoca ne  avevano cantato le lodi. In Germania fu fatta conoscere da Bouterweck e nel 1816-19 venne tradotta da L. Hain. Ma – fa rilevare J. De Salis – l’opera di Sismondi non fu molto apprezzata sia perché la critica tedesca possedeva già opere di un  certo rilievo sull’argomento, sia perché Sismondi aveva criticato alcuni scrittori tedeschi dai quali però aveva attinto elementi essenziali per il suo lavoro.

L’opera fu anche conosciuta in Spagna pochi anni dopo la sua pubblicazione ed esercitò un’influenza decisiva sul movimento letterario spagnolo. La traduzione dell’opera fu fatta però molto più tardi, nel 1841-1842, a cura di José Lorenzo Figueroa.

Considerando globalmente l’opera si può ancora notare come nei giudizi che egli esprime, rifugga da considerazioni troppo taglienti e da affermazioni recise. La sua estrema sensibilità lo costringe a guardare le cose un po’ da lontano, tanto che ne vien fuori una certa freddezza e talvolta una specie di indifferenza anche   di fronte a  grandi avvenimenti.

In tutta la sua opera egli non cercò altro se non di cogliere i caratteri eterni dei popoli, l’eco dei grandi problemi che, attraverso l’evolversi dei secoli, li avevano guidati, indirizzati verso vie migliori; e cercò anche di cogliere i sogni, le aspirazioni più alte cui ogni popolo si sentiva portato.

 

 

2)     Studi medievali nell’opera di Sismondi.

 

E’ interessante notare nell’opera di Sismondi il modo col quale lo scrittore affronta la materia medievale e lo sviluppo dato alle varie parti di essa.

Qualche anno prima la Stael aveva negato che esistesse un periodo oscuro nell’evoluzione della letteratura ma non si era preoccupata di documentare l’affermazione con dati di fatto, con notizie sicure, con indagini approfondite. Con ciò non  si vuole limitare l’operato della Stael ché, anzi, le sue idee possono paragonarsi al seme più fecondo che mai sia caduto in  terreno fertile; ma per completare queste idee coi fatti, si doveva attendere la Littérature du Midi. Nell’Advertissement che precede la trattazione dell’opera, Sismondi spiega come fosse sua intenzione trattare l’opera letteraria dei popoli del Nord e di quelli del Midi; idea questa presa dall’ambiente di Coppet, o più in particolare dalla Stael. Costei aveva già trattato i rapporti tra società e letteratura sia per ciò che riguarda i popoli del mezzogiorno (De la littérature) sia per ciò che riguarda i popoli del Nord (De l’Allemagne) ma non aveva sviluppato nella sua interezza le letterature di ogni popolo studiandole sotto i rapporti da lei intuiti. L’intenzione di Sismondi, da quanto si può dedurre dall’introduzione, era quindi quella di colmare questa lacuna (e per quello che riguarda le letterature del Midi, in parte c’è riuscito). Il  libro De la littèrature aveva agito assai profondamente sullo spirito di Sismondi e lo schema della sua opera si improntava completamente sulle  idee staeliane. Nella prefazione della Stael leggiamo: “Je me suis proposé dexaminer qu’elle est l’influence de la religion, des moeurs et des lois sur la littérature; et qu’elle est l’influence de la littérature sur la religion, les moeurs et les lois” (10).  In La littèrature du Midi de l’Europe ci imbattiamo nel seguente passo: “j’ai surtout voulu montrer partout l’influence réciproque de l’histoire politique et religieuse des peuples sur leur littérature et de leur littérature sur leur caractère; faire sentir les rapports des lois du juste et de l’honnète avec celle  du beaux; la liaison enfin de la vertu et de la morale avec la sensibilité et l’imagination” (11).

La dipendenza delle idee sismondiane da quelle della Stael è evidente; e assai significativo è ancora il passo della Stael: “J’ai suivi l’histoire et l’esprit humain depuis Homère jusqu’en 1789...” (12) in confronto a quello di Sismondi: “C’était en  quelque sorte écrire l’histoire de l’esprits humain chez plusieurs peuples indipéndants, et le montrer partout soumis à des phases regulières et correspondente”. (13)  Oltre a ciò anche l’ambientazione dell’opera risentiva la lettura del De Littèrature e del De l’Allemagne. La divisione della letterautura europea in due parti era stato uno dei temi più importanti dell’opera staeliana e dell’ambiente di Coppet. Una differenza però esisteva tra l’idea della Stael e quella di Sismondi. Per la Stael Nord e Midi rappresentavano due correnti filosofiche opposte: il primo racchiudeva in sé l’idea romantica, il secondo l’antichità e tra i due esisteva un elemento di separazione che non era il tempo ma il Cristianesimo considerato non come dogma ma come fenomeno storico che ha portato risultati reali e che ha creato nell’uomo la facoltà di introspezione o, come più comunemente di dice, ha creato la coscienza. In Sismondi, invece,  l’idea di divisione tra Nord e Midi è considerata materialmente, come divisione geografica come è chiaramente espresso nell’introduzione. Il critico si è proposto una via da seguire, via che però ha dovuto lasciare a metà “Je n’ai put cependant exécuter qu’une partie du plan que je m’était d’abord proposé. Il s’étendait à toute l’Europe et je n’ai parlé que des peuples du Midi de cette contrée. Mais ces derniers  forment  un ensemble que j’ai cru pouvoir détacher des peuples du Nord. Du moin j’ai cherché à montrer les rapports qu’eurent entre elles la Littèrature romaine et la Littérature teutonique, et a faire prevoir leur influence réciproque. Ces rapports seront plus évident ancore dans la seconde division de mon travail, si je puis l’achever et traiter aussi de la littérature du Nord”(14).  La divisione avviene più su una diversità di lingue che non su una differenza di idee, “je partagerai la littérature moderne en deux classes, qui font l’objet de deux cours: l’un sur les langues romanes, l’autre sur les langues teutoniques” (15). Per Midi quindi la Stael intendeva antico, classico, mentre  Sismondi pensava solo ai vari popoli che abitavano in quella contrada e dei quali voleva studiare la letteratura applicandovi le idee che il Nuovo Romanticismo aveva portato. Nella trattazione della sua opera sembra voler essere obiettivo mentre in realtà tutti i suoi applausi vanno al Romanticismo e a tutte quelle letterature che hanno inconsciamente anticipato idee romantiche. Ecco perché manca la trattazione di una letteratura francese (che Sismondi considerava classica) e perché si riscontra una così lunga trattazione della  letteratura provenzale, spagnola, portoghese (che egli considerava più consone alle idee romantiche). A suo giudizio le letterature di impronta classica dei vari Marmontel e La Harpe bastavano a dare un giudizio esatto sulla letteratura francese fino a tutto il Settecento. Il critico ginevrino si era formato uno schema che, parafrasando un proverbio assai noto, poteva compendiarsi nella massima: “dare ai classici quel che è dei classici e ai romantici quel che è dei romantici”.  Ognuno abiti il suo mondo ideale, “nous n’avons point içi dessein de traiter de la langue et de la littérature française; sur se sujet, des ouvrages, les uns agréables, d’autres profonds se trouvent entre les mains de tout le monde, et ce serait se chargé d’une tache bien inutile que de répéter, d’une manière abrégée et incomplète, une histoire littéraire et une critique déjà traités aves tant de justesse et d’esprit par Marmontel, La Harpe et plusieurs autres” (16). Quindi bando alle storie letterarie sul XV, XVI, XVII, XVIII secolo francese; si risalirà, invece, sino al punto in cui il latino nel Mezzogiorno europeo cominciò a corrompersi in vari dialetti e di lì si prenderà l’avvio per una storia letteraria che non potremo chiamare con nessun nome specifico e che non apparterrà a nessuna nazione specifica in quanto “...la partie la plus encienne de la littérature française peu presque être considerée pour nous comme étrangère... et la langue du douzième et treizième siecles est trop loin de la notre pour que ses monuments soient connu de la pluparts de mes lecteurs” (17).

Un nuovo mondo apriva i battenti e Sismondi era uno dei primi che vi penetrava; e se la sua indagine porta solo risultati parziali, se egli pur volendo fare la storia della letteratura come storia di poesia  andando contro l’idea precedente che considerava la storia letteraria come storia di cultura, sia appunto caduto assai spesso in una vera e propria storia di cultura, non dobbiamo fargliene una grave colpa; basti infatti pensare che vent’anni dopo, un altro critico, affrontando lo stesso argomento, rivolgendosi al suo pubblico, diceva: “Sto ora per parlarvi di cose che conosco appena ed ho bisogno da parte vostra di una doppia indulgenza”.

 

 

 

3)     Delimitazione più precisa del periodo medievale.

 

Lo schema classico che era ormai in decadenza, non era mai andato oltre il Cinquecento; quello che, invece, tende al recupero del Medioevo termina appunto in  quegli anni. Sismondi, terminando il suo studio sulla poesia provenzale, così concludeva: “A’ la fin du seizième siècle une erudition nouvelle acquit sur la littérature française une influence plus immédiate... C’est là que commence l’histoire de la littérature française, et c’est là que nous l’abbandonerons” (18). Per altri la data è più precisa ed è quella di una invenzione meccanica, l’invenzione della stampa, che divide l’una dall’altra epoca.

Maggiori sono le difficoltà che questi critici incontrano nel delimitare dal basso il nuovo periodo. Villemain non diede alcun punto di riferimento esatto ma si limitò a porre l’inizio del Medioevo al principio della corruzione della lingua latina; Sismondi vuole essere più preciso, pur tenendo presente “que du cinquième au dixième siecle de l’ êre chretienne, des races differente et toujours nouvelles se melêrent sans cesse, sans se confondre; chaque village, chaque hameau contenait quelque conquérant teutonique, quelques uns des soldats barbare set quelques vassaux, reste du peuple vaincu” (19).

In questi cinque secoli non si parlò una lingua definita; i dialetti stavano ancora formandosi e non si poteva avere quindi alcuna letteratura. Si intende qui per “letteratura nuova” una letteratura diversa da quella latina; questa infatti continuava ancora e  aveva i suoi maggiori esponenti nel monaco Liutprando, in Alcuino, in Eginardo ed altri.  Ma costoro “n’appartiennent-ils point à la littérature moderne; ils sont les derniers monuments de l’ancienne civilisation...”(20).

Una nuova lingua e di conseguenza una nuova letteratura può, invece, farsi iniziare nell’877-887 alla corte del Roi d’Arles in Provenza (21); a questa segue la “langue d’oil” che inizia verso il 917-943; il castigliano, 1037-1065; il portoghese, 1095-1112; l’italiano, 1129-1154.

Uno schema più dettagliato che non quello di Villemain era fornito da Sismondi e a questo, in seguito, altri critici dovevano apportare sensibili miglioramenti.

Di tutto ciò che apparteneva alla schema classico francese, Sismondi non parla. La Stael, ancora attaccata al Settecento, faceva di Luigi XIV il monarca del secolo d’oro, il ginevrino tralascia invece di parlare di quell’epoca letteraria per ragioni che abbiamo già esposto, ma anche perché, nell’ambiente letterario romantico lo schema classico cominciava a dissolversi e a perdere quell’importanza che era durata per più di due secoli. Sismondi non fa alcuna di quelle dichiarazioni, a proposito dell’importanza di Luigi XIV, che abbiamo riscontrato in Voltaire, in La Harpe, in Mme de Stael, per tralasciare i contemporanei del Re Sole; tuttavia non si può affermare che il critico non lo ricordi affatto perché ci smentirebbe l’ultima pagina del XVI capitolo della Littérature du Midi de l’Europe.

 

 

 

 

.  4) Classicismo e romanticismo nell’opera di Sismondi.

 

Il desiderio di ampliare lo studio dalla letteratura francese a quelle europee, diventa alla fine del Settecento e nei primi anni dell’Ottocento, uno dei bisogni più urgenti di tutta la letteratura specie  quella romantica e viene a definire il più consapevole orientamento storiografico oltrecchè una via più ideale di fratellanza e una collaborazione più intima fra i vari popoli.

Il cosmopolitismo di Sismondi era diverso da quello settecentesco in quanto derivava dal concetto della necessità e della realtà delle singole nazioni di cui egli auspicava la collaborazione in una superiore armonia.

Sismondi fece parte di quell’ambiente di Coppet dove le discussioni sul Classicismo e sul Romanticismo erano affrontate quotidianamente e risolte sempre con la prevalenza di quest’ultimo; e tali discussioni e conclusioni influirono profondamente sulla preparazione culturale e critica dello scrittore. L’educazione protestante che il ginevrino aveva ricevuto, le sue idee liberali, la profonda conoscenza che egli aveva della letteratura e della critica del Nord, lo portarono ad affiancarsi alla schiera dei romantici. Sismondi però non accettò così semplicemente, a prima vista, come si potrebbe credere, le idee romantiche. Il suo entusiasmo andava  con i piedi di piombo anche se la sua educazione lo rendeva troppo facile a favorire  più questa che non quella tendenza.  Il problema classico-romantico è sì risolto a favore di quest’ultimo termine ma non per le ragioni suddette. Alla base della  sua opera c’è un’idea filosofica che fa da guida; in tutta l’opera Sismondi cerca infatti di scoprire l’influenza reciproca della storia politica e religiosa sulla letteratura e di questa sul carattere dei popoli; vuol mettere in rapporto il giusto e l’onesto con il bello; legare la virtù e la morale con la sensibilità e l’immaginazione. Si trattava di ricercare la storia nell’”esprit humain” e di dimostrarla sottomessa a fasi regolari e corrispondenti (22).  Era sì la ripetizione del ciclo già esposto dalla Stael ma in Sismondi c’era un’ampiezza di vedute e un intento di approfondire l’argomento maggiore di quanto non fosse quello della compatriota.

Il merito di Sismondi è stato quello di aver rivelato mediante tale metodo, una poesia non sottomessa a canoni classici, e di averla giudicata in base al tempo e al luogo e non in base a regole arbitrarie e assolute. Era insomma uno studiare lo sviluppo letterario nella storia.

Nell’esame del Teatro spagnolo (23) fa una distinzione tra i termini classico e romantico; per ciò che riguarda il primo la sua idea collima perfettamente con la spiegazione di “classico” che diedero i primi romantici; sono classici  gli scrittori antichi e “classico” è il gusto  che  essi stimarono il più puro fra tutti. Al termine “romantico” il critico diede però una spiegazione un po’ diversa da quella che finora altri avevano dato. L’autore vuole definire il Romanticismo come il movimento nato dalla civilizzazione medievale-romana. La Stael identificò il Romanticismo col Medioevo e Sismondi, accettando tale tesi, la approfondisce maggiormente. Tedeschi, inglesi, spagnoli  “s’attachant aux souvenirs du Moyen Age, ont cru trouver plus de poésie dans leurs propres antiquités que dans celle d’un peuple étranger” (24) e fin qui nulla di nuovo; basta leggere ciò che la Stael  dice nel De l’Allemagne a proposito dei due termini, per notare che queste idee erano già state espresse. Ma la Stael s’era fermata a questa spiegazione: la poesia romantica serviva a designare i canti dei trovatori e la poesia nata dalla cavalleria.  Per Sismondi  “les Allemands ont donné à cette poésie le nom de romantique, parce que la langue romane était celle des troubadours... parce que la civilisation moderne a commmencé avec les nations romanes et parce que la poèsie chevaleresque, comme la langue romane portait la double empreinte du monde romani et des nations teutoniques qui le conquirent” (25). L’albero genealogico del Romanticismo veniva qui spinto assai indietro nella notte medievale e le sue propaggini arrivavano là dove il latino classico cessava di esistere come tale a causa della comparsa dei barbari in seno alla romanità, e dove il nuovo latino, corrotto da lingue nordiche, compiva i suoi primi passi.

 A voler guardare nell’insieme il quadro di questi primi critici romantici, si nota come essi continuamente si pongano davanti ad uno schema ciclico dove due soli concetti si sviluppano in continuità e alternativamente. Si direbbe che senza questo procedimento “a spirale”, così piacque a qualche critico definirlo, questi scrittori  si trovassero nell’impossibilità di dare un quadro di tutto quanto lo sviluppo dell’ “ésprit humain”. Sismondi, seguendo appunto tale schema, ne approfitta per lasciare fuori dalla sua opera tutta la letteratura francese: (dico tutta in quanto egli considera la poesia e la lingua prerenascimentale francese così diversa da quella postrinascimentale che “peut être considerée...comme étrangère”).  La Littérature du Midi de l’Europe, trattando solo i periodi in cui idee simili a quelle romantiche hanno avuto importanza e tralasciando ogni riferimento a opere di impronta classica, ci fa pensare al cavallo degli scacchi il quale salta continuamente e solo una casella (quella classica) per sistemarsi in quella successiva. Per lui la letteratura provenzale, spagnola, portoghese sono di pura impronta romantica mentre tutta la letteratura è classica e con questa pure il teatro italiano. I Francesi, portati continuamente al ragionamento (26), son divenuti “si completement étrangers à la poésie romantique, qu’ils se sont détachés de toutes les nations modernes pour se mettre sous la protection des anciens”. (27)

Per definire come Sismondi venga a giudicare classica la poesia francese, bisogna rifarsi al capitolo ottavo dell’opera, là dove si discute dell’essenza della poesia. Per lui la poesia è solo forma e null’altro; il contenuto può variare a seconda della nazione, a seconda della facoltà maggiormente sviluppata presso quella.  Mentre la Stael attribuiva, in Corinne, gran importanza all’influenza del clima, Sismondi resta fermo sul fatto che sono le istituzioni a determinare il carattere dei popoli e ad influire sul contenutom poetico.

Ed ecco che la poesia “pour les Provençaus... c’est trové dans l’expression de l’amour et de la galanterie; pour les Italiens dans le jeu de l’imagination; pour les allemands dans l’enthousiasme; pour les espagnols dans un certain orage de passion... pour les portugais dans une rêverie douce, melancolique et champètre” (28).  Ogni nazione viene quindi a considerare contenuto poetico solo ciò che entra in armonia con la propria disposizione, col proprio temperamento.

Sismondi subordinando il contenuto allo spirito nazionale, faceva della poesia non una cosa unica ma la scindeva in molte forme di poesia ognuna avente caratteri propri derivati dalla nazione in cui essa aveva avuto origine.  Con ciò viene a spiegare perché la letteratura francese sia classica; lo scrittore francese è portato per sua natura al ragionamento e possiede più di ogni altro lo spirito inventivo; perciò si sente spinto non a sentimenti passionali ma a qualcosa di più reale, di più razionale. E poiché gli antichi hanno sviluppato tutte le facoltà umane ecco perché il francese si è affiancato ad essi abbandonando quella vena romantica che aveva fatto la fortuna della poesia provenzale.

Concludendo, il libro di Sismondi contribuì assai profondamente alla polemica tra Classicismo e Romanticismo ed oltre ad interessare i  critici circa le questioni inerenti un Medioevo non ancora messo in completa luce, segnò il passaggio dal Razionalismo settecentesco Al Romanticismo.

 

 

NOTE:

 

1)          Sismondi, Epistolario, a cura di C,Pellegrini, 3 voll. Firenze, Ed. La Nuova Italia, 1939, Introduzione, Vol. I, p XIII.

2)          Sismondi, Littérature du Midi de l’Europe, voll. 2, Bruxelles, 1837, tomo II, p. 170.

3)          Chateaubriand, Génie du C hristianisme, op. cit., libro IV, cap, I, p. 221.

4)          Brano riportato da Pellegrini in Epistolario sismondiano, Prefazione, p.XXX.

5)          Sismondi, La littérature du Midi de l’Europe, op. cit., vol. II p.683.

6)          Sismondi,    ibidem,  vol. I, p.8 (nota)

7)          Sismondi, Epistolario, op cit., (Lettera alla contessa d’Albany, 4 novembre 1812) vol I, p. 393.

8)          Sismondi, La littérature du Midi de l’Europe, op.cit., tomo I, p. 14 (nota)

9)          S.de Salis, Sismondi, vie et oeuvre d’un cosmopolite philosophe, Paris, 1932, pp.200 e segg.

10)       Mme de Stael, De la littèrature, op, cit., Préface (Discours préliminaire p.19),

11)       Sismondi, La littérature du Midi de l’Europe, op. cit., Avverisssement, p. I.

12)       Mme de Stael, De la littérature, op. cit.,  p. 285.

13)       Sismondi,  La littérature du Midi de l’Europe, op. cit., Avvertissement, p.II.

14)       Sismondi.    ibidem

15)       Sismondi,    ibidem,  vol. 1,.  p. 8.

16)       Sismond,.    ibidem, p. 161.

17)       Sismondi,    ibidem.

18)       Siamondi,    ibidem, vol. I, p. 217.

19)       Sismondi,    ibidem, vol. I, p. 11.

20)       Sismondi,    ibidem, vol. I, p. 14.

21)       Sismondi,    ibidem, p. 24 (nota 1)

22)       Sismondi,    ibidem, Avversissement, p.II.

23)       Sismondi,    ibidem, vol. II, p. 295

24)       Sismondi,    ibidem.

25)       Sismondi.    ibidem, vol.II, pp. 295-296.

26)       Les Français sont entre les peuples le seul qui, en poésie, demande le pourquoi de chaque chose...” (La littérature du Midi de l’Europe, tomo I, p. 19)

27)       Sismondi,    ibidem, Tomo I, p. 190.

28)       Sismondi,    ibidem, Tomo I, p. 189.

 

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